Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16095 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/06/2021, (ud. 08/04/2021, dep. 09/06/2021), n.16095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2074-2020 proposto da:

G.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RIDOLFINO

VENUTI 30 presso lo studio dell’avvocato CRETELLA SILVIA,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO CRETELLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, in persona del

Ministro pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3849/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata l’08/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANNALISA

DI PAOLANTONIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Torre Annunziata che aveva parzialmente accolto il ricorso, ha respinto tutte le domande proposte nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca da G.B. la quale, assunta in qualità di docente con contratti a termine stipulati in successione dall’anno scolastico 2005/2006 all’anno scolastico 2014/2015, aveva domandato: l’accertamento del carattere abusivo della reiterazione, la conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato, il risarcimento del danno subito, da calcolare ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, la condanna del Ministero al pagamento degli scatti biennali di anzianità previsti per i docenti di ruolo;

2. la Corte territoriale, richiamati i principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 22552/2016, ha escluso la denunciata illegittimità dei termini apposti ai contratti ed ha rilevato che le supplenze conferite all’appellata si riferivano a vacanze dell’organico di fatto, non di diritto, ed inoltre la G. non aveva allegato circostanze dalle quali si potesse desumere un uso improprio del potere di macro organizzazione esercitato dal Ministero nella ricognizione dei posti e delle concrete esigenze del servizio;

3. quanto, poi, alla “richiesta di risarcimento) del danno connesso ad una pretesa progressione stipendiale determinata dalla anzianità di servizio” il giudice d’appello ha evidenziato che l’originaria ricorrente aveva asserito di essere stata discriminata rispetto ai docenti di religione ed ha ritenuto infondata la domanda richiamando il principio affermato da Cass. n. 22558 del 2016;

4. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G.B. sulla base di due motivi, ai quali ha opposto difese il MIUR con tempestivo controricorso;

5. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo del ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ed addebita alla Corte territoriale di non avere valutato i contratti di lavoro intercorsi fra le parti, affermando erroneamente che le supplenze si riferivano a vacanze dell’organico di fatto quando, in realtà, negli anni scolastici 2006/2007, 2007/2008 e 2009/2010 alla ricorrente erano state conferite supplenze annuali sino al 31 agosto di ogni anno;

1.1. la G. aggiunge che nell’atto introduttivo era stato precisato che dall’anno scolastico 2005/2006 e sino al 2010/2011 i contratti erano stati stipulati con lo stesso istituto scolastico, circostanza, questa, decisiva ai fini dell’abusiva reiterazione e non esaminata dal giudice d’appello;

2. la seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione della Dir. n. 1999/70/CE, allegato Accordo Quadro, clausola 4, perchè la Corte territoriale avrebbe dovuto accogliere, non rigettare, la domanda, alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, richiamata nella sentenza di questa Corte n. 22558 del 2016;

3. il ricorso è inammissibile in entrambe le sue articolazioni;

il primo motivo è incentrato sul contenuto di documenti rispetto ai quali non risultano assolti gli oneri di allegazione e di specificazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., n. 4, perchè la ricorrente non trascrive i contratti, nella parte di interesse, non li allega al ricorso per cassazione nè fornisce indicazioni in ordine ai tempi e modi della produzione nel giudizio di merito;

3.1. nel giudizio di cassazione, a critica vincolata ed essenzialmente basato su atti scritti, essendo ormai solo eventuale la possibilità di illustrazione orale delle difese, i requisiti di completezza e di specificità imposti dall’art. 366 c.p.c., perseguono la finalità di consentire al giudice di legittimità di avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, e, pertanto, qualora la censura si fondi su atti o documenti è necessario che di quegli atti il ricorrente riporti il contenuto, mediante la trascrizione delle parti rilevanti, precisando, inoltre, in quale sede e con quali modalità gli stessi siano stati acquisiti al processo;

3.2. occorre poi che la parte assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5, riguarda le condizioni di ammissibilità del ricorso mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento, sempre che lo stesso sia stato specificamente indicato nell’impugnazione (Cass. n. 19048 del 2016);

3.3. i richiamati principi sono stati ribaditi dalle Sezioni Unite in recente decisione con la quale si è affermato che “in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. S.U. n. 34469 del 2019);

4. alle richiamate considerazioni, già assorbenti, si deve aggiungere che, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la valutazione delle risultanze processuali effettuata dal giudice del merito è censurabile nel giudizio di legittimità solo qualora sia stato omesso l’esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia carattere decisivo e sia stato oggetto di discussione fra le parti;

non integra di per sè il vizio la mancata valutazione di un documento, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice e neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante nel giudizio di legittimità (si rimanda alla motivazione di Cass. S.U. n. 34476 del 2019 che richiama Cass. S.U. n. 8053 del 2014, Cass. S.U. n. 9558 del 2018 e Cass. S.U. n. 33679 del 2018);

4.1. nel caso di specie, pertanto, il vizio non è ravvisabile perchè la Corte territoriale ha esaminato il fatto rilevante, ossia la natura delle supplenze conferite alla ricorrente, e, con accertamento di merito non censurabile in questa sede, ha anche escluso che fossero stati allegati elementi a sostegno di un preteso uso distorto delle tipologie contrattuali;

5. parimenti inammissibile è il secondo motivo, incentrato su considerazioni non specificamente riferibili al decisum;

5.1. la Corte territoriale ha evidenziato che la ricorrente aveva chiesto gli scatti biennali di anzianità allegando la “palese disparità di trattamento con i docenti a tempo determinato di religione” ed ha respinto la domanda richiamando il principio di diritto affermato da questa Corte con la sentenza n. 22558/2016 che, evidenziata la diversità delle azioni, ha precisato che “in tema di retribuzione del personale scolastico, la L. n. 312 del 1980, art. 53, che prevedeva scatti biennali di anzianità per il personale non di ruolo, non è applicabile ai contratti a tempo determinato del personale del comparto scuola ed è stato richiamato, D.Lgs. n. 165 del 2001, ex artt. 69, comma 1, e art. 71, dal c.c.n.l. 4 agosto 1995, e dai contratti collettivi successivi, per affermarne la perdurante vigenza limitatamente ai soli insegnanti di religione”;

5.2. la pronuncia, quindi, ha deciso la controversia in conformità all’orientamento, ormai consolidato, secondo cui “ove la domanda sia limitata al riconoscimento degli scatti biennali di anzianità previsti dalla L. n. 312 del 1980, art. 53, non applicabili al personale del comparto scuola diverso dagli insegnanti di religione, non può essere riconosciuta, in mancanza di autonoma domanda, anche proposta in via subordinata, la progressione stipendiale derivante dall’anzianità di servizio nella stessa misura prevista per i dipendenti a tempo indeterminato, in applicazione del principio di non discriminazione sancito dalla Dir. 28 giugno 1999, n. 99/70/CE, allegato accordo quadro, clausola 4” (Cass. n. 26108 del 2017);

5.3. il motivo, tutto incentrato sulla necessità di evitare disparità di trattamento con gli assunti a tempo determinato, non censura l’effettiva ratio decidendi ed è pertanto inammissibile in quanto nel giudizio di cassazione la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 4, e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (cfr. fra le tante Cass. n. 20910 del 2017, Cass. n. 17125 del 2007, Cass. S.U. n. 14385 del 2007);

6. le spese del giudizio di cassazione possono essere interamente compensate fra le parti, in ragione della complessità delle questioni giuridiche prospettate dalle parti;

7. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315 del 2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

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