Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16106 del 28/07/2020
Cassazione civile sez. VI, 28/07/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 28/07/2020), n.16106
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5216-2019 proposto da:
L.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DEI QUATTRO
VENTI 166, presso lo studio dell’avvocato GASPARE SALERNO, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in
persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA
dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati
CHERUBINA CIRIELLO, ANGELO GUADAGNINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 33307/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
di ROMA, depositata il 21/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 17/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCHESE
GABRIELLA.
Fatto
RILEVATO
CHE:
la Corte d’appello di Roma dichiarava inammissibile il gravame proposto da L.F. avverso la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda volta ad ottenere l’annullamento del lodo emesso il 23 novembre 2006 dal collegio arbitrale di disciplina dell’INPS nonchè della determinazione n. 373 del 21 luglio 2006 con la quale era stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per la durata di mesi sei;
sul ricorso di L.F., questa Corte, con la sentenza qui impugnata ex art. 391 bis c.p.c., ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità; in particolare, la Corte ha rilevato come il dispositivo della sentenza della Corte di appello fosse conforme a diritto ma che occorresse procedere unicamente a correggerne la motivazione; ha, quindi, osservato che: a) la normativa applicabile alla fattispecie (relativa ad impugnativa di lodo emesso dal collegio arbitrale di disciplina dell’INPS) era quella dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 e 56, nel testo originario, e, sul piano contrattuale, dal CCNQ del 24 luglio 2003, di rinnovo del CCNQ su arbitrato e conciliazione stipulato il 23 gennaio 2001; b) “alle procedure arbitrali in materia di sanzioni disciplinari irrogate nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche (…) (anda)va riconosciuta natura irrituale, cui consegu(iva) l’applicabilità dell’art. 412-quater c.p.c., l’impugnabilità del lodo in primo (ed unico) grado innanzi al Tribunale in funzione di giudice del lavoro (…) e l’inammissibilità dell’impugnazione (…) dinanzi alla Corte d’appello (…)”; c) che il CCNQ 24.7.2003 non era divenuto inefficace, stante l’ultrattività fino alla stipula del successivo, e neppure era applicabile alla fattispecie il nuovo testo dell’art. 412 quater c.p.c. che, comunque, ribadiva la natura irrituale del lodo e la competenza a decidere del Tribunale in unico grado;
avverso la sentenza n. 33307 del 2018, il L. propone ricorso per revocazione per avere la Corte dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto nel 2008 anzichè ritenerlo ammissibile;
l’INPS resiste con controricorso;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
a sostegno della revocazione la parte, in estrema sintesi, oltre ad illustrare le ragioni per cui i provvedimenti disciplinari adottati dall’INPS sarebbero stati illegittimi e dedurre che il Collegio arbitrale era stato designato unilateralmente dall’INPS, assume che il giudice di legittimità avrebbe errato nel non considerare che il L. fosse già pensionato alla data di redazione della Delib. n. 373 del 2006;
il ricorso è inammissibile, non essendosi attenute le censure al
principio, in questa sede da ribadirsi, per cui “l’istanza di
revocazione di una sentenza della Corte di Cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391 c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio” (ex plurimis, v. Cass. n. 22171 del 2010; Cass. n. 4456 del 2015);
è innegabile come le circostanze addotte dalla parte ricorrente non siano atte ad integrare gli estremi dell’errore di fatto rilevante ai sensi del combinato disposto dell’art. 391 bis c.p.c., e dell’art. 395 c.p.c., n. 4;
la circostanza che il L. fosse o meno pensionato è argomentazione del tutto estranea all’impianto motivazionale della sentenza qui impugnata;
con immediata evidenza, le questioni introdotte minino a dar vita ad un ulteriore ed inammissibile grado del giudizio;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 dicembre 2019.
Depositato in cancelleria il 28 luglio 2020