Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16116 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/06/2021, (ud. 12/03/2021, dep. 09/06/2021), n.16116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7066 del ruolo generale dell’anno 2015

proposto da:

Decabo Servizi s.r.l., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avv. Ferro Massimiliano, presso il cui studio in Milano, via B.

Cellini, n. 2/B, è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, n. 4610/35/2014, depositata in data 16

settembre 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 12

marzo 2021 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Decabo Servizi s.r.l. un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2006, aveva rettificato il reddito di impresa, avendo accertato, a seguito di controllo analitico, che le fatture emesse in favore della società dalla ditta E.G. non erano sufficientemente dettagliate per individuare a quali prestazioni fossero riferibili, rettificando di conseguenza le dichiarazioni ai fini Ires, Iva e Irap; avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Milano; l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: era infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposta dalla società; nel merito, le fatture avevano un contenuto generico e l’amministrazione finanziaria aveva prodotto idonea prova presuntiva che supportava la prospettazione secondo cui le prestazioni di cui alle fatture non erano state mai ricevute dalla società; non poteva avere rilevanza la prova contraria della società consistente nel pagamento delle fatture mediante assegni o in contanti;

Decabo s.r.l. ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi di censura;

l’Agenzia delle entrate ha depositato atto denominato “di costituzione” con il quale ha dichiarato di costituirsi al fine della partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10,11,12 e art. 52, comma 2, e art. 24, per avere rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate per difetto dei poteri di rappresentanza del soggetto che ha sottoscritto l’atto;

in particolare, evidenzia parte ricorrente che, nel caso di specie: l’atto di appello risultava sottoscritto dal Capo Team, quindi da soggetto diverso dal Direttore dell’ufficio, senza che fosse stata allegata copia della delega o di altro documento che giustificasse la sottoscrizione in luogo di quella del rappresentante dell’ufficio; inoltre, nessuno degli atti menzionati dal giudice del gravame al fine di superare l’eccezione di inammissibilità dell’appello era stato prodotto in grado di appello dall’Agenzia delle entrate e nessuna delega di firma risultava depositata;

il motivo è infondato;

il giudice del gravame ha specificamente esaminato la questione relativa alla legittimazione del soggetto che aveva sottoscritto l’atto di appello e l’ha ritenuta infondata “attesa la produzione dell’allegato 2.3. all’atto dispositivo prot. n. 2010/01 in materia di delega di firma, prodotta dall’ufficio, per gli atti emessi nell’ambito dell’ufficio legale. Si evince per gli appelli di valore fino ad Euro 100.000,00 la delega di firma spetta al Capo Team, unitamente all’atto dispositivo prot. 2010/4737 dal quale risulta il responsabile del procedimento”;

va quindi considerato, in primo luogo, che il giudice del gravame ha accertato che, relativamente alla presente controversia, sulla base degli atti organizzativi interni, la delega di firma spettava al Capo Team, soggetto che la stessa parte ricorrente riconosce avere sottoscritto l’atto di appello;

va inoltre osservato che, in termini generali, in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 e art. 11, comma 2, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale, sicchè è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza per: violazione dell’art. 2697, c.c., del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in materia di riparto dell’onere della prova in caso di contestazione di fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti; violazione del principio di inammissibilità delle prove testimoniali nel processo tributario di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4; illogicità e contraddittorietà della motivazione; omesso esame di un fatto decisivo della controversia; omessa valutazione delle prove documentali prodotte dalla ricorrente;

il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;

questa Corte ha fissato il principio secondo cui nel ricorso per cassazione il motivo di impugnazione che prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate e dalla deduzione del vizio di motivazione è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione (Cass. civ., 23 ottobre 2018, n. 26790);

d’altro lato, è anche stato precisato (Cass. civ., 18 gennaio 2008, n. 976; Cass. Sez. U. 7770/2009; Cass. civ., 5 ottobre 2018, n. 650743) che va riconosciuta l’ammissibilità del ricorso per cassazione che denunzi con unico motivo vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto purchè lo stesso evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto;

in questo contesto, con riferimento al caso di specie, nonostante la disomogeneità dei diversi profili di doglianza contenuti nell’unitario motivo di ricorso, è comunque possibile enucleare specifiche ed autonome ragioni di censura che consentono di superare la valutazione di inammissibilità;

finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza (Cass. civ., 29 settembre 2020, n. 20603); sì è poi precisato che nei gradi di merito del processo tributario, gli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate, secondo quanto previsto dalle norme del regolamento di amministrazione n. 4 del 2000, adottato ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, sono legittimati direttamente alla partecipazione al giudizio e possono essere rappresentati sia dal direttore, sia da altro soggetto delegato, anche ove non sia esibita in favore di quest’ultimo una specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dallo stesso e ne esprima la volontà (Cass. civ., 30 ottobre 2018, n. 27570);

pertanto, la possibilità di contestare la mancanza di delega in favore del sottoscritto dell’atto di appello esige che la parte eccepisca e provi la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza, non essendo sufficiente una generica contestazione;

nel caso di specie, parte ricorrente lamenta solo genericamente la mancata sottoscrizione da parte del soggetto delegato, senza tuttavia prospettare elementi concreti di non riferibilità dell’atto all’amministrazione finanziaria;

nè può avere rilevanza l’ulteriore profilo di censura secondo cui nessuno degli atti menzionati dal giudice del gravame erano stati prodotti in appello dall’amministrazione finanziaria: tale ragione di doglianza si scontra con l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame secondo cui, invece, l’amministrazione finanziaria aveva provveduto a depositare la prova della delega, sicchè il motivo di doglianza non può essere prospettato in questa sede;

ciò precisato, un primo profilo attiene alla violazione dei principi di ripartizione dell’onere di prova gravante sulle parti quando è contestata dall’amministrazione finanziaria l’inesistenza oggettiva delle operazioni risultanti dalle fatture;

la ragione di censura si fonda, sulla considerazione che il giudice del gravame non avrebbe tenuto conto degli elementi di prova contrari offerti dalla contribuente ed avrebbe, invece, basato la valutazione della inesistenza oggettiva delle operazioni unicamente sulle dichiarazioni extraprocessuali rese da un terzo, nonostante il divieto di prova testimoniale nel processo tributario ed il fatto che le suddette dichiarazioni non possono costituire prova presuntiva su cui fondare l’inesistenza oggettiva delle operazioni;

va quindi precisato che, in tema di riparto dell’onere della prova in caso di contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti, questa Corte di legittimità ha da tempo chiarito, che, qualora l’amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, indicando gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass. civ., 15 maggio 2018, n. 11873);

in questo contesto, il contribuente ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza ed il preciso ammontare dei costi medesimi e tale prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. civ., 19 dicembre 2019, n. 33915);

con riferimento al caso di specie, il giudice del gravame ha precisato, in primo luogo, che le fatture non erano sufficientemente dettagliate e, inoltre, che sussistevano indizi specifici relativi alla inesistenza oggettiva delle operazioni, tenuto conto del fatto che il soggetto che aveva emesso la fattura, oltre che evasore totale: a) non aveva alcun dipendente nell’anno 2006; b) aveva un’età piuttosto elevata per potere eseguire da solo i lavori manuali; c) aveva reso dichiarazioni che avvaloravano la prospettazione dell’amministrazione finanziaria; inoltre, ha evidenziato che le prove contrarie prodotte dalla contribuente non erano idonee a provare l’effettività delle prestazioni, avendo la stessa unicamente documentato il pagamento di alcune fatture mediante assegni o pagamenti in contanti;

sotto tale profilo, la pronuncia censurata. ha fatto corretta applicazione dei principi in materia di riparto dell’onere della prova, avendo tenuto conto degli elementi presuntivi addotti dall’amministrazione finanziaria e di quelli prodotti dalla contribuente, ritenendo, a seguito di una valutazione non sindacabile in questa sede, che i primi fossero idonei a sostenere la prospettazione difensiva circa la legittimità della pretesa;

d’altro lato, proprio dal contenuto della motivazione della sentenza si evince che la prova contraria della contribuente è stata presa in considerazione dal giudice del gravame ma, al tempo stesso, è stata ritenuta non idonea a superare la valenza probatoria degli elementi presuntivi fatti valere dall’amministrazione finanziaria;

non correttamente, peraltro, parte ricorrente sostiene che la pretesa dell’amministrazione finanziaria era fondata unicamente sulle dichiarazioni extraprocessuali rese dal terzo;

come si è specificato, la pronuncia del giudice del gravame si fonda su diverse circostanze di fatto, quali la incertezza delle indicazioni delle fatture, il fatto che l’emittente le fatture non aveva alcun dipendente nell’anno 2006 ed aveva un’età piuttosto elevata per potere eseguire da solo i lavori manuali;

in questo contesto, recede e perde di rilievo, dunque, la ragione di doglianza prospettata in ordine alla valenza delle dichiarazioni del terzo nell’ambito del processo tributario, posto che l’accertamento del giudice del gravame non si è fondato unicamente sul contenuto delle medesime, ma su ulteriori profili, come sopra specificato;

peraltro, la pronuncia del giudice del gravame è conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare ai fini della decisione dichiarazioni extraprocessuali, anche quelle che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento. Tali dichiarazioni, però, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (Cass. civ., 7 aprile 2017, n. 9080);

con riferimento, poi, al diverso profilo delle prove prodotte dalla contribuente, va precisato, in primo luogo, che con il motivo di ricorso parte ricorrente intende prospettare una ragione di doglianza che attiene alla valutazione degli elementi di prova già compiuta dal giudice del gravame e, pertanto, la stessa è inammissibile in questa sede;

d’altro lato, va ribadito quanto già sopra precisato in ordine alla prova cui è tenuto il contribuente in caso di contestazione della inesistenza oggettiva delle operazioni, in particolare il principio secondo cui la prova contraria non può consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia;

del tutto prive di rilievo, inoltre, sono le ulteriori considerazioni relative al mancato svolgimento di indagini bancarie e sulla manodopera dell’emittente le fatture, profili del tutto avulsi dal contesto decisionale della sentenza censurata;

infine, inammissibile è il profilo di cloglianza relativo alla illogicità o contraddittorietà della motivazione, posto che lo stesso non si misura in alcun modo con la ragione della decisione, basata, come detto, su elementi presuntivi che il giudice del gravame ha ritenuto idonei, sotto il profilo probatorio, a fondare la legittimità della pretesa dell’amministrazione finanziaria, in particolare con il fatto che, nell’anno 2006, il soggetto che aveva emesso le fatture non aveva alcun dipendente e non era in condizioni di potere svolgere da solo i lavori risultanti dalle fatture;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, per non avere pronunciato l’illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto il verbale delle dichiarazioni rese dal terzo non risultavano ad esso allegate o ritra scritte;

il motivo è inammissibile;

in primo luogo, va osservato che il giudice del gravame non ha fondato la propria decisione unicamente sulle dichiarazioni rese dal terzo, avendo la stessa precisato che: “la dichiarazione resa dallo stesso E., che è stata riprodotta nella motivazione dell’avviso di accertamento, è comunque circostanza che avvalora la tesi dell’ufficio”;

dunque, la decisione del giudice del gravame è stata basata sulla sussistenza di altri elementi di prova presuntiva, sicchè le dichiarazioni del terzo hanno assunto una mera valenza rafforzativa del complessivo quadro probatorio già tenuto in considerazione al fine di accertare l’inesistenza oggettiva delle operazioni;

peraltro, come si evince dal passaggio della sentenza sopra riportato, e come successivamente precisato nella stessa motivazione della pronuncia: “la Commissione, rilevato che il contenuto delle dichiarazioni dell’ E. erano già state riprodotte nell’avviso di accertamento e quindi conosciute dalla contribuente, ritiene priva di fondamento l’eccezione di violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7”;

con questi specifici passaggi motivazionali, diretti ad evidenziare che non sussisteva alcuna lesione del diritto di difesa della contribuente, poichè l’avviso di accertamento risultava contenere le dichiarazioni del terzo, non si misura alcun modo iil presente motivo di ricorso, nè viene assolto l’onere di specificità del motivo, allegando o riproducendo l’avviso di accertamento;

in conclusione, il primo motivo è infondato, il secondo in parte infondato in parte inammissibile, il terzo è inammissibile, con conseguente rigetto del ricorso;

nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione della intimata; si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente ricorrenti, di urli ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

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