Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16098 del 26/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 16098 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 7548-2011 proposto da:
TASCIONI

CLAUDIO

FRANCESCO

TSCCDF68A07Z347P,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA
6, presso lo studio dell’avvocato TEODORO KLITSCHE DE
LA GRANGE, rappresen t ato e difeso dall’avvocato COSTA
ALDO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

1546

PROVINCIA ITALIANA DELLA CONGREGAZIONE DEI FIGLI
IMMACOLATA CONCEZIONE, Ente proprietario e gestore
dell’Ospedale

S.

CARLO,

in persona del

legale

Data pubblicazione: 26/06/2013

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA DEL BABUINO 107, presso lo studio
dell’avvocato SCHIANO ANGELO R., che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– controricorrente

di ROMA, depositata il 09/04/2010 r.g.n. 1493/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato COSTA ALDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 9368/2009 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 9.4.2010, la Corte di Appello di Roma respingeva il gravame proposto
da Tascioni Claudio Francesco avverso la pronunzia di primo grado con la quale era stato
rigettato il ricorso proposto dal predetto, inteso alla declaratoria di illegittimità del
licenziamento intimatogli dalla Provincia Italiana della Congregazione dei Figli
dell’Immacolata Concezione, il 2.3.2004, per violenza sessuale con lesioni in danno di
25.2.2004, il Tascioni aveva evidenziato alcune circostanze che non assumevano
significato a fronte della circostanziata denunzia della parte lesa, Di Giulio Laura, tenuto
conto del fatto che anche il giudice penale aveva raggiunto lo stesso convincimento sulla
base di ulteriori rilievi ben utilizzabili anche dal giudice civile per la formazione del proprio
convincimento (diagnosi di lesioni nel referto del Pronto soccorso, contusioni al volto
compatibili con la versione fornita dalla parte lesa). Riteneva, poi, la sanzione
proporzionata alla gravità del’addebito ed il comportamento del Tascioni idoneo ad
integrare la giusta causa di licenziamento anche con riferimento alla previsione
contrattuale di carattere non vincolante e comunque sicuramente riferibile anche a
molestie a colleghi di lavoro, oltre che a degenti e/o ad accompagnatori .
Per la cassazione di tale decisione ricorre il Tascioni, con quattro motivi.
Resiste, con controricorso, la intimata, che illustra le proprie difese con memoria
depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il Tascioni denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e
116 c.p.c. e sostiene l’ inidoneità a fini probatori del solo richiamo alla denunzia querela ed
alla deposizione della teste di Giulio.
Con il secondo motivo, lamenta violazione dell’art. 421 c.p.c., sul rilievo che, per la ricerca
della verità materiale, il giudice avrebbe dovuto richiedere l’escussione come testi di
persone presenti all’aggressione.

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altra dipendente. La Corte del merito rilevava che, nella lettera di giustificazioni del

Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 5
della legge 604/66, osservando che non era stata valutata la mancata attivazione della
resistente per accertare e dimostrare l’intervenuta violazione degli obblighi contrattuali
idonea a compromettere il rapporto di fiducia.
Con il quarto motivo, ascrive alla sentenza impugnata omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, assumendo l’ incongruità della tesi secondo la quale il

l’impianto accusatorio della collega di lavoro. Aggiunge che la circostanza che il lavoratore
si sia reso autore di un fatto costituente reato non è di per sé sufficiente a determinarne il
licenziamento per giusta causa, essendo necessario accertare la sussistenza gli elementi
di cui all’art. 2119 c.c .
Il primo motivo di ricorso di fonda sulla contestazione del modus operandi del giudice del
gravame che, nel giudizio valutativo delle prove acquisite, avrebbe valorizzato la denunzia
querela sporta dalla parte lesa senza tenere conto della versione dei fatti offerta dal
lavoratore.
In tema di valutazione delle risultanze probatorie, in base al principio del libero
convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile,
in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo
comma, numero 5), cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della
sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (cfr.
Cass. 20.6.2006 n. 14267). Peraltro, l’osservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non
richiede che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque
acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli
esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua
decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute
idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i
rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione
adottata e con l’iter argomentativo seguito (cfr. Cass. 13.1.2005 n. 520). La censura si
presenta quindi, per come prospettata, inammissibile prima ancora che infondata, in
quanto con la stessa si mira a sostenere l’erroneità della ricostruzione effettuata dalla
Corte d’appello, contrapponendosi alla stessa la propria versione dei fatti. Si tende,
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Tascioni, per dimostrare l’illegittimità del proprio licenziamento, avrebbe dovuto demolire

invero, con la stessa a sollecitare una rivisitazione del merito, non consentita nella
presente sede di legittimità, posto che l’assunto che a fondamento del decisum non vi è la
prova concreta dei fatti oggetto di contestazione disciplinare poggia sulla considerazione
della inidoneità dell’apprezzamento compiuto dal giudicante con riguardo al solo contenuto
della denunzia querela della parte lesa, facendosi valere nella sostanza la non
rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all’opinione che di

coordinamento dei molteplici dati acquisiti. Ma al riguardo deve osservarsi che tali aspetti
del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e
dell’apprezzamento dei fatti, attengono non all’erronea applicazione dei principi sanciti
dalle norme richiamate in rubrica ma al libero convincimento del giudice, il quale si è
basato anche sulla compatibilità dei dati oggettivi del referto del Pronto soccorso con la
versione prospettata dalla parte lesa.
Quanto al secondo motivo di ricorso ed alla dedotta violazione dell’art. 421 c.p.c, relativo
all’esercizio dei poteri istruttori officiosi, la Corte di cassazione ha più volte ribadito che, nel
rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 cod. proc. civ., l’esercizio
del potere d’ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni
e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente
discrezionale, ma si presenta come un potere — dovere, sicchè il giudice del lavoro non
può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata
sull’onere della prova, avendo l’obbligo — in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 cod.
proc. civ., ed al disposto di cui all’art.. 111, primo comma, Cost., sul “giusto processo
regolato dalla legge” di esplicitare le ragioni per le quali reputi di far ricorso all’uso dei
poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non
farvi ricorso. Tali poteri non possono in ogni caso essere esercitati sulla base del sapere
privato del giudice, con riferimento a fatti non allegati dalle parti o non acquisiti al processo
in modo rituale, dandosi ingresso alle cosiddette prove atipiche, ovvero ammettendosi una
prova contro la volontà delle parti di non servirsi di detta prova o, infine, in presenza di una
prova già espletata su punti decisivi della controversia, ammettendosi d’ufficio una prova
diretta a sminuirne l’efficacia e la portata, o allorquando, infine, si richieda non
tempestivamente e non ritualmente la prova tanto da ritardare — in violazione del principio
della ragionevole durata del processo — i tempi della decisione (sui poteri istruttori del
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essi abbia la parte e prospettandosi un soggettivo preteso migliore e più appagante

giudice del lavoro cfr. Cass. Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353, e, più di recente, ex
plurimis, Cass. 5 febbraio 2005 n. 2379, nonché, da ultimo, Cass. 5 novembre 2012
n.18924). Nel caso in esame non è conforme ai principi di diritto richiamati sostenere che il
giudice avrebbe dovuto ammettere a deporre i soggetti che risultavano presenti al
momento dell’aggressione, senza che la censura, in ossequio al principio di
autosufficienza, richiami deduzioni avanzate dalla parte già nella fase di merito intese a

Quanto al terzo motivo, deve ritenersi pacifico il principio richiamato dal ricorrente
secondo cui, in tema di licenziamento per giusta causa, è onere del datore di lavoro
dimostrare il fatto ascritto al dipendente, provandolo sia nella sua materialità, sia con
riferimento all’elemento psicologico del lavoratore, mentre spetta a quest’ultimo la prova di
una esimente (cfr. Cass. 23 .2 2009 n. 4368). Tuttavia non coglie nel segno il rilievo in
base al quale il datore non si sarebbe attivato per accertare e dimostrare, con il necessario
grado di certezza, quelle violazioni degli obblighi contrattuali in grado di compromettere il
rapporto di fiducia. Ed invero, il datore di lavoro ha chiesto di escutere come teste la Di
Giulio e la deposizione dalla stessa resa, ritenuta circostanziata e genuina, unitamente al
contenuto della denunzia querela dalla medesima sporta sono stati ritenuti elementi più
che sufficienti a giustificare il convincimento del giudice del gravame nel senso della piena
attendibilità della versione fornita, sulla cui base è stata articolata la contestazione
disciplinare. Peraltro, i fatti contestati hanno trovato conforto, come coerentemente
evidenziato dalla Corte del merito, nelle deposizioni rese da altri testimoni e nei risultati
del referto sanitario, compatibili con la dinamica del comportamento sessualmente violento
tenuto dal Tascioni, materiale questo già esaminato in sede penale ed acquisito in
funzione della necessità di valutare autonomamente gi elementi posti a base della
sentenza penale di primo di grado di condanna del Tascioni. Al riguardo deve
considerarsi che l’art. 654 cod. proc. pen., diversamente dall’art. 652 relativo ai giudizi civili
di risarcimento del danno, esclude che possa avere efficacia in un successivo giudizio
civile la sentenza penale di condanna o di assoluzione, con riferimento ai soggetti che non
abbiano partecipato al giudizio penale, indipendentemente dalle ragioni di tale mancata
partecipazione. Ne consegue che nel giudizio relativo alla legittimità del licenziamento
disciplinare intimato ad un lavoratore sulla base di un fatto per il quale sia stata esercitata
l’azione penale, il giudice civile non è vincolato dal giudicato penale ed è quindi abilitato a
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sollecitare l’esercizio dei poteri ufficiosi.

procedere autonomamente alla valutazione del materiale probatorio acquisito al processo,
nel caso di mancata partecipazione al giudizio penale del datore di lavoro, che pure era
stato posto in condizione di farlo. A tale valutazione ha proceduto il giudice del lavoro sulla
base del materiale acquisito in quel processo, pienamente utilizzabile nel giudizio avente
ad oggetto l’illegittimità del licenziamento irrogato all’imputato. Non può, pertanto, ritenersi
che l’onere probatorio di cui all’art. 5 I. 604/66 non abbia trovato assolvimento da parte del

relazione all’esigenza che gli stessi risultassero connotati dalla intenzionalità e dal profilo
del dolo o della colpa grave del loro autore e che la sanzione irrogata si rivelasse
adeguata alla gravità della condotta. A tale riguardo è sufficiente osservare che in tema di
ambito dell’apprezzamento riservato al giudice del merito, è stato condivisibilmente
affermato (cfr. fra le altre, Cass. n. 8254 del 2004 e, da ultimo Cass. 6498/2012 cit.) che la
giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la prosecuzione, neppure
provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle
norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una
disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto,
delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa
mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di
principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro
normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di
legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel
fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue
specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si
pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile
in cassazione se privo di errori logici o giuridici.
A sua volta, Cass. n. 9266 del 2005 ha ulteriormente precisato che l’attività di integrazione
del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c., (norma c.d. elastica) compiuta dal giudice di
merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – mediante
riferimento alla “coscienza generale”, è sindacabile in cassazione a condizione, però, che
la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una
censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica
denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli “standards”, conformi ai valori
dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale.
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soggetto oneratone, senza considerare che i fatti accertati sono stati valutati anche in

Al riguardo deve rilevarsi che la decisione impugnata dal lavoratore sotto tale profilo
appare rispettosa dei principi di diritto enunciati in materia da questa Corte, in quanto il
giudice dal gravame ha dato conto delle ragioni poste a fondamento della stessa,
rilevando che il comportamento del Tascioni è connotato da inaudita gravità ed è quindi
più che sufficiente ad integrare la giusta causa di licenziamento disciplinare sul piano della
proporzionalità della sanzione, essendo stata la condotta posta in essere ritenuta capace

ravvisabilità della giusta causa del recesso, tenuto conto che le eventuali convinzioni
personali del ricorrente sono del tutto irrilevanti, in presenza di elementi che valgano a
provare il contrario sul piano dell’oggettività del suo comportamento.
Peraltro, deve anche aversi riguardo al fatto che, come, affermato dalla giurisprudenza di
questa Corte, l’intensità della fiducia richiesta è differenziata a seconda della natura e
della qualità del singolo rapporto, della posizione parti, dell’oggetto delle mansioni e del
grado di affidamento che queste richiedono e che il fatto deve valutarsi nella sua portata
oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante alla potenzialità del medesimo a
porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento (cfr., tra le altre, Cass. 10.6.2005 n.
12263).
Nella specie, il licenziamento per giusta causa è stato adottato non solo in piena coerenza
con le previsioni collettive, che, all’art. 33 lett. N) c.c.n.l. applicabile, prevedono il
licenziamento per giusta causa per “molestie di carattere sessuale rivolte a degenti e/o
accompagnatori all’interno della struttura”, – non essendovi motivi per non ritener inclusa
nella previsione anche la violenza posta in essere nei confronti di una collega – ma anche
in ragione della considerazione che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di
licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari
con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la
sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave
comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune
vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave
comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede
di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra
datore di lavoro e lavoratore (cfr. Cass. 16.3.2004 n. 5372; Cass. 18.2.2011 n. 4060).
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di integrare anche sotto il profilo dell’elemento intenzionale un comportamento idoneo alla

Alla stregua di tutte tali osservazioni e ritenuto che anche il quarto motivo debba
disattendersi, non ravvisandosi nella motivazione le lacune o la contraddittorietà
denunziate senza peraltro addurre elementi in grado di inficiare l’impianto motivazionale
con carattere di decisività , il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e si liquidano

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Tascioni al pagamento delle spese di lite del
presente giudizio, liquidate in euro 50,00 per esborsi ed in euro 3000,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 7.5.2013

come da dispositivo.

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