Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16113 del 08/07/2010

Cassazione civile sez. III, 08/07/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 08/07/2010), n.16113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27691/2006 proposto da:

S.B. COMMUNICATIONS SRL (OMISSIS) in persona dell’amministratrice

legale rappresentante D.S., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA LABICANA 92, presso lo studio dell’avvocato ST CROCETTA

TESTA, rappresentata e difesa dagli avvocati FUSCO Silvio, TESTA

GIANFRANCO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GROWING SRL (OMISSIS) in persona dell’amministratore unico e

legale rappresentante pro tempore Sig. C.F.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO II 33, presso lo

studio dell’avvocato LUDINI Elio, che la rappresenta e difende giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO GORILLA BIANCO SUPERNATURAL FAST GOOD SRL;

– intimato –

avverso la sentenza :i. 2265/2006 deLla CORTE D’APPELLO di ROMA,

Sezione Terza Civile, emessa il 17/5/2006, depositata il 30/05/2006,

R.G.N. 6167/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

08/04/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato ELIO LUDINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO

La s.r.l. Growing, nel convenire dinanzi al tribunale di Roma la SB Communications, espose che, con contratto registrato nel dicembre del 2003, aveva affittato a quest’ultima, per il periodo di 4 anni, un’azienda commerciale per la somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, i cui locali erano di proprietà di V. e V.A., i quali li avevano concessi in locazione alla Gorilla s.r.l., che a sua volta li aveva ceduti ad essa Growing per la durata di sei anni.

Lamentando che la convenuta aveva pagato i canoni solo parzialmente e con notevole ritardo, la Growing chiese la risoluzione del contratto di affitto, la condanna alla restituzione dell’azienda, la corresponsione dei canoni scaduti e a scadere sino all’esecuzione dell’invocato provvedimento giudiziario, il risarcimento dei danni.

La SB, nel costituirsi, invocò preliminarmente la sospensione del giudizio per essere pendente, ai sensi della L. Fall., art. 66, altro procedimento promosso dal fallimento della precedente locatrice Gorilla srl nei confronti di essa Growing, chiedendo altresì che venisse dichiarata inefficace la cessione d’affitto dell’azienda effettuata a suo tempo dalla società poi fallita alla Growing, svolgendo infine ulteriori difese nel merito corredate dalla richiesta, in via riconvenzionale, di rimborso delle somme a vario titolo erogate nel corso dell’affitto.

A seguito della richiesta di sequestro dell’azienda, interveniva volontariamente il fallimento Gorilla, che si associava alle richieste della SB Communications.

Il giudice di primo grado accolse la domanda, dichiarando risolto di diritto il contratto di affitto di azienda e condannando la convenuta (della quale rigettava la riconvenzionale) al pagamento dei canoni scaduti, per un importo di Euro 97.576.

L’impugnazione proposta dalla odierna ricorrente fu rigettata dall’adita corte di appello di Roma.

La sentenza è stata impugnata dalla SB Communications con ricorso per cassazione sorretto da 4 motivi.

Resiste con controricorso illustrato da memoria la Growing srl.

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 295 e 104 c.p.c..

Il motivo è inammissibile.

Esso si conclude, difatti, con la formulazione di 4 distinti quesiti di diritto, che attengono a fattispecie normative affatto dissimili (intervento volontario ex art. 105 c.p.c., assunzione della qualità di parte nel giudizio, sospensione necessaria del procedimento), in patente contrasto con quello che può indubitabilmente ritenersi ormai ius receptum di questa corte regolatrice, che più volte ha affermato il principio secondo il quale il quesito di diritto che il ricorrente ha l’onere di formulare ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere proposto in modo tale che la Corte possa rispondervi, sic et simpliciter, in via affermativa o negativa, con la conseguenza che è inammissibile il quesito formulato in termini tali da richiedere una previa attività interpretativa, come accade nell’ipotesi in cui sia proposto un quesito multiplo, la cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente mediante una preventiva opera di semplificazione, per poi procedere alle singole risposte che potrebbero essere tra loro diversificate (ex multis, Cass. 1906/2008; Cass. Ss.uu. 5924/2008).

Con il secondo motivo, si denuncia contraddittorietà della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo (al di là dei non latenti profili di inammissibilità che esso contiene, mancando del tutto la sintesi del fatto controverso del quale sì invoca una diversa lettura da parte del giudice di legittimità) è infondato.

Premesso che la sentenza impugnata risulta – come esattamente osservato in sede di controricorso evidentemente viziata da errore materiale (del quale è stata peraltro disposta la correzione), poichè la motivazione della sentenza contrasta, in parte qua con il pur predicato accoglimento del primo motivo di appello (f. 12 della pronuncia oggi impugnata), osserva il collegio come la motivazione stessa sia conforme a diritto nella parte in cui viene confermato l’obbligo, per la società oggi ricorrente, di effettuare il pagamento dei canoni di locazione in favore della Growing con la conseguente previsione, in caso di inadempimento, dell’effetto risolutivo de iure del contratto di affitto.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1453, 1456 c.c.; art. 112 c.p.c.); omessa o insufficiente motivazione.

Il motivo è inammissibile sotto un duplice, concorrente profilo.

Quanto al denunziato vizio di violazione di legge, esso, difatti, oltre a concludersi con un quesito multiplo afferente a fattispecie giuridiche del tutto disomogenee, viola altresì l’ulteriore regula iuris più volte affermata da questa corte regolatrice (e pluriuso, Cass. 4044/09) a mente della quale il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, ma deve di converso investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c..

La doglianza non può essere accolta.

Essa propone, difatti, a questa corte di legittimità, una questione di fatto volta a censurare l’interpretazione che, delle clausole contrattuali, il giudice del merito, con motivazione del tutto scevra da vizi logico-giuridici, ha operato nell’esaminare il contratto per cui è processo: ed è ius reception di questa corte regolatrice il principio secondo il quale, con riferimento all’azione di risoluzione del contratto in applicazione dell’art. 1456 cod. civ., la efficacia della clausola risolutiva espressa e la natura dichiarativa dell’azione, che implica il mero accertamento delle inadempienze, rendono insindacabile la valutazione del giudice di merito circa la sussistenza delle stesse, ove sorretta da motivazione priva di vizi logici e giuridici (per tutte, Cass. 23625/04).

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese – che possono per motivi di equità essere in questa sede compensate – segue come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2010

 

 

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