Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16114 del 22/07/2011

Cassazione civile sez. I, 22/07/2011, (ud. 01/03/2011, dep. 22/07/2011), n.16114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

INTESA GESTIONE CREDITI s.p.a. (già Carisal – Cassa di Risparmio

Salernitana s.p.a., già Intesabci Gestione Crediti s.p.a.), iscritta

all’Albo delle banche ed appartenente al “Gruppo Intesa Bei”, già

Banca Intesa s.p.a., nella sua qualità di procuratore di Banca

Intesa s.p.a., in virtù di procura autenticata per atto Notar Carlo

Marchetti di Rho del 4 febbraio 2005, rep. N. 151 – racc. n. 97, in

persona del funzionario, avv. Antonio Squicciarino, in virtù di

procura autenticata, conferita con atto Notar P. Scalamogna di Milano

in data 11 maggio 2005, rep. N. 22747, – racc. 7687, elettivamente

domiciliata in Roma, Piazza del Fante 2, presso l’avv. PALMERI

GIOVANNI, che la rappresenta e difende, insieme con l’avv. Alessandra

Villecco del Foro di Cosenza, per procura in atti;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DITTA DE ROSE EXPORT DI FRANCESCO DE ROSE, in persona del

curatore pro tempore, e TECU s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 427/04 del

18 agosto 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza in data

1 marzo 2011 dal relatore, cons. Stefano Schirò;

udito, per la ricorrente, l’avv. Alessandra Villecco, che si è

riportata al ricorso;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale, Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 427/04 del 18 agosto 2004 la Corte di appello di Catanzaro pronunciava sull’appello originariamente proposto da Banca Commerciale Italiana, a cui era succeduta Intesa Gestione Crediti s.p.a., in qualità di procuratore di Banca Intesa Commerciale Italia s.p.a., nei confronti del Fallimento della ditta De Rose Export e di Tecu s.p.a. (creditrice del Fallimento De Rose per circa un miliardo) avverso la sentenza in data 2 ottobre 2000, con la quale il Tribunale di Cosenza, in accoglimento della domanda del Fallimento, aveva dichiarato inefficaci nei confronti della curatela le cessioni dei crediti compiute dalla ditta De Rose Export in favore della Banca Commerciale Italiana ed i conseguenti pagamenti di L. 80.650.625 e di L. 224.206.075, eseguiti rispettivamente il 10 settembre 1982 e il 24 novembre 1982, condannando per l’effetto la Banca Commerciale Italiana alla corresponsione in favore della curatela delle somme, già rivalutate all’attualità, di L. 120.119.611 e di L. 316.107.422, oltre agli interessi legali sull’importo complessivo, a decorrere dalla domanda e fino al soddisfo.

Con la menzionata sentenza la Corte di appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, escludeva la rivalutazione del credito, ritenuto di valuta e non di valore, e condannava Intesa BCI Gestione Crediti s.p.a. al pagamento in favore del Fallimento della minor somma Euro 157.445,34 (equivalenti a L.. 304.856.700), oltre agli interessi legali dalla domanda al soddisfo.

A fondamento della sentenza la Corte di merito così argomentava: a – nessun rilievo poteva attribuirsi a provvedimento giudiziale in data 16 giugno 1982, con il quale la ditta De Rose Export, sottoposta ad amministrazione controllata, era stata autorizzata ad una apertura di credito per l’importo di L. 300.000.000, necessario alla gestione dell’attività aziendale e da estinguere in prededuzione con rimesse che sarebbero pervenute dallo Stato libico; infatti il provvedimento era stato emesso quando la ditta si trovava già in amministrazione controllata; inoltre le cessioni di credito e i pagamenti eseguiti in adempimento di tali cessioni, oggetto della revocatoria, si erano perfezionati in epoca di gran lunga anteriore al provvedimento del giudice delegato;

b – correttamente il Tribunale aveva ritenuto che le rimesse incassate dalla Banca Commerciale Italiana avessero la funzione di estinguere almeno in parte il credito che la Banca vantava nei confronti di De Rose Export e non già di ripristinare la provvista dei conti correnti, in quanto alle date delle rimesse (10 settembre 1982 e 24 novembre 1982) i conti correnti della De Rose erano stati azzerati, chiusi e passati a sofferenza; inoltre le cessioni di credito operate a garanzia delle anticipazioni non erano state contestuali a tali anticipazioni, ma successive, ed erano state perciò effettuate in funzione solutoria, con conseguente assoggettamento a revocatoria fallimentare, tenuto conto anche della loro anormalità rispetto a pagamenti in denaro; c – l’appellante non aveva fornito alcuna prova sulla ignoranza dello stato di decozione della De Rose ed anzi tale ignoranza non era seriamente ipotizzabile alla stregua delle risultanze processuali;

d – era fondata la censura relativa all’avvenuta rivalutazione del credito, con conseguente esclusione non solo della rivalutazione, ma anche del risarcimento del maggior danno, rimasto non provato.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di due motivi illustrati con memoria, Intesa Gestione Crediti s.p.a., nella qualità di procuratore di Banca Intesa s.p.a. Le intimate non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, deduce che erroneamente la Corte di appello ha applicato il disposto del comma 1, n. 2, di detto articolo a situazioni di fatto in realtà regolate dall’ari dalla L. Fall., art. 67, comma 2, con le conseguenze di legge in ordine all’onere della prova sulla conoscenza dello stato d’insolvenza del debitore, in tale seconda ipotesi gravante sul curatore del fallimento. La ricorrente lamenta, in particolare, che la Corte di merito non ha applicato il principio, secondo cui, per valutare l’anormalità di un pagamento, occorre avere riguardo all’intera operazione in cui è inserito. Nel caso di specie le cessioni di credito, riguardanti rimesse libiche, si inserivano in una operazione di finanziamento aperto relativa ad un debito non scaduto per il quale la società non era mai stata costituita in mora. Con il secondo motivo si denuncia vizio di illogica, contraddittoria e omessa motivazione, nella parte della sentenza impugnata in cui la Corte di appello ha ritenuto che le somme incassate dalla banca avessero la funzione di estinguere il credito vantato nei confronti della De Rose Export e che le cessioni di credito operate a garanzia delle anticipazioni ottenute dalla BCI non erano contestuali a dette anticipazioni di denaro, ma successive. Si afferma che la Corte di merito ha distinto contraddittoriamente tra momento perfezionativo delle cessioni, antecedente al provvedimento con il quale era stata autorizzata un’apertura di credito a favore della ditta De Rose Export, e momento dell’incasso avvenuto successivamente all’azzeramento dei conti correnti e che comunque le cessioni di credito sono state contestuali e non successive alle anticipazioni, come invece erroneamente ritenuto dai giudici di appello.

2. I due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, sono privi di fondamento e non meritano accoglimento.

La Corte di appello di Catanzaro, con apprezzamento di fatto censurabile in sede di giudizio di cassazione solo per vizi attinenti alla motivazione, ha accertato che le cessioni di credito di cui trattasi non sono state contestuali alle anticipazioni di denaro ma successive ed hanno avuto la funzione solutoria di estinguere in parte il credito che la Banca Commerciale Italiana vantava nei confronti della ditta De Rose Export, ma non già di ripristinare la provvista dei conti correnti alla stessa ditta intestati che, alla data dell’incasso da parte della banca delle rimesse provenienti dall’estero, erano stati azzerati, chiusi e passati in sofferenza.

Sulla base di tale valutazione delle risultanze di causa, i giudici di appello, confermando sul punto la decisione del tribunale, hanno ritenuto l’anormalità delle cessioni di credito rispetto ai pagamenti in denaro, assoggettandole a revocatoria fallimentare ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1.

Alla stregua di tale complessivo accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale, non sussiste la dedotta contraddizione in cui sarebbe caduto il giudice di secondo grado nel fare, una volta, riferimento al momento perfezionativo delle cessioni di credito e, altra volta, al momento dell’incasso da parte della banca delle rimesse estere, atteso che, secondo la motivazione dello stesso giudice, già le cessioni di credito, essendo posteriori, al momento del loro perfezionamento, alle anticipazioni effettuate dalla banca in favore della ditta De Rose Export, assolvevano ad una funzione solutoria di estinzione parziale del credito della banca e non ripristinatoria della provvista dei conti correnti intestati alla detta debitrice. Nel contesto della ricostruzione dei fatti compiuta dalla Corte di merito, il riferimento alla circostanza che, al momento dell’incasso delle rimesse estere da parte della banca, i conti correnti della ditta De Rose Export erano stati già azzerati, chiusi e passati in sofferenza, ha costituito per i giudici di appello ulteriore elemento di convincimento che le cessioni di credito erano preordinate proprio all’estinzione almeno parziale del credito vantato dalla banca.

La ricorrente contesta anche che le cessioni di credito siano state effettivamente concluse in epoca successiva alle anticipazioni di somme dalla stessa effettuate.

La doglianza, che si concretizza nella prospettazione di una diversa ricostruzione degli elementi di fatto della causa e quindi nella richiesta, inammissibile in sede di giudizio di legittimità, del riesame nel merito di tali elementi di fatto, è stata comunque svolta in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quanto la ricorrente, nel fare riferimento a cessioni di credito la cui data sarebbe coeva a quella delle anticipazione effettuate dalla banca, ha omesso di riportare nel ricorso il testo degli atti che tali anticipazioni e cessioni conterrebbero, così impedendo alla Corte di legittimità di verificare la pertinenza e la decisività di detti elementi di prova. Anche dove, in un punto specifico del ricorso (pag. 12), la ricorrente ha ritenuto di trascrivere l’asserito contenuto di un atto di cessione, è stata effettuata una trascrizione del tutto incompleta e generica, priva di riferimento alcuno ai soggetti e ai fatti di causa, e quindi inidonea a soddisfare le esigenze poste a base del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Merita al riguardo condivisione l’orientamento, più volte affermato da questa Corte e a cui il collegio intende dare continuità, secondo cui il ricorrente, che in sede di legittimità denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 2006/14973;

2010/17915). Non assume rilievo decisivo, in senso contrario, l’affermazione contenuta nella sentenza del tribunale – richiamata dai giudici di appello al solo scopo di dimostrare la conoscenza da parte della banca dello stato d’insolvenza della ditta De Rose Export – secondo cui “… la BCI ha preteso al momento della anticipazione la cessione dei crediti vantati dalla De Rose Export…”, non deponendo tale assunto in modo univoco a favore della necessaria contestualità tra le anticipazioni di somme effettuate dalla banca e le cessioni di credito da questa richieste, non potendosi escludere, sulla base della stessa affermazione del primo giudice e attesa la certa collocazione temporale di tali cessioni, da parte della Corte di merito, in epoca posteriore alle erogazioni di somme effettuate dalla banca, che le cessioni medesime siano state concluse e poste in essere in un momento successivo con una finalità tipicamente solutoria.

Alla stregua dell’accertamento di fatto compiuto dalla Corte di merito sulla base di una motivazione che, per le ragioni esposte, resiste alle censure della ricorrente, deve ritenersi che la sentenza impugnata risulta conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale, condiviso dal collegio, secondo cui la cessione di credito, effettuata in funzione solutoria, si caratterizza come anomala rispetto al pagamento effettuato in danaro o con titoli di credito considerati equivalenti al danaro ed è, pertanto, soggetta a revocatoria fallimentare a norma della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, sottraendosene soltanto quando sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito con essa estinto (Cass. 1997/6047; 2002/5917; 2006/26697).

Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato, ma nulla deve disporsi in ordine alle spese processuali, non avendo le parti intimate svolto difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2011

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