Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16109 del 26/06/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 16109 Anno 2013
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso 25424-2007 proposto da:
MINCHELLA DANIELE MNCDNL76C04L120R, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PARIGI 11, presso lo studio
dell’avvocato SOTIS FRANCESCO, rappresentata e difesa
dall’avvocato BORTONE MARIA LETIZIA giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

FONDIARIA SAI ASSICURAZIONI S.P.A. DIVISIONE SAI in
persona del legale rappresentante pro tempore e per
essa dal procuratore Dr. IVANO CANTARALE,

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Data pubblicazione: 26/06/2013

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 96,
presso lo studio dell’avvocato DI PAOLO LUCA,
rappresentata e difesa dall’avvocato LE FOCHE ERMANNO
giusta delega in atti;
– controricorrente –

DI GIROLAMO ANTONIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 3221/2006 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/07/2006, R.G.N.
4908/2002 e 6724/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/05/2013 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato ERMANNO LE FOCHE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

nonchè contro

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.

Daniele Minchella conveniva in giudizio, davanti al

Tribunale Latina, Antonio Di Girolamo e la SAI s.p.a. chiedendo
il risarcimento dei danni derivati dal sinistro verificatosi
sulla strada statale Appia in data 22 giugno 1994; circostanza

proprietà, era stato investito dalla vettura Renault 5, di
proprietà del Di Girolamo e condotta dal medesimo, riportando
gravi danni.
Il Tribunale di Latina,

ritenuta la responsabilità

esclusiva del convenuto nella determinazione dell’incidente, lo
condannava in solido con la società di assicurazione al
pagamento della somma complessiva di lire 439.492.500, oltre
interessi e col carico delle spese di lite.
2.

La pronuncia veniva appellata dal Minchella in via

principale, con citazione notificata il 17 maggio 2002, e dalla
SAI s.p.a. in via incidentale. Con successivo atto di citazione
notificato in data 15 gennaio 2003 il Minchella, assistito da
diverso difensore, proponeva un secondo appello, in relazione
al quale la convenuta SAI s.p.a. deduceva l’inammissibilità.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 7 luglio 2006,
rilevava innanzitutto l’inammissibilità del secondo appello in
quanto proposto tardivamente; quanto al primo, osservava che la
procura speciale conferita al difensore Avv. Di Trocchio non
risultava redatta nelle forme di cui all’art. 83 cod. proc.
civ., essendo stata apposta su un foglio bianco. Ne conseguiva

3

nella quale l’attore, alla guida di una moto Vespa 50 di sua

che

il Minchella doveva

considerarsi

assistito ancora

dall’originario difensore, ritenendosi la relativa revoca priva
di effetto.
Nel merito la Corte territoriale – dopo aver confermato
l’attribuzione

totale

della

responsabilità

a

carico

integrale dei danni e, accogliendo in parte entrambe le
impugnazioni, liquidava a favore del Minchella la somma
complessiva di euro 348.862, oltre interessi dalla data della
sentenza al soddisfo, con detrazione delle somme già versate
dalla SAI s.p.a. rivalutate dalla data dei singoli pagamenti;
condannava altresì gli appellati in solido al pagamento delle fíivl,
spese del primo grado di giudizio e compensava, invece, le
spese del grado d’appello.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma
propone ricorso il Minchella, con atto affidato a due motivi.
Resiste

la

Fondiaria

SAI

s.p.a.

con

controricorso

accompagnato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Rileva preliminarmente il Collegio che il presente
ricorso si colloca,

ratione temporis,

nel periodo di vigenza

dell’art. 366-bis cod. proc. civ., il quale imponeva che
ciascun motivo di ricorso fosse concluso dalla formulazione di
un quesito di diritto e che, in relazione alla censura di vizio
di motivazione, venisse fornita chiara indicazione del fatto

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dell’appellato Di Girolamo – procedeva ad una nuova valutazione

controverso in relazione al quale si assumeva che la
motivazione fosse mancante, insufficiente o contraddittoria.
1.2. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il
quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da
costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così

iuris

suscettibile di ricevere applicazione anche in casi

ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. È
inammissibile, perciò, il motivo di ricorso per cassazione il
cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di
carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione

da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula

sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla(
1/1/d
fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta
utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non
potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o
integrare il primo con il secondo (Sez. Un., sentenza 11 marzo
2008, n. 6420). Il quesito di diritto deve essere risolutivo
del punto della controversia e non può risolversi nella
richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di
principio da parte del giudice di legittimità (sentenza 3
agosto 2007, n. 17108); esso, infatti, dovendo assolvere alla
funzione di integrare il punto di congiunzione tra la
risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio
giuridico generale, non può essere meramente generico e
teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per
mettere la Corte in grado di comprendere dalla sua sola lettura

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l’errore asseritamente compito dal giudice di merito e la
regola applicabile (sentenza 7 marzo 2012, n. 3530).
1.3. Quanto, invece, alle censure di cui all’art. 360,
primo comma, n. 5), cod. proc. civ., questa Corte ha in più
occasioni rilevato l’inammissibilità della censura di omessa,

formulazione del c.d. quesito di fatto, in ossequio alla

ratio

che sottende la disposizione indicata, secondo cui la Corte di
legittimità deve essere posta in condizione di comprendere,
dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal
giudice di merito (sentenza 18 novembre 2011, n. 24255). Tale

insufficiente o contraddittoria motivazione per mancata

motivo di ricorso per cassazione, perciò, deve contenere un GvUC,
momento di sintesi omologo al quesito di diritto, costituente
una parte

che

si

presenti

a

ciò

specificamente

e

riassuntivamente destinata, che ne circoscriva puntualmente
limiti in maniera da non ingenerare incertezze in sede di
formulazione del

ricorso e

di valutazione della

sua

ammissibilità (Cass., S.U., 18 giugno 2008, n. 16528, seguita,
fra le altre, di recente, dalle sentenze 4 dicembre 2012, n.
21663, e 18 dicembre 2012, n. 23363).

2. Alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza di
questa Corte vanno quindi valutati i quesiti di diritto
formulati nell’odierno ricorso.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in
relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 83, 91 e 92

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cod. proc. civ., nonché dell’art. 132 cod. proc. civ. per
omessa e insufficiente motivazione su di un punto decisivo
della controversia.
In riferimento alla ritenuta invalidità della procura in
favore dell’Avv. Di Trocchio, il ricorrente osserva che

comportare l’estromissione del medesimo e la mancata
liquidazione delle spese in suo favore. Ferma, infatti,
l’inammissibilità, doveva rimanere in ogni caso valida la
procura. L’incongruenza della decisione sul punto si
tradurrebbe, perciò, in un vizio di motivazione.
Il motivo è supportato dal seguente quesito:
«se dall’inammissibilità di una impugnazione successiva ne
scaturisca, come ha ritenuto la Corte d’appello, anche la
nullità e/o l’inesistenza della procura conferita nell’atto di
appello stesso per il grado di giudizio al relativo
procuratore».
2.2. Il quesito sopra trascritto rende inammissibile il
motivo in esame, in quanto non coglie la

ratio decidendi della

sentenza della Corte d’appello di Roma.
La pronuncia impugnata, infatti, contiene due statuizioni
preliminari, l’una di inammissibilità del secondo atto di
appello, essendo decorso il termine breve decorrente dalla
prima impugnazione, e l’altra di difetto di validità della
procura in relazione all’atto di appello originariamente
proposto. È evidente, quindi, che il quesito pone una questione

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l’inammissibilità della seconda impugnazione non avrebbe dovuto

ininfluente ai fini del decidere, perché nel caso in esame
l’invalidità della procura non è stata fatta discendere
dall’inammissibilità della successiva impugnazione. Non si
riesce a comprendere, poi, per quale motivo la Corte d’appello,
che ha integralmente compensato le spese del grado, avrebbe

liquidazione delle spese stesse.
Quanto alla censura di vizio di motivazione, manca
totalmente il necessario momento di sintesi.
3.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in
relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2054
2697 cod. civ. e degli artt. 112, 113, 115 e 116 cod. proc.
civ., nonché violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per
omessa e insufficiente motivazione su di un punto decisivo
della controversia.
Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata merita
censura per il mancato riconoscimento, in sede di
determinazione del danno biologico permanente e del danno da
riduzione della capacità lavorativa specifica, della
valutazione sino a 70 punti espressa dal c.t.u. nel giudizio di
primo grado. La pronuncia, infatti, pur dichiarando di volersi
attenere alle indicazioni della c.t.u., non ne ha poi
rispettato le conclusioni; il danno biologico è stato valutato
partendo dalla percentuale del 35 per cento senza considerare
che la consulenza aveva affermato che tale valore doveva essere

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dovuto riconoscere al difensore privo di valida procura la

raddoppiato in considerazione dell’età del Minchella al momento
dell’incidente; sicché la sentenza d’appello era evidentemente
affetta da vizio di motivazione.
Oltre a ciò, la pronuncia della Corte d’appello viene
censurata per aver stabilito che dovessero essere detratte

che vi fosse alcuna prova al riguardo.
Il motivo è supportato dal seguente quesito:
«se allorquando il giudice si discosti dalle valutazioni
del c.t.u., senza ordinare una nuova consulenza, non sia tenuto
a motivare tale sua scelta e/o discordanti valutazioni; ovvero
se la detrazione di somme non documentata può essere ritenuta
provata dalla non tempestiva contestazione ad opera della
controparte».
3.2. Anche questo quesito rende inammissibile il motivo in
esame.
Esso, infatti, pone una domanda che è del tutto ininfluente
ai fini della decisione del caso in esame. È pacifico che il
giudice che si discosti da una valutazione compiuta dal c.t.u.
sia tenuto a dare conto delle ragioni di simile decisione; ma,
formulando tale quesito, la parte dimostra di non aver colto la
ratio decidendi della sentenza, nella quale la Corte d’appello
non si è, in effetti, discostata dalle valutazioni della
consulenza tecnica.
Dalle pagine 9 e 10 della pronuncia, infatti, emerge che la
Corte d’appello è partita proprio dalla percentuale del 35 per

9

dalla condanna le somme già versate dall’assicurazione senza

cento individuata dal c.t.u., provvedendo poi ad un ulteriore
incremento del punto da risarcire, sicché è palese che il
quesito di diritto si dimostra del tutto inconferente rispetto
al reale contenuto della sentenza impugnata e tende a
sollecitare questa Corte ad una nuova e più favorevole

Non è dato neppure comprendere esattamente quale sia la
censura formulata nella seconda parte del quesito, dove si fa
riferimento alla detrazione di somme non documentata, là dove
la Corte d’appello ha soltanto ritenuto di dover detrarre,
doverosamente, dall’importo del danno da risarcire le somme che
la società assicuratrice aveva già versato a titolo di
provvisionale.
Quanto alla censura di vizio di motivazione, manca
totalmente anche qui il necessario momento di sintesi.
4. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna della parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
conformità ai soli parametri introdotti dal decreto
ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a
disciplinare i compensi professionali.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte

dichiara inammissibile il

ricorso e condanna il

ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in complessivi euro 8.200, di cui euro 200 per spese,
oltre accessori di legge.

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valutazione del materiale probatorio esistente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza

Sezione Civile, il 9 maggio 2013.

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