Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16093 del 26/06/2013

Civile Sent. Sez. L Num. 16093 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 3833-2011 proposto da:;
A.A.,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso
lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2013
1162

A.T.E.R.

AZIENDA

TERRITORIALE

PER

L’EDILIZIA

RESIDENZIALE PUBBLICA DEL COMUNE DI ROMA 00885561001,
(già I.A.C.P. Istituto Autonomo per le Case Popolari
della Provincia di Roma), in persona del legale

Data pubblicazione: 26/06/2013

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA VIA DI RIPETTA 22, presso lo STUDIO LEGALE
GERARDO VESCI & PARTNERS, rappresentata e difesa
dall’avvocato VESCI GERARDO, giusta delega in atti;
– controri corrente –

A.A.,

elettivamente

domiciliato presso
lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

A.T.E.R.

AZIENDA

TERRITORIALE

PER

L’EDILIZIA

RESIDENZIALE PUBBLICA DEL COMUNE DI ROMA 00885561001,
(già I.A.C.P. Istituto Autonomo per le Case Popolari
della Provincia di Roma), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA VIA DI RIPETTA 22, presso lo STUDIO LEGALE
GERARDO VESCI & PARTNERS, rappresentata e difesa
dall’avvocato VESCI GERARDO, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza non definitiva n. 6353/2010 della
CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/11/2010
R.G.N. 5285/2009;
avverso la sentenza definitiva n. 354/2012 della
CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/05/2012

e sul ricorso 12689-2012 proposto da:

R.G.N. 5285/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/04/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito l’Avvocato PISANI CARLO per delega VALLEBONA

udito l’Avvocato VESCI GERARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto di entrambi i ricorsi.

ANTONIO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 5 maggio 2009 il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso
proposto da A.A. inteso ad ottenere la declaratoria di nullità del
licenziamento intimatogli il 10 settembre 2007 dalla A.T.E.R. Azienda
Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica del Comune di Roma con
risarcimento del danno conseguito al medesimo licenziamento, ed ha
accolto parzialmente la domanda riconvenzionale della A.T.E.R.
condannando il A.A. al pagamento in favore della A.T.E.R. della
somma di E 200.000,00 a titolo di danno all’immagine, rigettando per il
resto la medesima domanda riconvenzionale. A seguito di impugnazione
del A.A. la Corte d’appello di Roma, con sentenza non definitiva
pubblicata 1’8 novembre 2010, ha rigettato l’appello principale. A sostegno
di tale pronuncia la Corte territoriale ha preliminarmente rigettato
l’eccezione di tardività del licenziamento considerando che, trattandosi di
licenziamento di un dirigente, alla fattispecie in questione va applicato il
CCNL Dirigenti che tuttavia non prevede norma ad hoc, per cui va
applicato anche il CCNL Federcasa, ma senza ritenere vincolante un
termine che sacrifica l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro
e che non può essere applicato analogicamente; la Corte d’appello ha pure
considerato che, nella fattispecie in esame, non vi è stata una reiterazione di
precedenti contestazioni in quanto in precedenza la datrice di lavoro aveva
solo chiesto chiarimenti in ordine alla regolarità di appalti e, comunque, il
termine per la tempestività della contestazione di cui all’art. 7 della legge
300 del 1970, deve essere interpretato in modo relativo tenendo conto
anche della complessità degli accertamenti dell’illecito posto in essere dal
dipendente. La stessa corte romana ha pure ritenuto sufficientemente
specifica la contestazione, e sussistente la giusta causa del licenziamento in
considerazione delle gravi irregolarità emerse nell’esecuzione degli appalti

le conseguenze di legge, e la condanna della società convenuta al

che il A.A. aveva proprio il compito di verificare, con discordanze tra
il contabilizzato ed il realizzato e con conseguenti gravi danni patrimoniali
per la società datrice di lavoro e conseguente irrimediabile lesione del
vincolo fiduciario. In ordine al parziale accoglimento della domanda
riconvenzionale svolta in primo grado dalla A.T.E.R. la Corte d’appello ha
necessariamente la sussistenza di un illecito penale potendo questo essere
accertato incidenter tantum anche dal giudice civile, sulla base di principi
costituzionali riguardanti la tutela della personalità. Con successiva
sentenza definitiva del 3 maggio 2012 la medesima Corte d’appello di
Roma, in riforma della sentenza di primo grado sopra indicata, in parziale
accoglimento dell’appello incidentale svolto dalla A.T.E.R., ha condannato
il A.A. al pagamento in favore della A.T.E.R. a titolo di risarcimento
della somma di E 296.359,78 corrispondente a quanto ingiunto alla stessa
A.T.E.R. dalla Impresa Roma Costruzioni Appalti, ritenendo irrilevante la
mancata opposizione al relativo decreto ingiuntivo essendo invece rilevante
la circostanza del materiale esborso di tale somma per effetto di un appalto
irregolare di cui il A.A. era responsabile per la sua parte in qualità di
Dirigente del Servizio Gestione 2.
Il A.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso entrambe le
suddette sentenze della Corte d’appello di Roma. Il ricorso avverso la
sentenza non definitiva è articolato su sette motivi; il ricorso avverso la
sentenza definitiva è articolato su due motivi.
Ad entrambi i ricorsi resiste con controricorsi la A.T.E.R.
L’A.T.E.R. ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi vanno riuniti riferendosi alla medesima vertenza.

z

considerato che il danno non patrimoniale all’immagine non presuppone

Preliminarmente va esaminata l’eccezione preliminare sollevata dalla
A.T.E.R. e relativa alla dedotta insussistenza della procura speciale prevista
per il ricorso per cassazione dall’art. 365 cod. proc. civ. L’eccezione non è
fondata in quanto la procura rilasciata dal A.A. per il giudizio di
cassazione è apposta a margine del ricorso, e la procura rilasciata a margine
per sé il necessario riferimento all’atto impugnatorio, assumendo così il
carattere di specialità nel senso richiesto dagli artt. 365 e 371, comma 3,
cod. proc. civ. anche se formulata genericamente e senza uno specifico
riferimento al giudizio di legittimità, salva la presenza nella procura
medesima di espressioni tali da univocamente escludere che sia stata
conferita per proporre ricorso per cassazione (Cass. 7 luglio 2006, n.
15605), mentre, nel caso in esame, la procura risulta espressamente riferita
proprio al giudizio di cassazione.
Con il primo motivo del ricorso avverso la sentenza non definitiva si
lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 40 della legge n. 300
del 1970 e degli artt. 1321, 1322 e 1324 cod. civ. in relazione all’art. 360,
n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente affermato
che il termine di decadenza per l’irrogazione della sanzione previsto
dall’art. 58 CCNL dipendenti Federcasa sarebbe estraneo al richiamo
espresso nelle lettere di contestazione, in quanto sacrificherebbe
eccessivamente il potere disciplinare e sarebbe disposizione speciale non
applicabile analogicamente.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 39
Cost., dell’art. 7 legge n. 300 del 1970 e degli artt. 1321, 1322 e 1324 cod.
civ., nonché degli artt. 1362 e segg. cod. civ., in relazione all’art. 360, nn. 3
e 5 cod. proc. civ. per avere erroneamente affermato che il richiamo
espresso dalle lettere di contestazione all’art. 58 CCNL Federcasa sarebbe

3

del ricorso per cassazione, formando un corpo unico con questo, esprime di

servito solo a chiarire che si trattava di contestazioni disciplinari;
insufficiente e contraddittoria motivazione.
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt.
416 e 346 cod. proc. civ., nonché dell’art. 58 CCNL Federcasa, in relazione
all’art. 360, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale
art. 58 non costituirebbe una decadenza, che sarebbe invece pacifica in
causa.
Con il quarto motivo si assume violazione e falsa applicazione degli artt.
112 e 434 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. per
avere la Corte d’appello omesso la pronunzia sul motivo di appello relativo
alla violazione della regola dell’irrilevanza ed inutilizzabilità dei fatti
estranei alla lettera di contestazione, dei fatti non dedotti in giudizio e dei
fatti estranei ai capitoli di prova ammessi.
Con il quinto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 7
della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 2119 cod. civ. in relazione all’art.
360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello erroneamente
negato il vizio di ne bis in idem con riferimento all’esistenza di una
precedente contestazione sui medesimi fatti di cui alla contestazione che ha
dato luogo al licenziamento; insufficiente motivazione.
Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2119
cod. civ. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. per avere la Corte
d’appello erroneamente affermato la giusta causa di licenziamento.
Con il settimo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt.
1218, 1223, 2043 e 2059 cod. civ., nonché degli artt. 39, 40, 42, 43 e 185
cod. pen. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte
d’appello erroneamente confermato la condanna del ricorrente al

z,

erroneamente affermato che il termine di trenta giorni previsto dal predetto

risarcimento del danno non patrimoniale, senza accertare il reato,
l’elemento soggettivo, il danno, il nesso c usale tra illecito e danno.
Con il primo motivo del ricorsoravverso la sentenza definitiva si lamenta
violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1227 e 2043 cod. civ.
e dell’art. 185 cod. pen. In relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.,
l’asserito illecito del ricorrente e l’asserito danno consistente nel
pagamento alla ditta appaltatrice Romana Costruzioni Appalti della somma
ingiunta con decreto n. 8519/2007 non opposto da A.T.E.R.; insufficiente e
contraddittoria motivazione sul punto.
Con il secondo motivo del ricorso avverso la sentenza definitiva si lamenta
violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 2043 cod. civ. e
dell’art. 185 cod. pen. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere
la Corte d’appello erroneamente affermato il nesso causale tra l’asserito
illecito del ricorrente e l’asserito danno consistente nel pagamento alla ditta
appaltatrice Romana Costruzioni Appalti della somma ingiunta con decreti
nn. 12688/2007 e 12689/2007 opposti da A.T.E.R.; insufficiente e
contraddittoria motivazione sul punto.
I primi tre motivi del ricorso avverso la sentenza non definitiva possono
esaminarsi congiuntamente riferendosi tutti alla tempestività della

per avere la Corte d’appello erroneamente affermato il nesso causale tra

contestazione dell’addebito disciplinare e, in particolare, all’applicazione
dell’art. 58 del CCNL dipendenti Federcasa. I motivi sono inammissibili.
Nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi
collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione,
dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella formulazione di
cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è soddisfatto solo con il deposito da
parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si
fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione
/–,

g

dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito (Cass. 15 ottobre 2010 n.
21366). Nel caso in esame il ricorrente non ha prodotto il CCNL né citato
almeno la norma contrattuale invocata.
Il quarto motivo è irrilevante in quanto non inerisce alla ratio decidendi
della sentenza impugnata. Comunque il motivo sarebbe inammissibile in
elementi su cui il giudice dell’appello non si sarebbe pronunciato e che
sarebbero estranei alla contestazione ed al giudizio, per cui non sarebbe
neppure possibile esaminare la doglianza.
Il quinto motivo è inammissibile e comunque infondato. La dedotta
mancata considerazione del ne bis in idem per l’asserita esistenza di una
precedente contestazione sui medesimi fatti che hanno portato al
licenziamento, investe un giudizio di fatto riservato al giudice del merito
che, nel caso in esame, ha motivato in modo logico e compiuto sfuggendo
quindi ad ogni censura di legittimità. In particolare la sentenza impugnata
raffronta le lettere di contestazione precedenti che si riferiscono ai
medesimi appalti di cui alla successiva contestazione, ma con riferimento
alla fase dell’impegno di spesa, mentre la contestazione successiva si
riferisce alla fase di chiusura dell’appalto, e cioè al collaudo tecnico
amministrativo.
Il sesto motivo è pure inammissibile in quanto investe un giudizio sulla
sussistenza della giusta causa del licenziamento, giudizio anch’esso
riservato al giudice del merito sulla base degli accertamenti di fatto svolti.
D’altra parte la Corte territoriale ha ampiamente e logicamente motivato
sul punto sottolineando la gravità del comportamento del A.A. anche
con riferimento al ruolo da lui ricoperto.
Riguardo al settimo motivo va considerato che, come correttamente
affermato dalla sentenza impugnata, non sussiste la pregiudiziale penale

quanto il ricorrente non precisa neppure quale sarebbe la rilevanza degli

riguardo al risarcimento del danno non patrimoniale. In particolare il
risarcimento del danno non patrimoniale non richiede che la responsabilità
dell’autore del fatto illecito sia stata accertata in un procedimento penale, in
quanto l’interpretazione conforme alla Costituzione dell’art. 2059 cod. civ.
comporta che il danno ingiusto non sia identificato soltanto nel danno
di un valore inerente alla persona. Inoltre va considerato che, poiché anche
nei confronti della persona giuridica ed in genere dell’ente collettivo è
configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto
lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell’ente
che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti
dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l’immagine della persona
giuridica o dell’ente, allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è
risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, il
danno non patrimoniale costituito – come danno c.d. conseguenza – dalla
diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente nel che
si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che
tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che ricoprano gli
organi della persona giuridica o dell’ente e, quindi, nell’agire dell’ente, sia
sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei
consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona
giuridica o l’ente di norma interagisca. Il suddetto danno non patrimoniale
va liquidato alla persona giuridica o all’ente in via equitativa, tenendo conto
di tutte le circostanze del caso concreto (vedi Cass. 4 giugno 2007 n.
12929).
IL ricorso avverso la sentenza è invece fondato. I due motivi possono
esaminarsi congiuntamente differenziandosi solo con riferimento ai decreti
ingiuntivi in base ai quali la A.T.E.R. ha sostenuto il danno costituito dai
pagamenti relativi ad appalti irregolari. La Corte territoriale non ha

morale soggettivo, ma anche nel danno derivante da ogni ingiusta lesione

motivato adeguatamente la responsabilità del A.A. con riferimento
all’art. 1223 cod. civ„Ntale riguardo non è sufficiente l’effettivo pagamento
delle somme ingiunte da parte della ATER per affermare la corrispondente
responsabilità del A.A. dovendosi esaminare compiutamente, ad
esempio, se la parte offesa ha compiuto quanto era in suo potere per
cassata con riferimento alle censure proposte ed il giudice del rinvio
indicato in dispositivo provvederà a motivare il nesso causale fra il
comportamento contestato al A.A. ed il danno patito dalla A.T.E.R. Il
medesimo giudice del rinvio provvederà anche riguardo alle spese di
giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi;
Rigetta il ricorso avverso la sentenza non definitiva;
Accoglie il ricorso avverso la sentenza definitiva;
Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia,
anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 aprile 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

limitare il danno. La sentenza definitiva impugnata deve dunque essere

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