Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16104 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/07/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 28/07/2020), n.16104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11932-2018 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 16,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO CHIODETTI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE SOTTILE;

– ricorrente –

contro

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA SPA (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO

LEOPOLDO FREGOLI 8, presso lo studiò dell’avvocato ROSARIO SALONIA,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2777/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCHESE

GABRIELLA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Roma rigettava la domanda di superiore inquadramento e di risarcimento dei danni proposta da Antonio Ficarra nei confronti di RAI Radiotelevisione Italiana spa;

La Corte di appello di Roma ha respinto l’appello del lavoratore;

a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha osservato come il gravame non cogliesse esattamente le ragioni della decisione di primo grado; in relazione al periodo “febbraio 1998/luglio 2003”, il Tribunale aveva respinto la domanda non solo in applicazione del principio di infrazionabilità della domanda ma, altresì, sulla base di un giudicato esterno, rappresentato da una precedente sentenza intervenuta tra le parti;

per il periodo successivo al luglio 2003 (che più interessa ai fini del presente giudizio), la Corte di appello, in estrema sintesi, ha osservato come, in base alle “(…) allegazioni svolte in primo grado, riproposte in appello” (v. pag. 6 ult. cpv. della sentenza impugnata), il ricorrente non avesse indicato il contenuto mansionistico delle superiori qualifiche rivendicate e tantomeno avesse effettuato il raffronto tra le mansioni svolte e quelle superiori; ha, quindi, osservato come il Ficarra avesse svolto mansioni compatibili con l’inquadramento riconosciutogli di “programmista regista di 1 livello” (v. pag. 7, I cpv., sentenza Corte di appello) ed, altresì, come “le funzioni svolte, seppure direttive e complesse, connota(ssero) per lo più una piena compatibilità con il livello d’inquadramento all’epoca riconosciuto”” (pag. 8, I cpv, sentenza Corte di appello);

per la cassazione della decisione, ha proposto ricorso Antonio Ficarra, affidato a due motivi;

ha resistito, con controricorso, la RAI Radiotelevisione Italiana SpA;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo è dedotta nullità della sentenza (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4) per violazione dell’art. 112 c.p.c.; si imputa alla decisione di non aver pronunciato sulla domanda di risarcimento dei danni per demansionamento presentata in relazione al periodo febbraio 2003/maggio 2009 e per il periodo successivo al luglio 2012;

il motivo è inammissibile per difetto di specificità delle censure;

soccorre il principio per cui, se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un vizio per “errores in procedendo” è anche giudice del fatto ed ha il “potere-dovere” di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale “potere-dovere” è necessario che la parte ricorrente indichi puntualmente gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, è indispensabile che la censura presenti tutti i requisiti di ammissibilità e contenga tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (ex plurimis, Cass., sez. un., n. 8077 del 2012; Cass. n. 896 del 2014);

nel caso di specie, a giudizio del Collegio, il motivo non soddisfa il descritto onere di specificazione, non riportando compiutamente tutti gli atti processuali, necessari a sorreggere i rilievi; in particolare, difetta la trascrizione, in modo esauriente, dell’atto di appello nella parte in cui, specificamente, ha censurato la decisione di rigetto della domanda di demansionamento, resa dal Tribunale;

con il secondo motivo, è dedotta nullità della sentenza (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4) per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per omissione motivazionale in ordine alle ragioni di rigetto della domanda di superiore inquadramento contrattuale nella qualifica dirigenziale o nel diverso livello ritenuto di giustizia per il periodo successivo all’ottobre 2010;

il motivo è infondato;

costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui affinchè sia integrato il vizio di mancanza o apparenza della motivazione – agli effetti di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4 -occorre che la motivazione della sentenza manchi del tutto, vuoi nel senso grafico vuoi nel senso logico ovvero allorchè la motivazione, pur formalmente esistente, sia talmente contraddittoria da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum;

una tale evenienza non si riscontra in relazione alla sentenza impugnata;

la Corte di Appello, nella sostanza, ha ritenuto che le allegazioni fossero inidonee a supportare ogni domanda di superiore inquadramento (id est: per qualsiasi livello rivendicato); le ragioni della decisione sono chiare e comprensibili; può discutersi della loro plausibilità e condivisibilità ma non di una inesistenza motivazionale tale da integrare il vizio lamentato (Cass., sez.un., n. 8053 del 2014);

sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato, con le spese liquidate, come da dispositivo, secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 luglio 2020

 

 

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