Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16098 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/06/2021, (ud. 08/04/2021, dep. 09/06/2021), n.16098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. BELLE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3358-2020 proposto da:

C.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI, 20, presso lo studio dell’avvocato MARCO D’AREZZO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE FATIGATO.

– ricorrente –

contro

OSPEDALE CASA SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA I.R.C.C.S. Opera di San Pio

di Pietrelcina di San Giovanni Rotondo, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

LIEGI, 44, presso lo studio dell’avvocato PAOLA MORESCHINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO LOZUPONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1622/2019 della colmi, D’Appello di BARI,

depositata il 10/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DI

PAOLANTONIO ANNALISA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Bari ha respinto l’appello di C.M.G. avverso la sentenza del Tribunale di Foggia che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, volta ad ottenere la condanna del datore di lavoro al pagamento della complessiva somma di Euro 74.162,79 a titolo di differenze retributive maturate dal 1 gennaio 1996 sino al 31 agosto 2009;

2. la Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che l’appellante, appartenente al personale laureato non medico addetto al laboratorio analisi, aveva agito in giudizio per ottenere la medesima quota di compartecipazione riconosciuta al personale medico del D.P.R. n. 270 del 1987, ex art. 87 per le prestazioni rese in favore dei degenti ricoverati nelle cosiddette camere a pagamento ed aveva fondato la pretesa sulla sentenza di questa Corte n. 15509/2008, con la quale era stato rigettato il ricorso dell’Ospedale avverso la pronuncia della Corte d’appello di Bari n. 1905/2004 che aveva accolto, nei limiti della prescrizione quinquennale, analoga domanda avente ad oggetto i diritti maturati sino al 29 dicembre 1995;

3. il giudice d’appello, richiamato il principio secondo cui nei rapporti di durata il giudicato esplica la sua efficacia anche per il futuro a condizione che non sopravvengano mutamenti del contenuto materiale del rapporto o del suo regolamento, ha evidenziato che la precedente pronuncia poteva essere invocata dalla C. solo a condizione che fossero state provate le medesime prestazioni professionali rese, nell’arco temporale di interesse, in favore di pazienti ricoverati in camere riservate;

4. ha escluso che detta prova fosse emersa dall’istruttoria cd ha richiamato le dichiarazioni dei testi i quali avevano riferito che nel periodo di causa non esistevano camere a pagamento e che le compartecipazioni riconosciute al personale medico si riferivano alle sole prestazioni ambulatoriali;

5. per la cassazione della sentenza C.M.G. ha proposto ricorso affidato a due motivi, ai quali ha opposto difese l’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza;

6. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

7. la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo del ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e sostiene, in sintesi, che nel giudizio definito con la sentenza passata in giudicato l’Ospedale aveva contestato la domanda dei ricorrenti sulla base degli stessi argomenti riproposti per resistere alla domanda azionata con il ricorso del settembre 2009;

1.1. la fondatezza della pretesa e l’esistenza delle cosiddette camere a pagamento erano state accertate in quella sede e detto accertamento non poteva essere più rimesso in discussione;

1.2. in via subordinata la C. sostiene che il ricorso doveva essere accolto quantomeno per il periodo gennaio 1996/novembre 2004 perchè i limiti cronologici del giudicato dovevano essere individuati “con riferimento non tanto al momento della domanda giudiziale quanto a quello ultimo di possibile deduzione dei fatti nuovi in giudizio”;

2. la seconda censura denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c. dalla quale si fa discendere la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente;

2.1. sostiene la ricorrente che la Corte territoriale non ha indicato le ragioni per le quali l’esistenza delle camere a pagamento non poteva essere desunta dalle annotazioni riportate nelle buste paga del personale medico, che facevano espresso riferimento all’accordo del 1988;

3. il primo motivo di ricorso è inammissibile, innanzitutto perchè formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4;

3.1. la denuncia di violazione del giudicato esterno se, da un lato, attribuisce a questa Corte il potere di “accertare direttamente l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito” (Cass. S.U. n. 24664/2007), dall’altro richiede pur sempre che vengano assolti gli oneri richiamati nel punto che precede, per cui il ricorrente è tenuto a trascrivere nel ricorso, quantomeno nelle parti essenziali, il testo della sentenza che si assume passata in giudicato e ad indicare tempi, modo e luogo della produzione del documento nel giudizio di merito (Cass. n. 17310/2020, Cass. n. 15737/2017 e Cass. S.U. n. 1416/2004);

3.2. è stato precisato al riguardo che “poichè la sentenza prodotta in un giudizio per dimostrare l’esistenza di un giudicato esterno rilevante ai fini della decisione assume rispetto ad esso – in ragione della sua oggettiva intrinseca natura di documento – la natura di una produzione documentale, il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione indicato dall’art. 366 c.p.c., n. 6 concerne, in tutte le sue implicazioni, anche una sentenza prodotta nel giudizio di merito, riguardo alla quale il motivo di ricorso per cassazione argomenti la censura della sentenza di merito quanto all’esistenza, alla negazione o all’interpretazione del suo valore di giudicato esterno” (Cass. n. 21560/2011 e negli stessi termini Cass. n. 12658/2014);

3.3. il motivo non soddisfa i requisiti richiesti a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., perchè la ricorrente non riporta nell’atto e non allega allo stesso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 13484/2005 nè fornisce indicazioni in merito alle modalità della produzione documentale;

4. si aggiunga che la Corte territoriale ha deciso la controversia in modo conforme all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui “in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento” Cass. n. 20765/2018; negli stessi termini fra le tante Cass. n. 17223/2020; Cass.n. 10174/2018; Cass. n. 115493/2015);

4.1. in altri termini la portata precettiva della decisione, intangibile quanto ai diritti già maturati, esplica i suoi effetti per il futuro rebus sii: stantibus, ossia a situazione normativa e fattuale immutata, sicchè a fronte di sopravvenienze che riguardino le premesse della precedente statuizione “il giudice del merito che ritenga preclusa l’indagine in virtù del giudicato applica erroneamente la reffila iutzs sottesa all’art. 2909 c.c.” (Cass. n. 10156/2017 che richiama Cass. n. 13921/2013, Cass. n. 7981/2016 e Cass. n. 26922/2016)

4.2. la sentenza di questa Corte n. 15509/2008 aveva riconosciuto il diritto dei laureati biologi, fisici e chimici addetti al laboratorio a percepire la medesima indennità liquidata in favore del personale medico per l’attività libero professionale intra moenia in un giudizio nel quale era stato accertato dal giudice del merito “l’esistenza nell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di camere singole nelle quali i medici potevano prestare attività libero professionale”;

4.3. correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto che quel giudicato potesse esplicare effetti anche per il periodo successivo a condizione che rimanessero immutate le circostanze fattuali del rapporto ossia che emergesse nell’arco temporale di interesse la prestazione di attività rese in favore di degenti ricoverati nelle camere a pagamento;

4.4. rispetto all’accertamento fattuale nessuna efficacia preclusiva poteva spiegare il precedente giudicato perchè il principio di diritto secondo cui ai professionisti addetti al laboratorio analisi deve essere riconosciuta la medesima partecipazione ai proventi derivanti dalle prestazioni libero professionali liquidata in favore del personale medico, in tanto può trovare applicazione in quanto emerga il contributo dato da entrambe le categorie all’attività incentivata;

4.5. è questo presupposto di fatto che la Corte territoriale ha ritenuto essere mancante nel periodo di interesse e ciò ha fatto all’esito della valutazione delle risultanze istruttorie, riservata al giudice del merito e non sindacabile in questa sede;

5. non si ravvisa il denunciato vizio motivazionale perchè, come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, a seguito delle modifiche apportate al codice di rito dal D.L. n. 83 del 2012, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità, quale violazione di legge costituzionalmente rilevante, attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, prescinde dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. S.U. n. 8053/2014);

5.1. il difetto del requisito di cui all’art. 132 c.p.c. si configura, quindi, solo qualora la motivazione o manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero esista formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisimi,.

5.2. esula, invece, dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle caestiones finti, implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito;

5.3. nel caso di specie il motivo, sotto l’apparente deduzione dell’error in procedendo, contesta inammissibilmente la valutazione espressa dal giudice del merito circa l’insussistenza dei presupposti necessari ai fini del riconoscimento del diritto al compenso aggiuntivo, e ciò fa, oltretutto, in una fattispecie in cui, quanto al “fatto”, opera anche il divieto di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5;

6. al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

7. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

 

 

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