Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16092 del 02/08/2016

Cassazione civile sez. VI, 02/08/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 02/08/2016), n.16092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22346-2014 proposto da:

C.R., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

DELLE PROVINCE 37, presso lo studio dell’avvocato SABRINA

VENDITTELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato PATRIZIA REALE

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE ((OMISSIS)),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati

P.C., RICCI EMANUELA, CAPANNOLO EMANUELA giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 399/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA del 25/2/2014, depositata il 25/3/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

9/6/2016 dal Consigliere Relatore Don. CATERINA NIAROTTA;

udito l’Avvocato PATRIZIA REALE, difensore del ricorrente, che si

riporta agli scritti;

udito l’Avvocato CAPANNOLO EMANUELA, difensore del controricorrente,

che si riporta agli scritti e insiste per l’inammissibilità.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata:

“Con sentenza n. 399/2014, depositata in data 25 marzo 2014, la Corte di appello di Reggio Calabria confermava la decisione del Tribunale della stesse sede che, sulla base della disposta consulenza tecnica d’ufficio, aveva respinto la domanda proposta da C.R. nei confronti dell’I.N.P.S., intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento, per difetto del requisito sanitario.

Avverso detta sentenza C.R. ricorre per cassazione con tre motivi.

L’I.N.P.S. resiste con controricorso.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia erronea e falsa interpretazione della L. n. 18 del 1980, art. 1, e della L. n. 509 del 1980, art. 1 nonchè inadeguatezza della motivazione in relazione alla negata connessione tra le infermità riscontrate e la necessità di assistenza continua. Rileva che lo stesso consulente di primo grado aveva evidenziato la sussistenza di difficoltà di compimento degli atti e delle funzioni proprie dell’età (“presenti e invalidanti”).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione in merito alla condivisione delle risultanze della consulenza svolta in primo grado che, invece, presentando molteplici lacune avrebbe reso necessario un più rigoroso accertamento.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione in ordine alla concreta verifica della possibilità per l’interessato di assicurarsi un minimo di funzioni indispensabili nella vita quotidiana.

I motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, presentano profili di inammissibilità e sono comunque manifestamente infondati.

Tutte le censure, benchè nel primo motivo sia anche formalmente prospetta anche una violazione di legge, aggrediscono essenzialmente la motivazione in fatto contenuta nella sentenza impugnata. Le medesime suppongono ancora esistente il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, trascurando la modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile, in base al comma 3 della medesima norma, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, e dunque dall’11/9/2012. Orbene, com’è noto, a seguito della indicata modifica legislativa che ha reso deducibile solo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo della motivazione è stato confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, configurabile solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e graficò, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabilì e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibilè, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., Sez. un., n. 8053/14).

Nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicchè neppure potrebbe trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dall’odierno ricorrente.

Nè può dirsi che la motivazione della Corte territoriale sia apparente atteso che nella stessa sono chiaramente spiegate non solo le ragioni della condivisione della consulenza di primo grado ma anche quelle della ritenuta irrilevanza dei rilievi a questa mossi dall’appellante sulla base di documentazione medica inidonea ad “inferire la permanente incapacità di deambulate o di svolgere gli atti della vita quotidiana”.

In ogni caso la pronuncia, nella parte in cui ha condiviso il giudizio del consulente di primo grado – il quale, pur dando atto della presenza di difficoltà di compimento degli atti e delle funzioni proprie dell’età, aveva ritenuto che il C. fosse in grado di deambulare autonomamente e di compiere i comuni atti quotidiani della vita -, è coerente con i principi da questa Corte più volte affermati.

Ed infatti, ai fini della concessione dell’indennità di accompagnamento ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili, sono richiesti dalla L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1, comma 1, in via alternativa l’impossibilità di deambulazione o l’incapacità di attendere agli atti della vita quotidiana, requisiti diversi e più rigorosi della semplice difficoltà di deambulazione o di compimento degli atti della vita quotidiana – cfr. Cass. 23 gennaio 1998, n. 636; id. 7 dicembre 1998, n. 12370; 1 luglio 1999, n. 6743 -. In particolare, con riferimento all’incapacità di attendere agli atti della vita quotidiana, va tenuto conto di un difetto di autosufficienza talmente grave da comportare una deambulazione così difficoltosa e limitata (nello spazio e nel tempo) da essere fonte di grave pericolo in ragione di un’incombente e concreta possibilità di caduta e quindi da richiedere il permanente aiuto di un accompagnatore (così Cass. 3 aprile 1999, n. 3228), concetto quest’ultimo che esprime l’esigenza della necessità di un aiuto non limitato a taluni soltanto degli atti della vita, seppure indispensabili, ma esteso alla generalità dei bisogni o atti giornalieri (così Cass. 9 ottobre 1998, n. 10056). Si vedano anche Cass. 28 luglio 2015, n. 15882 e Cass. 23 dicembre 2010, n. 6091 che hanno ribadito il principio secondo il quale: “In tema di indennità di accompagnamento e con riferimento alla sua spettanza, la L. n. 18 del 1980, art. 1, richiede la contestuale presenza di una situazione di invalidità totale, rilevante per la pensione di inabilità civile ai sensi della L. n. 118 del 1971, art. 12 e, alternativamente, dell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure dell’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita con necessità di assistenza continua, requisiti, quindi, diversi dalla semplice difficoltà di deambulazione o di compimento di atti della vita quotidiana con difficoltà (ma senza impossibilità)”.

Per quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

2 – Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria ex art. 380 bis c.p.c. con la quale il ricorrente si è limitato a riproporre questioni di merito ed a sostenere che, sulla base degli elementi emergenti dagli atti, la Corte territoriale avrebbe dovuto esercitare i poteri d’ufficio e disporre ogni necessario approfondimento. E’ al riguardo sufficiente ricordare che, nel rito del lavoro, l’esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non può essere dilatato fino a richiedere che il giudice supplisca in ogni caso alle carenze allegatorie e dimostrative delle parti, in assenza di una pista probatoria rilevabile dal materiale processuale acquisito agli atti di causa. Nel caso in esame la Corte territoriale ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto di non disporre alcuna nuova consulenza osservando che, in mancanza di specifiche e rilevanti censure (si veda il passaggio motivazionale in cui è evidenziato che dai certificati prodotti in atti “lo stesso appellante non trae alcuna espressione che consenta di inferire la permanente incapacità di deambulare o di svolgere autonomamente gli atti quotidiani della vita” ed ancora quello in cui è precisato che “il C. non prova nemmeno a smentire l’esito dell’esame obiettivo” – il consulente di primo grado aveva evidenziato che il predetto “soggetto in discrete condizioni generali, deambula autonomamente ed è ben orientato nel tempo e nello spazio” -), non sarebbe stata possibile una “automatica” rinnovazione dell’istruttoria (diversamente realizzandosi una evidente forzatura dei suddetti limiti di esercizio dei poteri d’ufficio).

Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va rigettato.

5 – Alla fattispecie è applicabile la disciplina delle spese di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 369, art. 42, comma. 11, conv.- con modificazioni nella L. 24 novembre 2003, n. 326, trattandosi di procedimento avviato successivamente al 2 ottobre 2003. L’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, convertito nella L. n. 326 del 2003, dispone che: “L’interessato che, con riferimento all’anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell’atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente”.

Tale norma si interpreta nel senso che l’onere autocertificativo imposto alla parte ricorrente deve essere assolto con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ed esplica la sua efficacia, senza necessità di ulteriore reiterazione, anche nelle fasi successive, valendo, fino all’esito definitivo del processo, l’impegno di comunicare le variazioni reddituali eventualmente rilevanti che facciano venire meno le condizioni di esonero (cfr. ex plurimis, Cass. n. 16284/2011; v. pure Cass. n. 10875/2009; Cass. n. 17197/2010; Cass. n. 13367/2011). L’odierno ricorrente non ha allegato di avere provveduto al suddetto onere autocertificativo; pertanto, difetta uno dei presupposti per l’esonero dal pagamento delle spese di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c.. Di conseguenza, le spese sono regolate secondo il principio della soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

6 – Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

La suddetta condizione sussiste nel caso in esame.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’I.N.P.S., delle spese processuali che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. D.P.R., art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2016

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