Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16101 del 26/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 16101 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 18294-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante

pro

tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1894

contro

MALPASSI TOMMASO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato
o

LUBERTO ENRICO, che lo rappresenta e difende, giusta

Data pubblicazione: 26/06/2013

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delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 908/2007 della CORTE D’APPELLO

di

FIRENZE,

depositata

il

19/07/2007

R.G.N.

1047/2005;

udienza del 23/05/2013 dal Consigliere Dott.
GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega PESSI
ROBERTO;
udito l’Avvocato LUBERTO ENRICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 10 – 19.7.2007 la Corte d’Appello di Firenze
confermò la pronuncia di prime cure, che aveva dichiarato la

rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal
20.11.1999, condannando la datrice di lavoro al pagamento delle
retribuzioni maturate dalla data di messa in mora.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la Poste
Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su due
motivi.
L’intimato Malpassi Tommaso ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Tra le parti venne concluso un contratto di lavoro a tempo

determinato per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso in
ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di
sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”,

ai sensi dell’art. 8 CCNL 1994, come integrato dall’accordo del
25.9.1997, decorrente dal 20.11.1999.
La Corte territoriale ha:

ritenuto l’illegittimità del termine apposto al contratto, siccome

stipulato dopo la scadenza (30.4.1998) fissata dai successivi accordi
integrativi;

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sussistenza fra la Poste Italiane spa e Malpassi Tommaso di un

-

rigettato l’eccezione di aliunde perceptum, rilevando che la

deduzione al riguardo da parte della Società si era limitata alla
astratta enunciazione del principio, senza che fosse stata fornita

sulla base di mezzi istruttori da disporsi d’ufficio; inoltre la Società
aveva sostenuto essere onere del lavoratore dimostrare di non aver
percepito emolumenti derivanti da rapporti di lavoro o da lavoro
autonomo, in tal modo proponendo un’evidente inversione dell’onere
deduttivo.
2. Il contratto in relazione al quale è stata ritenuta l’illegittimità
dell’apposizione del termine è stato stipulato, come detto, a norma
dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla
previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che
prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a
termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di
ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso,
in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di
sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.

La Corte territoriale ha attribuito rilievo decisivo al fatto che, avendo
le parti collettive raggiunto un’intesa originariamente priva di termine,
le stesse avevano stipulato accordi attuativi che avevano fissato un
limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a
termine, limite fissato al 30 aprile 1998; i contratti conclusi fino al

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alcuna indicazione concreta utile alla sua determinazione, ancorché

dicembre 2000, stipulati in epoca successiva al suddetto termine,
erano quindi illegittimi in quanto privi del supporto derogatorio.
L’impostazione seguita dalla Corte territoriale è stata ampiamente

contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al
citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla
stessa definiti come attuativi; deduce in particolare che questi ultimi
accordi avevano natura meramente ricognitiva.
2.1 Osserva il Collegio che le considerazioni della Corte territoriale in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato dalla
giurisprudenza di legittimità (con riferimento al sistema vigente
anteriormente al CCNL del 2001 ed al dl.vo n. 368/01) – sono
sufficienti a sostenere sul punto l’impugnata decisione.
Al riguardo, sulla scia di Cass., SU, n. 4588/2006, è stato precisato
che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex ad. 23 legge n.
56/87, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine
rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230/62, discende dall’intento
del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali
sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i
lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite
della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere
a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e
prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche
di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di

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censurata dalla Società ricorrente con il primo mezzo; la ricorrente

fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al
datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr,
ex plurimis, Cass., nn. 21063/2008; n. 9245/2006; 4862/2005;

favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari,
non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul
medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi
nel sistema da questa delineato (cfr,

ex plurimis, Cass., nn.

21062/2008; 18378/2006).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la
nullità della clausola di apposizione del termine (cfr, ex plurimis,
Cass., nn. 18383/2006; 7745/2005; 2866/2004).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a
termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994,
e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio
1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della
situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino
alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la

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14011/2004); ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a

legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998,
per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo

Cass., nn. 20608/2007; 28450/2008; 21062/2008; 7979/2008;
18378/2006).
In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi
precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr,
ex plurimis, Cass., nn. 6703/2007; 15969/2005), il motivo all’esame

va quindi respinto.
3. Con il secondo motivo la ricorrente censura le decisioni
risa rcitorie.
A conclusione del motivo è stato formulato il seguente quesito di
diritto, ai sensi dell’ad. 366 bis cpc, applicabile ratione temporis al
presente giudizio di legittimità: “Dica la Corte se in caso di domanda
di risarcimento danni da “scioglimento del rapporto di lavoro fondato
su clausola risolutiva contrattuale nulla”, rimane a carico dello stesso
lavoratore, in qualità di attore, l’onere di allegare e di provare il
danno da farsi equivalere alle retribuzioni perdute – detratto l’aliunde
perceptum – a causa della mancata esecuzione delle prestazioni
lavorative, ma presuppone che queste siano state offerte dal
lavoratore e che il datore di lavoro le abbia illegittimamente rifiutate”.

Osserva il Collegio che il quesito, al pari del motivo a corredo del
quale è stato formulato, è inammissibile, atteso che:

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indeterminato, in forza dell’ad. 1 legge n. 230/62 (cfr, ex plurimis,

-

è generico, cosicché, dalla risposta che al medesimo si dia, non

potrebbe derivare l’accoglimento ovvero il rigetto della censura;

non è conferente con le ragioni poste a base della decisione,

di indicazioni concrete da parte dell’eccipiente, sia in relazione alla
disattesa proposta di inversione dell’onere deduttivo;

non consente quindi di enunciare una regula iuris pertinente alle

ragioni poste a base del decisum.

4. Va considerato, in via di principio, che costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo

ius

superveniens, che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una
nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia
in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui
perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr, Cass. 8
maggio 2006 n. 10547).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che
investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina
sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile
secondo la disciplina sua propria.
Nel caso in esame il motivo che investe il tema al quale è riferibile la
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disciplina di cui all’art. 32, commi 5 , 6° e 7°, legge n. 183/10 è il
secondo, testé esaminato, il quale, come evidenziato, è
inammissibile.

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quali già diffusamente ricordate, sia in relazione alla rilevata assenza

Deve quindi convenirsi per l’inapplicabilità nel presente giudizio del
ricordato ius superveniens.
5. In definitiva il ricorso va rigettato.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle
spese, che liquida in euro 3.550,00 (tremilacinquecentocinquanta), di
cui euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per compenso, oltre
accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 23 maggio 2013.

Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

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