Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16111 del 26/06/2013

Civile Sent. Sez. 3 Num. 16111 Anno 2013
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

Ud. 09/05/2013

SENTENZA

sul ricorso 2209-2008 proposto da:
A.A., XX in persona dell’Amministratore Delegato e
L.R. p.t. Dott. CESARE BAJ, B.B., C.C.
e D.D. quest’ultime
2013
1032

nella loro qualità di eredi legittime di D.D., elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato MARAZZA
MAURIZIO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato MANDELLI RICCARDO giusta delega in atti;

1

Data pubblicazione: 26/06/2013

– ricorrente contro

FALCONE CIPRIANO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 2870/2006 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/05/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
MARIA CIRILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

di MILANO, depositata il 01/12/2006, R.G.N. 57/2004;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Cipriano Falcone conveniva in giudizio, davanti al
Tribunale di Como, D.D., nella qualità di direttore
del

Corriere quotidiano della città e provincia di Corno,

A.A.,

B.B.

e

la

XX,

risarcimento dei danni conseguenti alla pubblicazione, in data 4
gennaio 1998, di un articolo nel quale erano state riportati
notizie e dati personali riservati ponendoli in collegamento con
il ritrovamento, nella città di Como, di un arsenale di armi
appartenente alle Brigate rosse. Aggiungeva che il giorno dopo,

quest’ultima editrice del citato quotidiano, chiedendo il

5 gennaio 1998, il medesimo giornale aveva pubblicato, accanto yDu£
alla sua immagine, un’intervista da lui mai rilasciata e
corrispondente al contenuto di una telefonata intercorsa con uno
dei predetti convenuti.
Faceva presente, a sostegno della domanda, che era stato
arrestato nel 1979 in quanto appartenente al gruppo terroristico
denominato

Prima linea,

che era stato condannato e che aveva

scontato la relativa pena; di essere quindi riuscito, con enormi
sforzi, a costruirsi una nuova vita, sicché desiderava non
essere più accostato, agli occhi della pubblica opinione, a
fatti di terrorismo, trattandosi di una parte della sua
esistenza ormai chiusa, rispetto alla quale voleva soltanto
essere dimenticato. Riteneva, perciò, che le suddette
pubblicazioni costituissero violazione della legge 8 febbraio
1948, n. 47, e della legge 31 dicembre 1996, n. 675.

3

Costituitisi tutti i convenuti, il Tribunale di Como
rigettava la domanda.
2. Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello il
Falcone.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza del l ° dicembre

le due pubblicazioni di cui sopra costituivano violazione delle
menzionate leggi e condannava i convenuti, in solido fra loro,
al pagamento della somma di euro 30.000, oltre interessi legali
dalla pronuncia al saldo, nonché alla pubblicazione della
sentenza a spese degli appellati; condannava altresì questi
ultimi al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
Osservava la Corte territoriale che il punto centrale della
vicenda era costituito dall’esistenza o meno di un consenso del
Falcone alla pubblicazione di quella che veniva definita
“intervista”, con relativa foto riportante il nome ed il
cognome. Era accaduto, in effetti, che, dopo la pubblicazione
del primo articolo, il Falcone aveva contattato per telefono la
direzione del quotidiano, invitandola ad astenersi dal procedere
ad altre pubblicazioni che lo riguardavano; dalle deposizioni
dei testimoni era emerso che l’appellante non intendeva
rilasciare alcuna intervista, ma soltanto chiedere che fosse
rispettata la sua vita privata, tanto più che si trattava di
episodi risalenti al lontano 1979. Conseguentemente, mancava il
consenso alla pubblicazione della foto e della c.d. intervista.

4

2006, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava che

Richiamando la normativa

in tema di tutela della

riservatezza, la Corte milanese evidenziava la mancanza, nella
specie, dell’interesse pubblico alla diffusione della notizia;
aggiungeva che per la sussistenza del diritto di cronaca deve
esserci un interesse attuale alla conoscenza della notizia,

all’oblio in riferimento ad una parte tanto drammatica della sua
vita personale; e che, comunque, estrarre la foto del Falcone
risalente al 1979 dall’archivio del giornale – fotografia che,
accompagnata dal

nome

e

dal

cognome,

ben consentiva

l’individuazione dell’appellante – costituiva una violazione del
diritto alla riservatezza, per di più in quanto accostata al
ritrovamento di un arsenale di armi nel comasco, appartenente
alle disciolte

Brigate rosse.

D’altra parte, secondo la

sentenza, rievocare, a distanza di tanti anni, una serie di
eventi

così

personali

e

dolorosi

appariva

certamente

censurabile, «dal momento che essi fatti non avevano al momento
della pubblicazione alcuna attinenza con il pubblico interesse
né tanto meno presentavano aspetti di rilievo sociale».
In ordine alla determinazione del danno, la Corte d’appello
dichiarava di dover procedere alla liquidazione con criteri
equitativi, tenendo conto della «potenzialità lesiva delle
notizie diffuse, della capacità diffusiva del veicolo
dell’informazione nonché della possibilità che il Falcone sia
stato riconosciuto ed individuato al di là della cerchia dei
soggetti a lui più vicini».

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elemento certamente mancante; che il Falcone aveva diritto

3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano
propongono ricorso per cassazione la XX, A.A., B.B., C.C. e D.D., le ultime due nella qualità di eredi del defunto
D.D., con unico atto contenente quattro complessi

Il Falcone non ha svolto attività difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Col primo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art.

360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e
falsa applicazione degli artt. l, 12 e 25 della legge n. 675 del
1996, con errata identificazione della nozione di dato personale
tutelabile, oltre a vizio di motivazione in ordine
all’irrazionale esclusione della natura storica dei fatti
narrati ed all’erronea qualificazione degli stessi come fatti
meramente privati.
Rilevano i ricorrenti che gli articoli di giornale oggetto di
causa si inseriscono in un’ampia ricostruzione dei c.d. anni di
piombo, in relazione al ritrovamento di una notevole quantità di
armi nel comasco.
Dopo aver richiamato il contenuto dei due articoli di
giornale, i ricorrenti osservano che il consenso del Falcone non
era necessario, in considerazione sia della natura dei dati sia
dell’attività di chi li stava divulgando. Ed infatti, le
informazioni relative ad una vicenda che è entrata a far parte
della «memoria storica collettiva» possono essere rievocate

6

motivi ed accompagnato da memoria.

senza limiti temporali, anche da parte dei giornali; nella
specie, la partecipazione del Falcone alle note vicende del
gruppo terroristico

Prima linea

costituiva un dato pacifico,

noto all’opinione pubblica e, per ciò stesso, di interesse
generale, rispetto al quale non è configurabile un diritto

la loro divulgazione sarebbe possibile in virtù della
professione svolta dagli odierni ricorrenti, godendo l’attività
status,

di giornalista di un particolare

riconosciuto dall’art.

25 della legge n. 675 del 1996.
Aggiungono poi í ricorrenti che lo stesso Falcone, oggetto di
vari procedimenti penali, aveva diffuso a suo tempo, con una
lettera inviata ai giornali, una sintesi della propria vicenda
umana; e gli articoli di giornale oggi in contestazione non
fanno che riprodurre – in termini del tutto fedeli – quando già
pubblicamente ammesso dall’interessato.
2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e
falsa applicazione dell’art. 8, secondo comma, lettera e), della
direttiva CEE 24 ottobre 1995, n. 94/46/C.
Si osserva, al riguardo, che tale direttiva ha costituito la
fonte comunitaria che ha condotto all’approvazione della
normativa nazionale in tema di tutela dei dati personali. In
base al citato art. 8, il divieto di trattamento dei dati
sensibili non sussiste quando gli stessi siano stati resi
pubblici dalla persona interessata. Tale principio sarebbe stato

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all’oblio. E comunque, se anche si trattasse di dati personali,

violato dalla Corte d’appello, poiché la menzionata lettera
inviata dal Falcone a tutti i giornali costituirebbe una ragione
sufficiente a permettere la divulgazione dei dati medesimi.
3. Col terzo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., erronea valutazione

comunicati dal Falcone ai giornalisti, nonché erroneo giudizio
sulla necessità di un espresso consenso oltre ad omessa
considerazione dell’assenza di un danno nella divulgazione
oggetto di causa.
Le argomentazioni a sostegno di questo motivo ripetono, in

della necessità di una intervista per poter divulgare i dati

sostanza, quanto già detto in precedenza, aggiungendo che, in fi ftd,
ogni modo, nessun pregiudizio poteva essere derivato al Falcone
dalla pubblicazione degli articoli contestati, perché essi non
facevano che confermare la sua completa riabilitazione sociale.
4. I primi tre motivi di ricorso – che pongono all’esame
della Corte il delicato problema dei rapporti esistenti tra il
diritto alla riservatezza ed il diritto di cronaca, entrambi
tutelati dalla Costituzione, in relazione al c.d. diritto
all’oblio – possono essere trattati congiuntamente e sono tutti
privi di fondamento.
4.1. Rileva questa Corte che la vicenda in esame si colloca
nel periodo di vigenza della legge n. 675 del 1996, oltre che in
una data antecedente, sia pure di pochi mesi, l’approvazione del
codice di deontologia dei giornalisti relativo al trattamento

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dei dati personali (avvenuta con provvedimento del Garante per
la protezione dei dati personali in data 29 luglio 1998).
L’art. 25 della legge n. 675 del 1996 disponeva già – con una
previsione poi in sostanza recepita dall’art. 137 del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, oggi vigente – che il

dell’interessato ove avvenga nell’esercizio della funzione di
giornalista. Ciò in quanto il diritto alla riservatezza incontra
un limite nello speculare diritto di cronaca, col quale entra,
potenzialmente, in conflitto. Tuttavia, affinché il consenso
dell’interessato non sia necessario, occorre che la diffusione
della notizia risponda – come oggi afferma, con felice sintesi,
l’art. 137 del d.lgs. n. 196 del 2003 – ad un criterio di
«essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse
pubblico»;

d’altra parte, anche il codice deontologico sopra

richiamato prevede, all’art. 5, comma 1, che il giornalista
«garantisce il diritto all’informazione su fatti di rilevante
interesse pubblico, nel rispetto dell’essenzialità
dell’informazione».
Come questa Corte ha già affermato, nell’ipotesi di conflitto
e necessario bilanciamento tra diritti di rango costituzionale
come il diritto alla riservatezza garantito dall’art. 2 Cost. e
il diritto di cronaca garantito dall’art. 21 Cost., pur in
presenza dell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti
divulgati, nonché di una forma civile di esposizione e
valutazione di essi, non è consentita la compressione senza

9

trattamento dei dati personali non richiede il consenso

1/v4

alcun limite del diritto alla riservatezza, atteso che non ogni
lesione del diritto “soccombente” può ritenersi giustificata,
essendo giustificata la lesione solo nei limiti in cui è
strettamente funzionale al corretto esercizio del diritto
vittorioso, ed essendo altresì necessaria una valutazione di

diritto antagonista, che va effettuata in relazione al concreto
atteggiarsi dei diritti in contrapposizione (sentenza 9 giugno
1998, n. 5658).
Allo stesso modo è stato anche affermato che, in tema di
trattamento dei dati personali, la legge n. 675 del 1996
(applicabile anche in quel caso

ratione temporis)

stabilisce,

con riferimento alla attività giornalistica, il principio della
libertà del trattamento, nell’osservanza del codice deontologico
adottato con provvedimento del Garante del 29 luglio 1998, in
ossequio al diritto all’informazione su fatti di interesse
pubblico, ma anche al suo contemperamento con il canone della
essenzialità dell’informazione. Il rispetto delle previsioni
deontologiche è condizione essenziale per la liceità e la
correttezza del trattamento dei dati personali e, se tali
presupposti non sussistono, il consenso dell’interessato è
imprescindibile e la diffusione del dato senza quel consenso è
suscettibile di essere apprezzata come fatto produttivo di danno
risarcibile (così la sentenza 24 aprile 2008, n. 10690). Più di
recente, ed in coerenza con i menzionati precedenti, questa
Corte ha stabilito che al giornalista è consentito divulgare

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proporzionalità tra la causa di giustificazione e la lesione del

dati

sensibili

senza

il

consenso

del

titolare

l’autorizzazione del Garante per la tutela dei dati personali, a
condizione che la divulgazione sia “essenziale” ai sensi
dell’art. 6 del codice deontologico dei giornalisti, e cioè
indispensabile in considerazione dell’originalità del fatto o

accertamento in fatto rimesso al giudice di merito (sentenza 12
ottobre 2012, n. 17408).
Può dunque concludersi nel senso che i fattori decisivi dei
quali il giudice di merito deve tenere conto nel delicato
bilanciamento tra il diritto di cronaca e quello alla
riservatezza sono costituiti dall’essenzialità dell’informazione
e dall’interesse pubblico delle notizie divulgate.
4.2. Nel caso in esame, il ragionamento svolto dalla Corte
milanese si snoda attraverso una serie di passaggi così
riassumibili: l) non c’era il consenso del Falcone alla
pubblicazione della c.d. intervista, che poi tale non era, in
quanto egli si era limitato a dolersi per quanto era stato
pubblicato sul suo conto, invitando i giornalisti ad astenersi
dal fornire ulteriori notizie relative alla sua persona; 2) la
fotografia del Falcone, sebbene assai risalente nel tempo, ne
consentiva senza dubbio l’individuazione, tanto più che era
accompagnata dal nome e cognome; 3) non sussisteva alcuna
ragione o finalità di interesse pubblico alla divulgazione della
c.d. intervista, tanto più che alla scoperta dell’arsenale di
armi nel comasco non aveva fatto seguito alcuna imputazione a

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dei modi in cui è avvenuto; valutazione che costituisce

carico di chicchessia; d’altra parte, la rievocazione, a
distanza di tanto tempo, di fatti privati riguardanti la vicenda
personale del Falcone, non poteva avere, al momento della
pubblicazione, alcuna attinenza con il pubblico interesse, né
presentava aspetti di rilievo sociale; 4) non c’era alcun nesso

sicché nella specie il diritto all’oblio era da ritenere
prevalente rispetto all’esercizio del diritto di cronaca.
La sentenza impugnata, quindi, ha posto in evidenza che la
violazione del diritto alla riservatezza si poteva dedurre dalla
mancanza del consenso dell’interessato, dalla mancanza di un
interesse pubblico alla diffusione della notizia e
dall’arbitrario collegamento venutosi a creare tra il
ritrovamento, nella zona di Como, di un arsenale di armi
appartenenti alle disciolte Brigate rosse e la vicenda personale
di Cipriano Falcone, condannato molti anni prima in quanto
appartenente al gruppo terroristico denominato

Prima linea.

Tanto più che dalla telefonata pubblicata col secondo articolo
di giornale emergeva in modo incontestabile che il Falcone
desiderava proprio

essere dimenticato,

poiché la sua

appartenenza ad un gruppo terroristico apparteneva ad un remoto
passato che egli aveva cercato in tutti i modi di rimuovere
dalla sua vita.
4.3. Inquadrata nei termini suddetti, la sentenza impugnata pur meritando una correzione della motivazione nella parte in
cui sembra attribuire al consenso dell’interessato una valenza

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tra il ritrovamento delle armi e la vicenda passata del Falcone,

decisiva che, alla luce di quanto detto in precedenza, non
sussiste – regge alle censure di cui ai motivi di ricorso in
esame.
Rileva questa Corte che le vicende relative ai c.d.

anni di

piombo appartengono certamente alla memoria storica del nostro

interesse pubblico alla conoscenza di eventi che non hanno più,
se non in via del tutto ipotetica e non dimostrata, alcun
oggettivo collegamento con quei fatti e con quell’epoca. Nel
caso in esame, attenendosi alla ricostruzione puntuale e priva
di vizi logici compiuta dalla Corte di merito, il diritto alla
riservatezza del Falcone – che assume, nella specie, i connotati
del diritto ad essere dimenticato – deve prevalere sul diritto
di cronaca, perché il fatto puro e semplice del ritrovamento di
una cospicua quantità di armi nella zona di residenza del
Falcone non poteva consentire al giornalista di creare un
oggettivo

(ed arbitrario)

collegamento

tra quell’evento,

attuale, e la storia passata del Falcone, ex terrorista ma pure
ormai reinserito nel contesto sociale. La riemersione, per così
dire, di un fatto molto lontano nel tempo – che rivestiva,
all’epoca, un sicuro interesse pubblico – non si traduce,
facto,

ipso

nella permanenza dell’interesse anche nel momento

attuale; ed è del tutto evidente, proprio per la ricostruzione
operata dalla Corte milanese, che il riferimento alla vicenda
personale di Cipriano Falcone non aveva nessun collegamento con
l’evento del ritrovamento delle armi, se non al limitato fine di

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Paese, ma ciò non si traduce nell’automatica sussistenza di un

fare colore,

ossia di presentare la notizia (odierna) in modo

tale da destare l’attenzione dei lettori.
Né d’altra parte può dirsi, in relazione al secondo motivo di
ricorso, che la vicenda sia scriminata per il fatto che il
Falcone aveva a suo tempo – con una lettera inviata «a tutti i

del perché egli aveva compiuto la scelta del terrorismo. Anche
tralasciando, infatti, il semplice rilievo per cui il ricorso
non indica con precisione dove e quando tale “resoconto” sarebbe
stato reso pubblico, resta il fatto che la diffusione di notizie
personali in una determinata epoca ed in un determinato contesto
non legittima, di per sé, che le medesime vengano utilizzate
molti anni dopo, in una situazione del tutto diversa e priva di
ogni collegamento col passato. In altre parole, il lungo tempo
trascorso tra i due eventi fa sì che non possa ritenersi il
fatto oggi divulgato come un fatto «reso noto direttamente
dall’interessato» (per usare l’espressione dell’art. 137 del
d.lgs. n. 196 del 2003).
Questa Corte – in relazione ad una fattispecie diversa ma
sotto certi aspetti assimilabile a quella odierna – ha
recentemente ribadito (sentenza 5 aprile 2012, n. 5525) che è,
in ultima analisi, il principio di correttezza «a fondare in
termini generali l’esigenza del bilanciamento in concreto degli
interessi e, conseguentemente, il diritto dell’interessato ad
opporsi al trattamento, quand’anche lecito, dei propri dati». Ne
consegue che proprio il rispetto di tale basilare regola dei

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giornali» – reso pubblica la sua vicenda personale, dando conto

rapporti tra privati impone di riconoscere che il diritto
dell’interessato

ad essere dimenticato

intanto può cedere il

passo rispetto al diritto di cronaca in quanto sussista un
interesse

effettivo ed attuale

alla diffusione della notizia;

diversamente argomentando, altrimenti, si finirebbe col

alla divulgazione, anche in un contesto storico completamente
mutato.
Nel caso specifico, poi, la foto del Falcone (sia pure
risalente nel tempo) era stata pubblicata insieme alle sue
generalità, sicché la possibilità di identificazione può dirsi
certa; e il lungo tempo trascorso dall’epoca dei fatti di
terrorismo per i quali il Falcone era stato a suo tempo
condannato fa sì che non possa predicarsi della sua persona il
carattere della “notorietà”.
Da tanto consegue il rigetto dei primi tre motivi di ricorso,
con enunciazione del seguente principio di diritto:
“In tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto del
soggetto a pretendere che proprie, passate vicende personali
siano pubblicamente dimenticate (nella specie, c.d. diritto
all’oblio in relazione ad un’antica militanza in bande
terroristiche) trova limite nel diritto di cronaca solo quando
sussista un interesse effettivo ed attuale alla loro diffusione,
nel senso che quanto recentemente accaduto (nella specie, il
ritrovamento di un arsenale di armi nella zona di residenza
dell’ex terrorista) trovi diretto collegamento con quelle

15

riconoscere una sorta di automatica permanenza dell’interesse

-‘&I4

vicende stesse e ne rinnovi l’attualità. Diversamente, il
pubblico ed improprio collegamento tra le due informazioni si
risolve in un’illecita lesione del diritto alla riservatezza,
mancando la concreta proporzionalità tra la causa di
giustificazione (il diritto di cronaca) e la lesione del diritto

5.1. Col quarto motivo di ricorso si lamenta, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 cod.
civ. in punto di liquidazione del danno, nonché, in via
subordinata, vizio di motivazione sull’esistenza e la
determinazione del medesimo.

antagonista”.

Osservano i ricorrenti che la liquidazione in euro 30.000 N 21,C
disposta dalla Corte milanese sarebbe avvenuta senza distinzione
tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale; la lesività
della notizia rispetto all’onore e al decoro della persona,
infatti, dovrebbe avvenire nella sua globalità, tenendo presente
che gli articoli di giornale danno conto del mutamento di vita
del Falcone, il quale viene presentato come un soggetto ormai
totalmente reinserito nella vita civile, mentre la sentenza non
avrebbe compiuto un simile bilanciamento. D’altra parte la foto
pubblicata, risalendo al 1979, consentiva l’individuazione del
soggetto soltanto ad una cerchia molto limitata di persone,
tanto più che il Corriere quotidiano della città e provincia di
Corno è un quotidiano a limitata diffusione territoriale.
5.2. Il motivo non è fondato.

16

La liquidazione del danno è stata compiuta dalla Corte
d’appello con criteri equitativi, trattandosi di un caso nel
quale non sussistono criteri certi e predeterminati di
liquidazione. La valutazione equitativa del danno, in quanto
inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di

legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo
se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione
sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune
esperienza, o sia radicalmente contraddittoria (sentenze 26
gennaio 2010, n. 1529, e 19 maggio 2010, n. 12318).
La Corte territoriale ha dato conto della molteplicità degli
elementi considerati al fine di pervenire a tale risultato, né
il ricorso contiene argomentazioni idonee a scalfire la solidità
della

motivazione;

quanto

territoriale della notizia,

al

profilo

valgono

i

della
rilievi

diffusione
compiuti

nell’esaminare i precedenti motivi di ricorso.
6.1. Col quinto motivo di ricorso si lamenta, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92, secondo
comma, cod. proc. civ. e dei criteri di liquidazione delle spese
legali in base alle vigenti tariffe.
Rilevano i ricorrenti che la Corte d’appello, pur avendo
accolto in misura minima la domanda di risarcimento danni, ha
liquidato somme troppo elevate a titolo di spese di giudizio; la
liquidazione, infatti, dovrebbe farsi in base al

17

decisum e non

approssimazione, è suscettibile di rilievi in sede di

in base al petitum,

e il giudice di merito ha comunque il dovere

di distinguere tra diritti ed onorari; quanto al rimborso
forfetario nella misura del 12,5 per cento dei diritti ed
onorari, il giudice può disporlo, ma solo a specifica richiesta
di parte che, nella specie, non c’è stata. I ricorrenti, quindi,

grado e di secondo grado, come da note depositate davanti alla
Corte d’appello di Milano.
6.2. Il motivo non è fondato.
Le contestazioni ivi contenute in ordine alla concreta
liquidazione delle spese non superano la soglia di una evidente
genericità. La Corte territoriale, infatti, ha distinto, in sede
di liquidazione, i diritti dagli onorari; il ricorso, d’altra
parte, si limita a lamentare il superamento delle tariffe, ma
non indica con precisione le violazioni che il giudice di merito
avrebbe compiuto, come questa Corte ha sempre richiesto in
riferimento alle censure riguardanti il merito della
liquidazione delle spese.
Quanto al rimborso forfetario, lo stesso può essere
riconosciuto anche in assenza di specifica richiesta di parte,
dovendosi l’istanza ritenere implicita nella domanda di condanna
al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte
soccombente (sentenze 3 aprile 2007, n. 8238, e 22 febbraio
2010, n. 4209).
7. In conclusione, il ricorso è rigettato.

18

ripropongono la richiesta di liquidazione delle spese di primo

kg»’.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato
svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato
Cipriano Falcone.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 9 maggio 2013.

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