Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16095 del 14/07/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 16095 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 4272-2012 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. 00488410010, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio degli avvocati MORRICO ENZO, ROMEI ROBERTO,
FRANCO RAIMONDO BOCCIA, MARESCA ARTURO che la
2014

rappresentano e difendono, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1680

contro

GIOVANNINI MAURO C.F. GVNMRA64H104H501L, TITTARELLI
FABIO C.F. TTTFBA69R19H501W, UCCIARDELLO ROSARIO C.F.

Data pubblicazione: 14/07/2014

CCRRSR47B12F839B, MUGNOLI LUCA C.F. MGNLCU60H18H501W,
VILLA MARCO C.F. VLLMRC67A10H5010, tutti elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA G. NICOTERA 29, presso lo
studio degli avvocati PARASCANDOLO SILVIA, PIRANI
GIORGIO che li rappresentano e difendono, giusta

– controricorrenti

avverso la sentenza n. 4513/2011 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 05/09/2011 R.G.N. 4177/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/05/2014 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
uditi gli Avvocati BOCCIA FRANCO, ROMEI ROBERTO;
uditi gli avvocati PARASCANDOLO SILVIA E PIRANI
GIORGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTEIche ha concluso per il
rigetto del primo motivo, accoglimento del secondo e
del terzo motivo.

delega in atti;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4513 del 2011, rigettava
l’impugnazione proposta da Telecom Italia spa nei confronti di Villa Marco,
Ucciardiello Rosario, Giovannini Mauro, Mugnoli Luca e Tittarelli Fabio, avverso la
sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 22 maggio 2008.
2. Il Tribunale di Roma aveva respinto i ricorsi in opposizione ai decreti
ingiuntivi ottenuti dai lavoratori per il pagamento della mensilità febbraio 2007, ad essi
dovuta a seguito di precedente sentenza con la quale il medesimo Tribunale aveva
dichiarato l’illegittimità della cessione di ramo d’azienda da parte di Telecom, di cui
essi erano dipendenti, alla società HP DCS srl.
3. La Corte d’Appello, disattesa l’eccezione relativa al mancato carattere di
provvisoria esecutività della sentenza presupposta, affermava che
il mancato
adempimento di Telecom che non dava esecuzione alla sentenza né ripristinando il
rapporto né corrispondendo le relative retribuzioni, poneva la stessa società in una
posizione di mora accipiendi con il conseguente obbligo di corrispondere la
retribuzione relativa al periodo successivo a quello in cui veniva annullata la cessione,
indipendentemente dall’effettività della prestazione. Trattandosi di somme corrisposte a
titolo di retribuzione non poteva essere detratto il cosiddetto aliunde perceptum.
4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre Telecom Italia
spa, prospettando tre motivi di ricorso.
5. Resistono con controricorso Villa Marco, Ucciardiello Rosario, Giovannini
Mauro, Mugnoli Luca e Tittarelli Fabio.
6. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione in relazione all’art. 360, n. 3, cpc – degli artt. 431 e 282 cpc, nella parte in cui la
sentenza ha ritenuto che la decisione del Tribunale di Roma, che ha dichiarato
l’illegittimità della cessione del ramo d’azienda ove erano occupati Marco Villa,
Ucciardiello Rosario, Giovannini Mauro, Mugnoli Luca e Tittarelli Fabio ed ha ordinato
il ripristino del rapporto, potesse costituire, prima del suo passaggio in giudicato, un
idoneo titolo sulla cui base emettere un decreto ingiuntivo di pagamento delle
retribuzioni.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione
applicazione – in relazione all’art. 360, n. 3, cpc – degli artt. 1206, 1208 e 1217 cc nella
parte in cui la sentenza ha ritenuto valida la messa in mora della Telecom da parte di
Marco Villa, Ucciardiello Rosario, Giovannini Mauro, Mugnoli Luca e Tittarelli Fabio i
quali prestavano, durante il periodo dedotto in giudizio, la propria attività lavorativa
presso altro datore di lavoro.
Assume la ricorrente che ai fini della messa in mora del creditore occorre
un’offerta della prestazione nei modi d’uso da parte del soggetto che possa validamente
adempiere. Occorre, quindi, che il soggetto abbia effettivamente la disponibilità della
prestazione offerta. Ciò non poteva affermarsi nel caso di specie in quanto i lavoratori,
nel periodo dedotto in giudizio avevano sempre lavorato presso la cessionaria del ramo
d’azienda, ricevendone regolare retribuzione.
3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione – in
relazione all’art. 360, n. 3, cpc – degli artt. 1206, 1207, 1217, 1223, 1256, 1453 e 1463
cc, nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che la messa in mora del creditore e la
conseguente impossibilità sopravvenuta della prestazione per fatto imputabile al
creditore stesso determinino il diritto di esigere la controprestazione, cioè la
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retribuzione, da parte dei lavoratori, con impossibilità di applicare i principi della
compensati() lucri cum damno e, in particolare, dell’aliunde perceptum.
Espone la ricorrente che le somme che il lavoratore può pretendere dal datore
di lavoro hanno natura risarcitoria e non retributiva, come affermato dalla medesima
Corte d’Appello, in altro giudizio, e che, quindi, poiché l’asserito danno subito dal
lavoratore era già stato compensato avendo lo stesso ricevuto la retribuzione dalla
cessionaria nel periodo in contestazione, nulla poteva essergli riconosciuto.
4. È preliminare l’esame del secondo e del terzo motivo di ricorso.
Gli stessi sono fondati e devono essere accolti.
Questa Corte, con la sentenza n. 18740 del 2008, alla quale si intende dare
continuità, pronunciando in ordine ad una analoga fattispecie avente quale presupposto
la dichiarazione della illegittimità della cessione di ramo d’azienda, ha affermato: «la
soc. Ansaldo Energia con l’ultimo motivo di appello aveva contestato la pronunzia del
giudice di primo grado che l’aveva condannata al pagamento delle differenze retributive
e al risarcimento del danno ex art. 18 dello statuto dei lavoratori nella misura di cinque
mensilità, evidenziando che la dipendente non aveva perso il posto di lavoro, ma aveva
solo cambiato datore in applicazione dell’art. 2112 cc, non traendone alcun pregiudizio
economico. Il giudice di appello, pur affermando correttamente che la nullità della
cessione del rapporto di lavoro comporta la prosecuzione dello stesso in capo alla soc.
Ansaldo nella posizione lavorativa precedentemente occupata dall’attrice, rigettando in
toto l’impugnazione non ha modificato la pronunzia del primo giudice che aveva
condannata la soc. cedente al risarcimento del danno nella misura di cinque mensilità ed
al pagamento delle retribuzioni omesse fino alla reintegra. Nella specie, invece, il
rapporto della lavoratrice è proseguito (seppure solo di fatto) con la società acquirente
del ramo di azienda, con conservazione per la stessa di tutti i diritti derivanti. Ne
consegue che, essendo pacifica la continuazione dell’attività lavorativa ed il godimento
della retribuzione, ai lavoratori ceduti non è derivato alcun danno da licenziamento
illegittimo, non essendoci stato allontanamento dal posto di lavoro. Conseguentemente i
lavoratori avrebbero potuto richiedere il risarcimento del danno per l’illegittima
cessione del rapporto di lavoro secondo le norme codicistiche sull’illecito contrattuale
(art. 1218 e ss. cc ) e non già secondo la disciplina speciale posta dall’art. 18 dello
Statuto dei lavoratori (v. Cass. n. 2521 del 1998). Non essendo stata fornita prova di
danno, neppure sotto il profilo della perdita delle retribuzioni (o di parte di esse), il
motivo deve ritenersi fondato e deve essere accolto».
I principi così enunciati si condividono.
Ed infatti, nella cessione di contratto si ha la sostituzione di un soggetto
(cessionario) ad altro (cedente) nel rapporto giuridico, il quale rimane — di regola e
salvo eccezione, la cui prova deve essere fornita dalla parte interessata — eguale nei suoi
elementi oggettivi.
L’illecito contrattuale sussistente a carico del datore di lavoro, dà luogo ad
un’obbligazione risarcitoria in favore del lavoratore in presenza della prova del danno.
Nella specie, tuttavia, non è ravvisabile un danno atteso che il rapporto dei
lavoratori è proseguito con la società acquirente del ramo di azienda, con conservazione
per gli stessi di tutti i diritti derivanti.
5. Il primo motivo di ricorso è assorbito in ragione dell’accoglimento del
secondo e del terzo.
6. Il ricorso deve essere accolto. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel
merito rigetta la domanda dei lavoratori.
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7. In presenza di diversi esiti della giurisprudenza di merito, sono compensate
tra le parti le spese dell’intero giudizio.
PQM
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito
rigetta la domanda dei lavoratori. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma il 12 maggio 2014.

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