Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16105 del 22/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 22/07/2011, (ud. 05/05/2011, dep. 22/07/2011), n.16105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

VOITH PAPER S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via della Conciliazione n. 30,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Misto Guglielmo;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, sez. 14^, n. 17 del 20 aprile 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

5.5.2011 dal consigliere relatore dott. Aurelio Cappabianca;

udito, per l’Agenzia ricorrente, l’avvocato dello Stato Paolo

Gentili;

udito, per la società controricorrente, l’avv. Guglielmo Maisto;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società contribuente propose ricorsi avverso avvisi di accertamento irpeg, iva ed irap, per l’anno 1999, ed iva, per l’anno 2000, con i quali l’Agenzia, aveva, tra l’altro, disconosciuto e, quindi, recuperato a tassazione: a) la deduzione, come costi connessi alla produzione del reddito, di somme versate dalla società, a titolo di royalties (per la concessione di licenze per l’utilizzazione di brevetti), ad alcune società estere (tedesche ed austriache), tutte controllate dalla holding tedesca Voith Paper Holding Gmbh & Co. KG, con sede in (OMISSIS), la quale, in forza del possesso della totalità delle relative quote, controllava anche, interamente, Voith Paper s.r.l.; b) la detrazione dell’iva corrispondentemente versata.

Quanto agli indicati recuperi, entrambi gli accertamenti erano fondati sul presupposto che gli elementi raccolti facevano ritenere che Voith Paper s.r.l. – nonostante la sua qualificazione formale come autonoma persona giuridica – costituiva stabile organizzazione italiana del gruppo tedesco Voith, sicchè si doveva inferire l’indeducibilità da parte di detta società, quali costi connessi alla produzione del reddito, delle somme versate a titolo di royalties in favore delle società estere del gruppo e l’indetraibilità dell’iva corrispondetemente versata; ciò, in funzione della particolare natura dei rapporti intercorrenti tra il soggetto non residente, produttore nello Stato di reddito d’impresa imponibile, e la sua stabile organizzazione nel territorio dello Stato medesimo.

Disattendendo la tesi dell’Agenzia secondo cui alla società ricorrente andava riconosciuta natura di stabile organizzazione di soggetto non residente, l’adita commissione provinciale accolse l’impugnativa della società contribuente avverso i recuperi sopra indicati. La decisione fu tuttavia, per tale profilo, riformata dalla commissione regionale, che riaffermò la legittimità dei recuperi medesimi.

In particolare, premesso che sul piano giuridico nulla osta a che anche una società di capitali possa fungere da stabile organizzazione di società estera, i giudici di appello, pervennero, al convincimento della ravvisabilità in capo alla società contribuente del ruolo di stabile organizzazione di soggetto non residente, attraverso analitica disamina degli elementi di fatto acquisiti in atti, ribadendo che la natura dei rapporti soggetto non residente/stabile organizzazione non consentiva la deduzione e la detrazione dedotte in controversia.

Avverso la decisione di appello, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione in sei motivi, illustrati anche con memoria.

L’Agenzia ha resistito con controricorso, deducendo preliminarmente l’inammissibilità dei motivi in cui si articolava il ricorso della società contribuente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A)- Il ricorso della società contribuente si articola in sei diffusi motivi, non sviluppati in sequenza di priorità logica ed articolati, ciascuno, in plurimi quesiti.

In particolare, con il primo motivo di ricorso, la società contribuente deduce “violazione e falsa applicazione delle norme in tema di determinazione della base imponibile in materia di irpeg e irap di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. dal 52 al 77 e 95 del ed al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 6 e 11 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè delle norme in tema di motivazione degli atti impositivi in materia di irpeg e irap di cui all’art. 7 dello statuto dei diritti del contribuente approvato dalla L. 21 luglio 2000, n. 212, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 e del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 25 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”. Formula, quindi, i quesiti di diritto di seguito riportati: sul vizio di omessa pronunzia a) “La sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulla circostanza che le disposizioni dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dall’art. 52 all’art. 77 (tuir), richiamate dall’art. 95 cit. tuir, e il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 6 e 11 non condizionano la deducibilità rispettivamente ai fini della determinazione della base imponibile irpeg e irap di un canone di licenza pagato da una società residente in Italia a società appartenenti allo stesso gruppo e residenti in Stati dell’Unione Europea, qualora queste ultime dispongano in Italia di una stabile organizzazione”, b) “la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulla circostanza che l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) (avviso di accertamento emesso ai fini delle imposte dirette) non indicava in motivazione quale fosse la norma giuridica che avrebbe condizionato la deduzione del costo all’inesistenza di una stabile organizzazione in Italia del percipiente del costo stesso”; sulla violazione e falsa applicazione di norme di diritto, a) “ai fini della determinazione del reddito d’impresa di una società commerciale residente in Italia, le disposizioni dall’art. 52 all’art. 77 del D.P.R. 22 dicembre 1986 (tuir), richiamate dall’art. 95 cit. tuir, non condizionano la deducibilità di un canone di licenza pagato da una società residente in Italia a società appartenenti allo stesso gruppo e residenti in stati dell’unione europea, qualora queste ultime dispongano in Italia di una stabile organizzazione”, b) “Ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive di una società commerciale residente in Italia, il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 6 e 11 non condizionano la deducibilità di un canone di licenza pagato da una società residente in Italia a società appartenenti allo stesso gruppo e residenti in Stati dell’Unione Europea, qualora queste ultime dispongano in Italia di una stabile organizzazione”, ulteriore violazione di legge a) “La motivazione dell’atto impositivo con il quale l’Amministrazione finanziaria disconosca la deducihilità di un costo ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive deve contenere a pena di nullità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 25 e della L. n. 212 del 2000, art. 7 l’indicazione della norma sostanziale sulla cui base viene fondata la indeducibilita del costo”.

Con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 e dell’art. 27 della sesta direttiva del consiglio n. 77/388/cee del 17 maggio 1977, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e della L. n. 212 del 2000, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”. Formula i seguenti quesiti di diritto: sulla violazione e falsa applicazione di norme di diritto in materia di detrazione dell’iva, a) Il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 e l’art. 11 della Sesta Direttiva del Consiglio n. 77/388/cee del 17 maggio 1977 non condizionano la detraibilità dell’iva assolta da una società di capitali residente in Italia in relazione a fatture ricevute per canoni da essa corrisposti a società appartenenti allo stesso gruppo e residenti in Stati dell’Unione Europea, qualora queste ultime dispongano in Italia di una stabile organizzazione in Italia”; omessa pronuncia sulla violazione delle norme in materia di detrazione dell’iva, a) “La sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulla circostanza che il D.P.R. 26 ottobre 7972, n. 633, art. 19 e l’art. 17 della Sesta Direttiva del Consiglio n. 77/388/CEE del 11 maggio 1917 non condizionano la detraibilità dell’iva assolta da una società di capitali residente in Italia in relazione a fatture ricevute per canoni da essa corrisposti a società appartenenti allo stesso gruppo e residenti in Stati dell’Unione Europea, qualora queste ultime dispongano in Italia di una stabile organizzazione in Italia”, Omessa pronuncia sulla carenza di motivazione dell’avviso di accertamento iva, a) “La sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulla circostanza che l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) (avviso di accertamento IVA) non ha indicato in motivazione quale fosse la norma giuridica che subordina la detraibilità dell’IVA afferente ad un costo all’inesistenza di una stabile organizzazione in Italia del percipiente del costo stesso”; Sulla violazione e falsa applicazione di norme di diritto in materia di motivazione degli avvisi di accertamento Iva, a) “La motivazione dell’atto impositivo con il quale l’Amministrazione finanziaria disconosca la detraibilità dell’IVA relativa ad un costo ai fini delle imposta sul valore aggiunto deve contenere a pena di nullità, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, l’indicazione della norma sostanziale sulla cui base è fondata la indetraibilità del costo”.

Con il terzo motivo di ricorso, la società contribuente – deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 20, comma 1, lett. e), e art. 87 cit. tuir, dell’art. 5 della convenzione bilaterale per evitare le doppie imposizioni conclusa tra l’Italia e la Germania il 18 ottobre 1989 e ratificata e resa esecutiva in Italia con la Legge di ratifica 24 novembre 1992, n. 459, dell’art. 5 della convenzione bilaterale per evitare le doppie imposizioni conclusa tra l’Italia e l’Austria il 29 giugno 1981 e ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge di ratifica 18 ottobre 1984 n. 162, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè nullità della sentenza per omessa e contraddittoria pronuncia in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”. Formula, quindi, ì seguenti quesiti di diritto: sul vizio di omessa pronuncia, a) “La sentenza impugnata è nulla per carenza di motivazione in quanto ha omesso di pronunciarsi sulla totale estraneità di VP Srl alle conseguenze derivanti dall’accertamento di una stabile organizzazione in Italia delle società estere del gruppo Voith”; sul vizio di contraddittorietà della pronuncia, a) “La sentenza impugnata è nulla per contraddittorietà della motivazione in quanto, da un lato, ha affermato che l’accertamento dell’esistenza di una stabile organizzazione in Italia della società tedesca J.M. Voith Aktiengesellschaft avrebbe dovuto coerentemente comportare l’imputazione in capo alla società non residente delle eventuali violazioni ad essa imputabili discendenti dell’omessa dichiarazione di una propria stabile organizzazione in Italia e, dall’altro lato, ha confermato gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate ha imputato le conseguenze di tali violazioni in capo a VP Srl, che secondo le premesse della sentenza doveva considerarsi un soggetto estraneo alle violazioni commesse dalla società non residente”, b) “La sentenza impugnata è nulla per contraddittorieta della motivazione in quanto, all’inizio, ha affermato che l’oggetto del giudizio fosse l’accertamento dell’esistenza di una stabile organizzazione in Italia della società J.M. Voith Aktiengesellschaft, (holding dell’intero gruppo Voith) mentre, nel dispositivo, ha invece concluso che i redditi prodotti dalla VP Srl dovevano considerarsi prodotti mediante la stabile organizzazione in Italia della società tedesca Voith Paper Holding GmbH & CO.KG (capogruppo intermedia del settore “Paper” del gruppo Voith)”; sulla violazione e falsa applicazione di norme di diritto, a) “Ai sensi del combinato disposto degli artt. 20 e 87 cit. TUIR, e degli artt. 5 e 7 delle convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni stipulate tra l’Italia e la Germania e tra l’Italia e l’Austria, in caso di accertamento dell’esistenza di una stabile organizzazione in Italia di una società residente in Germania o in Austria, il soggetto passivo della pretesa tributaria ai fini dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell’imposta regionale sulle attività produttive può essere individuato esclusivamente nella società residente all’estero”, b) “In base agli artt. 20 e 81 cit.

TUIR ed all’art. 5 delle convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni stipulate tra l’Italia e la Germania e tra l’Italia e l’Austria, una società di capitali residente in Italia, anche se ritenuta stabile organizzazione di una società residente in Germania o in Austria non può essere ritenuta direttamente o indirettamente responsabile per i redditi e per le sanzioni accertabili nei confronti di quest’ultima in ragione dell’attività da essa svolta in Italia mediante la stabile organizzazione”.

Con il quarto motivo di ricorso, la società contribuente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3, e dell’art. 9, paragrafo 1 della sesta direttiva, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4)”. Formula, quindi, i seguenti quesiti di diritto: sulla violazione e falsa applicazione di norme di diritto, “Secondo quanto previsto dall’art. 9 paragrafo 1 della Sesta Direttiva e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3 ai fini iva il luogo delle prestazioni di servizi coincide con quello in cui è situata una stabile organizzazione solo qualora la prestazione sia effettivamente resa a partire dalla stabile organizzazione”; sul vizio di omessa pronuncia “La sentenza impugnata è nulla in quanto ha omesso di pronunciarsi sulla illegittimità dell’avviso di accertamento n. (OMISSIS) (avviso di accertamento IVA) che, in violazione delle norme interne e comunitarie che disciplinano le disposizioni in materia di territorialità e di autonoma rilevanza della stabile organizzazione ai fini iva (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3, e art. 9, paragrafo 1 della Sesta Direttiva), ha automaticamente e illegittimamente ricondotto le prestazioni di servizi alla stabile organizzazione e ha di conseguenza affermato l’indetraibilità della relativa IVA”.

Con il quinto motivo di ricorso, la società contribuente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 20, comma 1, lett. e cit.

tuir, dell’art. 5 delle convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni concluse tra l’Italia e la Germania e tra l’Italia e l’Austria in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), insufficiente motivazione circa i presupposti di configurabilità della stabile organizzazione ai fini delle imposte sui redditi in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Formula, quindi, i seguenti quesiti di diritto: sulla violazione e falsa applicazione di norme di diritto, a) “L’art. 20 cit. tuir e l’art. 5 delle convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni stipulate tra l’Italia e la Germania e tra l’Italia e l’Austria escludono che una società di capitali con sede in Italia ed ivi residente ai fini tributar possa assumere il ruolo di stabile organizzazione plurima di società estere appartenenti allo stesso gruppo e perseguenti una strategia unitaria quando la società italiana svolga una attività corrispondente a quella del proprio oggetto sociale e non operi con la finalità di occultare l’attività svolta in Italia per suo tramite dalle società estere del gruppo”; sull’irrilevanza del controllo totalitario di VP Srl da parte del gruppo Voith ai fini della configurabilita di una stabile organizzazione, a) “La sentenza impugnata è nulla per contraddittorietà della motivazione in quanto da un lato ha richiamato la sentenza n. 6799/2004 di questa Onde Suprema Corte, secondo cui il rapporto di controllo ha un valore meramente indiziario ai fini della configurabilità di una stabile organizzazione e dall’altro ha invece attribuito una rilevanza fondamentale alla circostanza che il capitale della VP Srl fosse interamente controllato dal gruppo Voith”, b) “L’art. 20, comma 1, lett. e) cit. tuir nonchè l’art. 5 delle convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni stipulate tra l’Italia e la Germania e tra l’Italia e l’Austria devono essere interpretati nel senso che il controllo totalitario del capitale sociale di una società residente in Italia da parte di una o più società residenti in Germania e in Austria costituisce, al pari dei casi di controllo non totalitario, un elemento meramente indiziario ai fini della sussistenza di una stabile organizzazione in Italia delle società residenti all’estero”; Sull’irrilevanza dell’esistenza di collegamenti personali tra VP Srl e le altre consociate estere ai fini della configurabilità di una stabile organizzazione, a) “L’art. 20, comma 7, lett. e) cit. tuir e l’art. 5 delle convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni stipulate tra l’Italia e la Germania e tra l’Italia e l’Austria devono essere interpretati nel senso che i collegamenti personali tra le società del gruppo derivanti dallo scambio di personale, dallo svolgimento di attività di revisione contabile presso la società controllata nell’ambito della redazione del bilancio consolidato del gruppo e dal confronto del management circa il raggiungimento dei. budget sono di per sè irrilevanti ai fini, della dimostrazione dell’esistenza di una stabile organizzazione e che possono soltanto avere al più un valore meramente indiziario, sempre che siano dimostrati ì presupposti essenziali della stabile organizzazione “materiale” o “personale” previsti rispettivamente dai parr. 1-3 e 4-5 del citato art. 5″;

sull’irrilevanza vincoli contrattuali posti in capo a VP Srl dal contratto di licenza, a) “La sentenza impugnata è nulla in quanto ha omesso di considerare che le clausole contrattuali contenute nel contratto di licenza stipulato dalla VP Srl, le quali sarebbero indicative a parere della sentenza impugnata della posizione servente di VP Srl, costituiscono in realtà clausole comuni nell’ambito dei contratti di licenza e alle quali non può essere attribuita rilevanza decisiva ai fini della dimostrazione dell’esistenza di una stabile organizzazione in Italia delle società licenzianti”, b) “L’art. 20, comma 1, lett. e) del cit. TUIR e l’art. 5 delle convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni stipulate tra l’Italia e la Germania e tra l’Italia e l’Austria devono essere interpretati nel senso che i vincoli posti ai l’utilizzatore di tecnologia concessa in uso nell’ambito di un contratto di licenza non possono costituire un indice rivelatore della dipendenza rilevante ai fini dell’esistenza di una stabile organizzazione”.

Con il sesto motivo di ricorso, la società contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 9, paragrafo 1 della sesta direttiva del consiglio n. 77/388/cee del 17 maggio 1977, e del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 7, comma 3, circa i presupposti di applicazione di una stabile organizzazione ai fini iva, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Formula, quindi, i seguenti quesiti di diritto: a) “Nè l’art. 9 paragrafo 1 della Sesta Direttiva, nè l’art. 7, comma 3 cit. D.P.R., recano una nozione di stabile organizzazione ai fini IVA e che pertanto occorre necessariamente riferirsi ai principi comunitari espressi dalla Corte di Giustizia, secondo i quali anche in presenza di mezzi umani e tecnici un centro di attività stabile può assumere rilevanza solo ed esclusivamente qualora il riferimento della operazione. imponibile alla sede legale non abbia l’effetto di generare un risultato razionale sul piano tributario”.

In via subordinata, la società contribuente richiede rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea sui seguenti quesiti;

1) “Con riferimento alla definizione di “centro di attività stabile”, le condizioni alle quali una società di uno Stato membro A possa configurare un centro di attività stabile di società di altro Stato membro B. In particolare: (a) se si configuri “centro di attività stabile” nel caso in cui la società X dello Stato membro A presti servizi a favore della società Y dello Stato membro B interamente soggetti ad IVA nello Stato membro A e la società Y dello Stato membro B non disponga di propri mezzi materiali e umani nello Stato membro A; (b) se si possono attribuire i mezzi umani e materiali della Società X dello Stato A alla Società Y dello Stato B ai fini della configurazione di un centro di attività stabile nello Stato A della Società Y qualora i servizi resi hanno comunque scontato IVA nello Stato A in forza delle disposizioni di recepimento dell’art. 9 (2) (e) della Sesta Direttiva”; 2) “Con riferimento alla definizione di “centro di attività stabile” se sia compatibile con la Sesta Direttiva la nozione di stabile organizzazione (rectius centro di attività stabile) plurima di un gruppo cosi come tratteggiata nella giurisprudenza di legittimità italiana”.

B)- Le doglianze incorrono in diversi profili di inammissibilità.

Atteso che si verte in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza di appello pubblicata dopo l’1.3.2006 e prima del 4.7.2009 (cfr. Cass. 22578/09) – occorre, prioritariamente rispetto ogni altra valutazione, rilevare l’inammissibilità di tutte le censure proposte dalla società contribuente, per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c..

Al riguardo, va osservato che le SS.UU. di questa Corte hanno puntualizzato che ognuno dei quesiti formulati, per ciascun motivo di ricorso, deve consentire l’individuazione sia del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato sia, correlativamente, del diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di Cassazione possa condurre ad una decisione di segno diverso (giacchè, in mancanza di tale articolazione logico- giuridica, il quesito si risolverebbe in un’astratta petizione di principio, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato); e che, dall’esposta premessa, hanno inferito che il quesito ex art. 366 bis c.p.c. non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero (come nel caso di specie) nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo, ma deve risolversi in sintesi logico-giuridica della questione, non avulsa dai rilevanti elementi fattuali della fattispecie concreta, idonea a far comprendere alla Corte già sulla base della sua sola lettura l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (v. Cass. s.u. 19444/09 e 3519/08, nonchè 7433/09, 15535/08, 19769/08).

Tanto premesso in linea di principio, deve rilevarsi, in concreto, che tutti i quesiti di cui è corredato ciascun motivo del ricorso della società contribuente si esauriscono, in contrasto con il suesposto criterio, in mere petizioni di principio della cui fondatezza si chiede conferma a questa Corte.

C) – Alla stregua delle considerazioni che precedono – e a prescindere, dunque, dai profili attinenti a carenze di autosufficienza (in particolare con riguardo alle dedotte omesse pronunzie e vizi motivazionali), per mancata idonea descrizione in ricorso di contenuti documentale necessari a vagliarne ex actis ammissibilità e fondatezza, alla prospettazione di vizi di motivazione in diritto ed alla non consentita introduzione di aspetti di sindacato in fatto – s’impone dunque, in accoglimento dell’eccezione preliminare dell’Agenzia controricorrente, il rigetto del ricorso.

Per la soccombenza, la società contribuente va condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte: respinge il ricorso; condanna la società contribuente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessive Euro 10.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2011

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