Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16117 del 26/06/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 16117 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: LANZILLO RAFFAELLA

SENTENZA
sul ricorso 3647-2008 proposto da:
BENOCCI

GIORGIO

BNCGRG38M24F605L,

elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo
studio dell’avvocato PALERMO GIANFRANCO, che lo
rappresenta e difende giusta procura speciale del Dr.
Notaio ALFREDO MANDARINI in SIENA 16/1/2008, REP. n.
2013

38195;
– ricorrente –

1048

contro

CUCINI FIORINDO CCNFND30A22C661P, domiciliato ex lege
in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

1

Data pubblicazione: 26/06/2013

CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato

MACCARI FRANCESCO giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 24/2007 del TRIBUNALE di SIENA,
depositata il 09/01/2007, R.G.N. 1784/2004;

udienza del 10/05/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA
LANZILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo

L’Ufficio del registro di Siena ha notificato a Giorgio
Benocci e a Fiorindo Cucini, quali soci solidalmente
responsabili dell’omonima società di fatto, richiesta di
pagamento dell’imposta di registro e delle relative

decadenza dalle agevolazioni di cui alla legge 2 luglio 1949
n. 408, conseguente alla mancata denuncia di cui all’art. 6
d.l. 11 dicembre 1967 n. 1150, conv. in legge 7 febbraio 1968
n. 25.
I due soci hanno proposto separati ricorsi alla Commissione
tributaria provinciale di Siena, ricorsi che sono stati
entrambi accolti. Su appello dell’Ufficio del registro, le due
cause sono state assegnate a differenti sezioni della
Commissione Tributaria Regionale di Firenze e si sono concluse
in modo opposto: cioè con la conferma della condanna al
pagamento nei confronti del Benocci e con l’assoluzione del
Cucini.
Il 25.6.2001 il Benocci ha provveduto al pagamento della
cartella esattoriale esecutiva e, con atto di citazione
notificato il 19 febbraio 2003, ha proposto contro il socio
azione di regresso, chiedendone la condanna al rimborso del
50% dell’imposta, nell’importo di C 2.029,66, quale quota a
suo carico del debito della società.
Il Giudice di pace di Siena ha respinto la domanda,
richiamando i principi per cui la sentenza pronunciata fra il
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sovrattasse sul rogito 20.9.1970 per notaio Bartolini, per

creditore ed uno dei debitori in solido non ha effetto nei
confronti del condebitore rimasto estraneo al giudizio, ed il
condebitore può opporre all’azione di regresso i fatti
impeditivi, estintivi o limitativi del debito comune, che
siano antecedenti alla data dell’adempimento e concretamente

Proposto appello dal soccombente, con la sentenza impugnata in
questa sede il Tribunale di Siena ha confermato la decisione
di primo grado.
Il Benocci propone tre motivi di ricorso per cassazione.
Resiste l’intimato con controricorso.
Motivi della decisione

1.- Il giudice di appello (g.a.), premesso che nella specie
vanno applicate le norme in tema di obbligazioni solidali e
non quelle riguardanti i rapporti fra i soci, ha applicato il
principio per cui i condebitori rimasti estranei al giudizio
non possono ritenersi pregiudicati dalla sentenza sfavorevole
emessa a carico di altro condebitore; ha rilevato che il
Benocci ben avrebbe potuto opporsi alla pretesa del fisco,
sulla base della sentenza emessa in favore del Cucini (quale
– effetto a lui favorevole), ma non può far ricadere su
quest’ultimo l’esito sfavorevole della controversia da lui
personalmente promossa.
2.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3
stesso codice, addebitando alla sentenza impugnata di avere
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opponibili al creditore in tale data.

esaminato e respinto una domanda diversa da quella proposta,
poiché egli aveva chiesto non che venissero estesi al Cucini
gli effetti della sentenza pronunciata nei rin& confronti, ma
che gli venisse rimborsato il debito della società di fatto,
di cui i due soci sono responsabili in ugual misura.

In primo luogo la censura è stata prospettata in relazione
all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., che concerne gli errori di
giudizio, mentre ha per oggetto l’addebito di un errore
processuale, che deve essere fatto valere ai sensi dell’art.
360 n. 4, a pena di inammissibilità_jcfr. Cass. civ. Sez. 3,
19 gennaio 2007 n. 1196;

Idem,

11 maggio 2012 n. 7268 e 31

luglio 2012 n. 13683, fra le tante).
In secondo luogo il quesito di diritto è inammissibile, perché
generico, astratto e non congruente con le censure proposte
(“Se costituisca violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
avere sostituito la proposta azione di regresso, fondata sul
pagamento di un debito solidale, con una diversa azione,
caratterizzata da tutt’altra esposizione dei fatti e da
tutt’altra causa petendi, come quella inerente alla pretesa di
estendere nei confronti del condebitore gli effetti
pregiudizievoli della sentenza contemplata nel primo comma
dell’art. 1306 cod. civ.”).
Non emerge dal quesito quale sia la fattispecie sottoposta
alla decisione della Corte di appello; quale il principio di
diritto da essa erroneamente enunciato e quale quello a cui la
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1.1.- Il motivo è inammissibile, prima ancora che non fondato.

Corte si sarebbe dovuta attenere, come prescritto a pena di
inammissibilità per la formulazione del quesito di diritto.
Neppure si comprende quale sia l’errore commesso dal giudice
di appello, a quale diversa azione ed a quali fatti nuovi e
non dedotti avrebbe esteso la sua cognizione.

sintesi logico giuridica della questione sottoposta alla Corte
di cassazione, sì da consentire al giudice di legittimità di
enunciare una regula iuris suscettibile di applicazione anche
in casi ulteriori, rispetto a quello deciso dalla sentenza
impugnata.
Esso deve sintetizzare, in particolare: a) l’esposizione degli
elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e da questo
ritenuti per veri, mancando, altrimenti, la critica di
pertinenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata; b)
la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da
quel giudice; c) la diversa regola di diritto che – ad avviso
del ricorrente – si sarebbe dovuta applicare.
Il quesito – quindi – non deve risolversi in una enunciazione
di carattere generico e astratto, priva di qualunque
indicazione sul tipo della controversia e sulla sua
riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non
consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso
voluto dal ricorrente. Né è consentito desumere il quesito dal
contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, se
non a prezzo della sostanziale abrogazione della norma di cui
6

Si ricorda che il quesito di diritto deve contenere una

all’art. 366bis cod. proc. civ.

(cfr., fra le tante,

Cass.

Civ. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36 e 11 marzo 2008 n. 6420; Cass.
Civ. Sez. III, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n.
11535; Cass. Civ. Sez. 3, 14 marzo 2013 n. 6549).
Il vero è che, a differenza di quanto assume il ricorrente,

fatto dedotte in giudizio ed ha ritenuto ad esse applicabili
le norme che regolano le eccezioni opponibili dal condebitore
solidale, ed in particolare

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quelle attinenti al comunicarsi

o meno degli effetti del giudicato, senza incorrere in alcun
vizio di ultrapetizione; solo eseguq una tesi giuridica
diversa da quella prospettata dal ricorrente: il che non
configura alcun vizio di ultrapetizione.
2.- Il secondo motivo denuncia violazione degli art. 1176 e
1306 cod.civ., nonché omessa ed illogica motivazione, sul
rilievo che i condebitori convenuti in via di regresso possono
opporre all’attore i fatti impeditivi, limitativi od estintivi
del debito comune solo se precedenti alla data
dell’adempimento e concretamente opponibili al colui che ha
pagato il debito, come disposto da Cass. S.U. 5 febbraio 1999
n. 32.
Assume che la sentenza assolutoria del Cucini avrebbe potuto
essere opposta al Benocci solo se questi ne fosse stato a
conoscenza alla data del pagamento; che il Cucini non ha
offerto alcuna prova di averne dato notizia al condebitore e

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il Tribunale non ha fatto che esaminare le circostanze di

che la conoscenza non può essere presunta per il solo fatto
che la sentenza è stata emessa in data anteriore al pagamento.
2.1.- Con il terzo motivo – che va congiuntamente esaminato,
poiché attiene alla medesima questione – denuncia violazione
dell’art. 1306 2 ° comma cod. civ., sul rilievo che la norma è

il creditore; non i rapporti interni fra condebitori, né le
azioni di regresso; che quindi al solo creditore è opponibile
la sentenza assolutoria del condebitore solidale.
3.- I motivi non sono fondati, pur se deve essere corretta la
motivazione della sentenza impugnata.
3.1.- Questa Corte ha più volte affermato che il principio di
cui all’art. 1306, 2 ° comma. cod. civ. che consente al
coobbligato solidale di opporre al creditore il giudicato
formatosi in favore di altro condebitore – trova un limite nel
caso in cui il condebitore convenuto sia a sua volta
vincolato da altro giudicato, favorevole al creditore, com’è
accaduto nel caso in esame, ove il Betocci ha visto respinto
il suo ricorso contro l’atto di accertamento
dell’amministrazione finanziaria.
Il coobbligato non può cioè invocare a proprio vantaggio la
diversa pronuncia emessa nei riguardi di altro debitore in
solido, nel caso in cui egli stesso sia stato parte di un
giudizio relativo al medesimo credito e conclusosi in favore
del creditore, con una decisione avente autonoma efficacia nei
suoi confronti (cfr. Cass. Civ. S.U. 22 giugno 1991 n. 7053;
8

destinata a regolare i rapporti fra i condebitori solidali ed

Cass. Civ. Sez. 5, 9 dicembre 2008 n. 28881;

Idem,

11 aprile

2011 n. 8169; Idem, 27 settembre 2002 n. 13997, ed altre).
L’art. 1306, 2 ° comma, consente cioè al condebitore solidale
di invocare eccezionalmente in suo favore l’efficacia riflessa
del giudicato , ma non gli consente di disattendere gli

Tali principi sono stati enunciati, tuttavia, nei rapporti fra
il condebitore solidale e il creditore; non invece nei
rapporti fra i condebitori solidali ed in relazione alla
disciplina delle azioni di regresso: disciplina che trova la
sua fonte nel rapporto sostanziale da cui deriva il vincolo di
solidarietà.
Da tale rapporto si desumono le quote per le quali ogni
condebitore è tenuto a rispondere del debito in via di
regresso ed ogni altra circostanza idonea ad influire sulla
ripartizione interna dei diritti e degli obblighi derivanti
dal rapporto che ha dato origine al debito solidale.
Deve essere perciò condivisa la tesi del ricorrente secondo
cui la norma dell’art. 1306 cod. civ. non può essere
automaticamente trasposta alla disciplina delle azioni di
regresso e va disatteso il principio contrario, affermato dal
Tribunale.
Le regole della solidarietà prevalgono senz’altro, nei
rapporti con il creditore; non necessariamente nei rapporti
interni fra condebitori.

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effetti del giudicato emesso nei suoi personali confronti.

Nella specie, la circostanza che il Cucini abbia ottenuto una
sentenza assolutoria da un debito verso il fisco non vale di
per sé a dimostrare l’inesistenza del debito, quindi il venir
meno del suo obbligo di risponderne quale socio, poiché la
società si è trovata ad essere gravata da quel debito per

conseguente minaccia di esecuzione esattoriale.
Ma neppure può affermarsi apoditticamente il principio voluto
dal ricorrente, cioè che entrambi i soci sono comunque tenuti
a rispondere in parti eguali, restando irrilevanti le vicende
che hanno condotto all’anomala situazione per cui l’uno è
stato condannato a pagare lo stesso debito per cui l’altro è
stato assolto.
L’efficacia dei contrapposti giudicati rileva indubbiamente
sul piano processuale, ma non dimostra nulla, di per sé,
quanto al problema sostanziale circa le responsabilità per
l’accaduto e circa i criteri in base ai quali stabilire quale
delle due situazioni si debba ritenere efficace nei confronti
della società: se la condanna riportata dal Benocci o
l’assoluzione del Cucini.
Vale a dire, la mera deduzione da parte del socio di avere
riportato una condanna e di avere pagato il debito non è
sufficiente, di per sé sola, a giustificare la domanda di
rimborso proposta nei confronti dell’altro socio, ove questi
possa opporre una sentenza di assoluzione dallo stesso debito.

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effetto del giudicato sfavorevole al Benocci e della

Le due situazioni si neutralizzano reciprocamente, quanto agli
effetti nei confronti della società. Resta solo il problema
di stabilire se l’uno dei soci sia responsabile dell’accaduto
nei confronti dell’altro: questione la cui soluzione avrebbe
richiesto di accertare quale dei due soci avesse, di fatto, il

i rapporti con il fisco; per quali ragioni non vi sia stato
alcun coordinamento fra i rispettivi ricorsi alle Commissioni
tributarie, né alcuna reciproca informativa circa il loro
esito; se tempi e modi del pagamento effettuato dall’uno
siano giustificati ed abbiano evitato un danno alla società,
o siano stati invece avventati e inescusabili; ed ogni altra
circostanza rilevante.
In questo contesto può assumere rilievo anche la circostanza
dedotta dal ricorrente di non essere stato informato
dell’esito del ricorso altrui; ma non da sola e non
altro accertamento circa i

indipendentemente da ogni

rispettivi accordi, competenze e attività, ivi incluso quello
attinente a chi avesse l’obbligo di informare l’altro.
Se perciò erroneamente il giudice di appello ha ritenuto
irrilevanti i rapporti interni fra i due soci, in ordine alla
ripartizione delle responsabilità per il debito, la parte
interessata – cioè l’attore in via di regresso – avrebbe
dovuto farsi carico di dedurre e dimostrare le ragioni per cui
la sua personale situazione, e l’esecuzione esattoriale
minacciata a carico della società,
11

siano da ascrivere alla

potere di amministrare la società ed in particolare di gestire

responsabilità dell’altro socio, che peraltro – essendo stato
capace di ottenere la completa assoluzione dal debito – appare
oggettivamente avere agito nell’interesse della società.
Nulla il ricorrente risulta avere dedotto in proposito, nelle
competenti sedi di merito,

sicché il giudice di appello non

4.- Il ricorso deve essere respinto.
5.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate complessivamente in 1.500,00, di
cui C 200,00 per esborsi ed C 1.300,00 per compensi; oltre
agli accessori previdenziali e fiscali di legge.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2013

lAmdemocio

poteva che rigettare la domanda.

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