Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16107 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 03/08/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 03/08/2016), n.16107

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9980-2014 proposto da:

CROCE ROSSA ITALIANA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

B.E., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza n. 3600/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio dell’il maggio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.. Gli odierni intimati, premesso di essere dipendenti dell’ente Croce Rossa Italiana assunti in forza di contratti a tempo determinato, hanno adito il giudice del lavoro chiedendo il pagamento di somme a titolo di compenso incentivante ex art. 32 CCNL, 1998/2001 Comparto Enti pubblici non economici, emolumento riconosciuto dall’ente datore di lavoro esclusivamente in favore dei lavoratori assunti a tempo indeterminato.

Il giudice adito ha accolto la domanda. La Corte di appello di Torino ha dichiarato, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., inammissibile l’appello proposto da C.R.I. avverso tale decisione.

C.R.I. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado e avverso la ordinanza di inammissibilità ex art. 348 ter c.p.c., formulando due motivi. Gli intimati hanno resistito con tempestivo controricorso.

Con il primo motivo parte ricorrente, deducendo plurime violazioni di legge, ha censurato l’ordinanza di inammissibilità in quanto adottata in assenza del presupposto rappresentato dalla esistenza di orientamenti giurisprudenziali conformi in materia. I la a tal fine evidenziato l’assenza di pronunzie di legittimità in ordine alla questione oggetto di causa e l’esistenza di pronunzie di altri Corti di appello, determinatesi in senso opposto alla tesi condivisa dalla Corte di appello di Torino.

Con il secondo motivo di ricorso, deducendo plurime violazioni di legge e di contratto collettivo, ha censurato la sentenza di primo grado per avere riconosciuto in favore dei lavoratori assunti a termine il compenso incentivante; ha in particolare argomentato diffusamente sulla incompatibilità di tale emolumento con la posizione lavorativa dei lavoratori assunti a termine.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile avendo questa Corte ripetutamente chiarito che l’ordinanza d’inammissibilità dell’appello ex art. 348 ter c.p.c., emessa nei casi in cui ne è consentita l’adozione, cioè per manifesta infondatezza nel merito del gravarne, non è ricorribile per cassazione, neppure ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento carente del carattere della definitività, giacchè il terzo comma del medesimo art. 348 ter, consente di impugnare per cassazione il provvedimento di primo grado (v., tra le altre, Cass n. 19944 del 2014. ord. n. 20470 del 2015).

Il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha disatteso in maniera puntuale i profili di censura avanzati dall’ente ricorrente (v., tra le altre, Cass. n. 488, n. 487, n. 359, n. 285, n. 279, n. 277, n. 197, n. 196, n. 152, n. 33 del 2016, e n 26007, n. 25552 del 2015).

In tali pronunzie è stato affermato che il compenso incentivante, quale elemento della retribuzione legato al raggiungimento di specifici obiettivi programmati nell’ambito dei fini istituzionali dell’ente, deve essere corrisposto anche al personale della Croce Rossa Italiana a tempo determinato, riferendosi l’art. 28, comma 1, lett. e, del C.C.N.L. del personale degli enti pubblici non economici del 16 febbraio 1999, che lo prevede, a “dipendenti” e a “lavoratori” e, quindi, a prestazioni di attività lavorative tanto a tempo indeterminato che determinato, senza che sia desumibile un’incompatibilità ontologica con una modulazione del rapporto a termine.

E’ stato, infatti, ritenuto che il mancato riconoscimento del compenso anche ai dipendenti assunti a tempo determinato, si pone in contrasto con il principio di non discriminazione, di cui alla clausola 4 punto I della Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE alla quale ha dato attuazione nell’ordinamento interno D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6, principio applicabile, secondo l’interpretazione della giurisprudenza della Corte di giustizia UE, ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico il quale esige che sia esclusa qualsiasi disparità di trattamento tra dipendenti pubblici di ruolo e dipendenti pubblici temporanei comparabili di uno Stato membro, per il solo motivo che questi ultimi lavorino a tempo determinato, a meno che la disparità di trattamento non sia giustificata da “ragioni oggettive” e cioè dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguano il rapporto di impiego in questione, nel particolare contesto in cui si iscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria (Corte giust. UE 13 settembre 2007, in causa C-307/05). Sicchè, i lavoratori a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento contrattuale di natura retributiva meno favorevole, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovino in una situazione comparabile: non potendo il carattere temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici costituire, di per sè, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell’accordo quadro, risolvendosi nella negazione, appunto discriminatoria, di una condizione di impiego (Corte giust. UE 22 dicembre 2010, in cause C-444/09 e C- 456/09, con specifico riferimento a un’indennità di servizio per anzianità).

Si è rilevato che dalla normativa contrattuale del settore, applicabile anche ai dipendenti della Croce Rossa a tempo determinato, non emerge alcuna distinzione tra questi e i dipendenti a tempo indeterminato, in merito al compenso incentivante in questione: ricorrendo, in riferimento a tale istituto retributivo accessorio, le locuzioni normative dipendenti e lavoratori, comprensive di prestazione di attività lavorative tanto a tempo indeterminato, quanto a tempo determinato. Si è quindi escluso che la sola teorica previsione di programmi ed obiettivi, in assenza di specifiche ed esplicitate ragioni, costituisca elemento idoneo a far ritenere l’inapplicabilità del compenso anche ai lavoratori con rapporto a termine e che dunque sia configurabile un’incompatibilità “ex se”,come sostenuto dalla Croce Rossa. L’obiettivo,infatti, di migliorare la qualità del servizio mediante erogazioni correlate alla produttività collettiva ed individuale può valere anche nel caso di contratto a termine salvo che in concreto il programma o l’obiettivo fissato dall’ente presuppongano in relazione al loro contenuto un rapporto di lavoro di durata ultrannuale oppure essere indirizzato in modo specifico a lavori che esulano da quelli generalmente riservati a lavoratori a tempo determinato i quali svolgono mansioni inerenti le convenzioni esistenti tra la CRI ed altri enti.

In merito poi alla corretta ripartizione dell’onere probatorio è stato affermato che sull’ente datore ricade l’onere di allegazione e prova della sussistenza di elementi precisi e concreti tali da giustificare la disparità di trattamento tra lavoratori con rapporto a termine e quelli assunti a tempo indeterminato; il lavoratore è, invece, tenuto a provare quale fonte negoziale integrante fatto costitutivo del proprio diritto, la prestazione lavorativa a tempo determinato, l’inquadramento ricevuto e l’inadempimento all’obbligo di corresponsione del trattamento retributivo.

In applicazione di tali condivisibili principi, rilevato che nel caso in esame non sono in contestazione le circostanze di fatto ora richiamate, mentre la Croce Rossa non ha assolto alla prova, a suo carico, del fatto impeditivo della pretesa ex adverso azionata (Cass. n. 6205 del 2010, n. 15677 del 2009, S.U. n. 13533 del 2001), dimostrando l’obiettiva incompatibilità (anzi smentita per le superiori argomentazioni) del compenso incentivante rivendicato dai lavoratori con i compiti ad essi assegnati e, prima ancora, della corresponsione dell’emolumento accessorio nell’effettiva ricorrenza dei requisiti contrattuali prescritti, in continuità con la richiamata giurisprudenza, il ricorso deve essere respinto, in quanto manifestamente infondato.

Si chiede che il Presidente voglia fissare la data per l’Adunanza camerale.

Ritiene questo Collegio che le considerazioni svolte dal Relatore sono del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza in materia. Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, per la definizione camerale.

A tanto consegue la declaratoria di inammissibilità del primo motivo e il rigetto del secondo. Le spese di lite sono regolate, secondo soccombenza.

E’ escluso il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da parte della ricorrente, in quanto parte istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa della sua qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo e rigetta il secondo.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 6.000,00 per compensi professionali, 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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