Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16101 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/06/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 09/06/2021), n.16101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 22875 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Coltellerie Berti s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura in calce al

ricorso, dall’Avv. Francesco Usai e dall’Avv. Fabio Massimo Orlando

presso il cui studio in Roma, Via Carlo Poma, n. 2, è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 403/1/14 della Commissione tributaria

regionale della Toscana depositata il 27.02.2014;

udita nella Camera di Consiglio del 10.02.2021 la relazione svolta

dal consigliere Galati Vincenzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate di Firenze, a seguito di verifica fiscale, ha rettificato il reddito di impresa dichiarato dalla contribuente a fini IRES, IVA ed IRAP, per l’anno 2006.

L’accertamento è stato giustificato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41bis e art. 39, comma 1, lett. c) e d), ed ha avuto riguardo a maggiori ricavi, minori costi, IVA su ricavi non dichiarati ed IVA ritenuta indetraibile riferita a due fatture di acquisto.

Avverso l’avviso ha proposto ricorso la contribuente e, nella resistenza dell’Amministrazione, la Commissione tributaria provinciale di Firenze lo ha parzialmente accolto ritenendo legittimi i recuperi relativi ai costi per Euro 28.283,00 ed IVA per Euro 2.194,00.

Ha proposto appello l’Agenzia contestando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, rilevando che l’elemento dell’antieconomicità è stato la base per la determinazione dei maggiori ricavi ed il recupero della conseguente IVA.

Ha resistito la società proponendo, a sua volta, appello incidentale in relazione al punto della sentenza che ha rigettato l’eccezione riferita all’allegazione tardiva (solo in sede di controdeduzioni) del pvc.

Con sentenza n. 403/1/14 la Commissione tributaria regionale della Toscana ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Preliminarmente ha respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, ed ha altresì respinto l’impugnazione incidentale ritenendo adeguatamente motivato l’avviso di accertamento mediante il rinvio al pvc, atto conosciuto dalla parte.

Precisato che la controversia ha ad oggetto, per effetto del giudicato interno parziale formatosi sulle originarie pretese dell’Amministrazione, i maggiori ricavi accertati e la conseguente IVA, con relative sanzioni, ha ritenuta fondata la ripresa tributaria in ragione della prova raggiunta circa l’antieconomicità di una parte delle cessioni e la prova di una produzione maggiore di coltelli rispetto a quelli fatturati, per come desumibile da documenti (un file) rinvenuti in sede di verifica.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la contribuente affidandolo a due motivi.

L’Agenzia ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c) e d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, ed è in parte dedicato a rilevare carenze motivazionali della sentenza per avere omesso di indicare i presupposti per operare l’accertamento induttivo del reddito ed in parte volto a censurare, alla luce della regolare contabilità tenuta dalla contribuente, l’inidoneità del documento informatico extracontabile (il file) ad integrare un elemento presuntivo “grave, preciso e concordante” idoneo a ricalcolare il fatturato.

2. Con il secondo motivo viene dedotta violazione falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c) e d), dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per essere stati ritenuti indizi gravi precisi e concordanti fatti privi delle predette caratteristiche.

Il ragionamento seguito dalla CTR viene criticato in quanto lacunoso e, comunque, fondato su presupposti contrari alla legge, oltre che “illogicamente motivato” laddove ha escluso valore probatorio alla documentazione prodotta dalla contribuente che è stata posta nella sostanziale impossibilità di fornire la prova contraria a quanto risultante dal documento extracontabile valorizzato che, al più, avrebbe potuto costituire una ipotesi o indizio, ma non una prova presuntiva.

3. L’Agenzia nel controricorso ha eccepito l’inammissibilità dei motivi.

Il primo per la contemporanea indicazione di vizi tra loro incompatibili; il secondo per la proposizione della violazione di norme quale vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. I motivi possono essere esaminati congiuntamente e plurime sono le ragioni che giustificano la declaratoria di inammissibilità.

4.1. Con riferimento al primo motivo si osserva che, secondo l’insegnamento delle sezioni Unite, “in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (Cass. sez. un. 6 maggio 2015, n. 9100).

Tuttavia, il presupposto affinchè si possa ritenere ammissibile il motivo contenente una mescolanza di motivi (come, nel caso di specie, il primo) è che possano essere colte, in termini chiari, le doglianze ed i vizi rilevati.

In tal senso deve essere intesa la precisazione di altra giurisprudenza di questa Corte secondo cui “in tema di ricorso per cassazione, è inammissible la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass. sez. 1, 23 ottobre 2018, n. 26874).

Con il primo motivo viene, da un lato, censurata la violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c) e d)) per avere la CTR assegnato il significato di presunzione ad un elemento che tale non poteva essere considerato (il documento extracontabile), dall’altro vengono prospettate plurime carenze o insufficienze motivazionali (pagg. 7, 8, 11) che non costituiscono vizi rilevabili con ricorso per cassazione alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 applicabile alla sentenza in esame “ratione temporis”.

La sentenza è infatti stata depositata il 27.2.2014 e soggiace alla norma citata nella sua più recente versione interpretata dalla giurisprudenza nel senso che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e numerose altre conformi successive).

Laddove la censura tenta di aggredire la sentenza per avere assegnato valore presuntivo ad un certo documento di provenienza extracontabile, la critica va intesa (così come esplicitata nel secondo motivo) quale violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. che è proponibile in sede di legittimità solo in un caso: allorchè ricorra il cosiddetto “vizio di sussunzione”, vale a dire allorquando il giudice di merito, dopo aver qualificato come “gravi, precisi e concordanti” gli indizi raccolti, li ritenga però inidonei a fornire la prova presuntiva; oppure, all’opposto, quando dopo aver qualificato come “non gravi, imprecisi e discordanti” gli indizi raccolti, li ritenga nondimeno sufficienti a fornire la prova del fatto controverso (fra le molte, in tal senso, Cass. sez. un. 24 gennaio 2018, n. 1785, p. 4.1, e, da ultimo, 13 febbraio 2020, n. 3541).

4.2. Tali argomentazioni sono, in sostanza, sovrapponibili anche in relazione al secondo motivo ove, contraddittoriamente, la contribuente esordisce lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa applicazione delle norme di legge indicate (fra cui, appunto, l’art. 2729 c.c.) sovrapponendo profili motivazionali e narrativi della sentenza impugnata (alle pagg. 12 e 13 si riporta un passaggio della sentenza impugnata attribuendone la paternità ai giudici di merito che, invece hanno riportato la frase nella parte riepilogativa della illustrazione dei motivi di appello della contribuente), criticando ancora, la motivazione “illogica” e carente (pag. 14) ma, soprattutto, omettendo di indicare quegli elementi di fatto decisivi ai fini del giudizio sottoposti al giudice di merito ed asseritaimente da questi pretermessi nella sua valutazione.

Si ricorda, a tale proposito, che “in tema di ricorso per cassazione, ove venga dedotto vizio di motivazione, ai sensi del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto ad indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. sez. 6-3, 10 agosto 2017, n. 19987).

Nell’articolare il motivo la parte si è ben guardata dall’indicare quale elemento di fatto decisivo sottoposto ai giudizi di merito non sia stato valutato al fine di superare la presunzione desunta dalla documentazione valorizzata dalla CTP; in linea con gli arresti giurisprudenziali che, pacificamente, assegnano rilievo alla documentazione informatica rinvenuta nei computer del contribuente (fra le molte, Cass. sez. 5, 3 ottobre 2014, n. 30902).

Da quanto esposto discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte;

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali sopportate dall’Agenzia delle Entrate che liquida in complessivi Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Da atto dei presupposti processuali per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, se dovuto, del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

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