Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16103 del 02/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 02/08/2016, (ud. 14/04/2016, dep. 02/08/2016), n.16103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23521-2012 proposto da:

B.M.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo studio dell’avvocato SEBASTIANO

MASTROBUONO, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI ROMA, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliatao in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 119-A,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA ALBANESE, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MASSIMILIANO SIENI giusta procura

in calce al ricorso;

– controricorrente –

e contro

GENERALVIE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3476/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRASCA Raffaele;

udito l’Avvocato Giovanna De Mario (delega avvocato Albanese) che si

riporta al controricorso e chiede il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. B.M.L. ha proposto ricorso per cassazione contro l’Amministrazione Provinciale di Roma e la s.p.a. Generalvie “per fusione ora Ircop s.p.a.”, avverso la sentenza n. 3476 del 6 settembre 2011, con cui la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Roma nel dicembre del 2005.

2. Al ricorso ha resistito con controricorso l’Amministrazione della Provincia di Roma, mentre l’altra intimata non ha svolto attività difensiva.

3. Ha depositato atto di costituzione con procura in calce autenticata da difensore la Città Metropolitana di Roma – Roma Capitale, assumendo di essere succeduta ex lege alla Provincia di Roma ai sensi della L. n. 56 del 2014, art. 1, commi 16 e 47.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. L’atto di costituzione con procura in calce autenticata da difensore la Città Metropolitana di Roma – Roma Capitale, che è stato depositato da tale ente assumendo di essere succeduta ex lege alla Provincia di Roma ai sensi della L. n. 56 del 2014, art. 1, commi 16 e 47, è irrituale e da considerarsi tamquam non esser, in quanto risulta autenticato dal difensore in situazione che, data la risalenza del giudizio al 1995 non consentiva l’applicazione di siffatto potere di autentica su una memoria. Infatti, l’art. 83 c.p.c., comma 3, nel testo sostituito dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, a norma della citata Legge, art. 58, comma 1, è applicabile solo ai giudizi instaurati in primo grado dopo il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge (Cass. n. 18323 del 2014).

La costituzione dev’essere, dunque, per ciò solo dichiara inammissibile, in disparte la valutazione dell’ulteriore circostanza che l’atto di costituzione avrebbe dovuto notificarsi alle controparti.

1.1. Il Collegio rileva che non è necessario riferire dell’unico motivo su cui si fonda il ricorso – con cui si deduce “violazione di legge ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (artt. 112 e 115 c.p.c., art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” – in quanto il ricorso appare inammissibile per l’assoluta carenza del requisito dell’esposizione sommaria del fatto.

Invero, nella parte dedicata all’esposizione del fatto, parte ricorrente si è limitata ad enunciare quanto segue:

a) dopo l’indicazione della qualità di proprietaria di un terreno destinato a colture agricole confinante con la strada provinciale Capena-Morlupo e l’indicazione che ab immemorabili “era stata realizzata una strada di media pendenza” per collegarlo alla strada provinciale, nonchè della realizzazione nel 1992 da parte della Provincia di “un diverso assetto della strada” con l’impianto di un guard rail che aveva reso non praticabile il passaggio fra il fondo e la strada, si dice che l’attrice “promosse allora il giudizio che ne occupa chiedendo che a cura e spese dell’Amministrazione Provinciale le fosse restituita la possibilità di comunicazione diretta del fondo con la soprastante strada provinciale, attraverso la apertura di un varco, da praticarsi nel guard rail in corrispondenza della strada che collegava il fondo agricolo con essa;

b) si dice, quindi, che “la causa ebbe esito negativo per B. come esito negativo ha avuto per lei il giudizio di appello”, che “il giudizio di primo grado richiese la emissione di una sentenza parziale e di un’altra definitiva” e che la causa fu decisa dopo una c.t.u. “diretta a ricercare le modalità e le opere da eseguire per consentire alla signora B. di avere libero collegamento tra il suo fondo e la strada soprastante;

c) in fine si dice che “dopo il rigetto di alcune eccezioni pregiudiziali mosse dalle appellate”, la sentenza d’appello ha dichiarato infondata l’impugnazione con argomenti che sarebbero stati difformi dalle risultanze istruttorie e documentali.

2. Siffatta del tutto scarna esposizione non fornisce una conoscenza pur sommaria del fatto sostanziale e processuale oggetto della controversia, perchè:

aa) in disparte il rilievo che le note con cui è descritta la situazione del terreno in relazione alla strada sono del tutto generiche, come generica appare l’individuazione del tenore della domanda proposta, si deve rilevare che si omette di indicare le ragioni della difesa svolta dalla Provincia e si tace completamente della posizione con la quale venne coinvolto il soggetto qui intimato e non costituitosi;

bb) si omette di enunciare sebbene sommariamente le ragioni della decisione parziale e di quella finale di primo grado;

cc) si omette di dire alcunchè sul tenore dell’appello e sul se esso attinse tutte e due le sentenze o solo la definitiva, nonchè sul tenore delle difese svolte dalle controparti;

dd) si omette di dire alcunchè, sebbene in modo sommario e riassuntivo, sulle ragioni della sentenza qui impugnata.

2.1. Tanto premesso, si rileva che è principio consolidato quello secondo cui “Il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata.” (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006).

Queste Sezioni Unite avevano, d’altro canto, già osservato che “Il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato” (Cass. sez. un. n. 2602 del 2003).

E’ stato, del resto, nella logica dei principi affermati dalle Sezioni Unite efficacemente detto che “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, (e eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito.” (ex multis, Cass. n. 7825 del 2006; n. 12688 del 2006).

Si deve aggiungere che il requisito dell’esposizione sommaria del fatto sostanziale e processuale è divenuto tanto più importante a seguito della innovazione legislativa introdotta nella disciplina del libro primo del c.p.c. (e che sarebbe perciò certamente applicabile anche alle sentenze di cassazione) e che è d’indiretta, ma sicura rilevanza pratica in sede di giudizio di legittimità: si tratta della modifica (ex L. n. 69 del 2009) dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi del quale la sentenza deve contenere non più “la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione”, bensì “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. Prescrizione che, poi, il pure novellato art. 118 disp. att. c.p.c., ridimensiona (all’apparenza) ulteriormente, parlando della “succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”.

Queste disposizioni, applicabili – ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 2, ai processi pendenti in primo grado alla data della sua entrata in vigore (ed anche a quelli pendenti in appello ed in cassazione, a meno di ritenere che la novità normativa si sia inteso applicarla solo a far tempo dalle decisioni rese in primo grado dopo l’entrata in vigore della legge) – almeno apparentemente parrebbero legittimare i giudici di merito ad omettere qualsiasi riferimento allo svolgimento del processo, il che può rendere al lettore pressochè incomprensibile la decisione.

Senza indulgere a spiegare perchè un’esegesi ragionevole della nuova previsione comporti che essa non debba essere presa alla lettera dai giudici di merito, atteso che non si riesce a comprendere come, almeno entro certi limiti, si possano esporre le ragioni di fatto e di diritto della decisione senza dar minimo conto e per quanto necessario dello svolgimento processuale, potendo configurarsi in casi limite, il rischio di una motivazione del tutto apparente sul piano percettivo, importa qui rilevare che non è dubitabile che nel nuovo contesto normativo, il requisito di cui al n. 3 assuma certamente rinnovata importanza, perchè impone alla parte ricorrente in Cassazione – sempre che la sentenza non impinga per quanto si è appena rilevato in un’apparenza di motivazione – di sopperire ad eventuali manchevolezze della sentenza nell’individuare fatto sostanziale e – soprattutto – processuale.

2.2. Poichè la sopra ricordata tecnica di esposizione del fatto nel ricorso in esame è del tutto carente secondo i principi di diritto che si sono ricordati,ne consegue l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

3. Il Collegio osserva in ogni caso che il motivo di ricorso è in ogni caso inammissibile per l’assoluta genericità della sua illustrazione, atteso che si risolve nella postulazione meramente assertiva che il giudice d’appello avrebbe male inteso il significato delle statuizioni della sentenza parziale che solo dall’esposizione del motivo si apprende non essere stata impugnata.

La genericità sussiste perchè l’illustrazione si è concretata nella riproduzione della sentenza parziale, cui segue l’asserto del tutto immotivato, perchè non spiega quali espressioni della sentenza parziale la Corte territoriale avrebbe male inteso, salvo quella “accesso”, la quale, però, viene individuata sulla base di circostanze di fatto di cui non si sa da dove e come risultino.

Il motivo di ricorso per cassazione deve rispettare il criterio di specificità ed in caso contrario è inammissibile. Si veda Cass. n. 4741 del 2005, secondo la quale: “Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 c.p.c., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo”.

4. Il ricorso è pertanto conclusivamente dichiarato inammissibile.

5. Le spese seguono la soccombenza nei confronti della parte resistente e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla Provincia di Roma delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro tremilacinquecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 14 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2016

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