Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16090 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/07/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 28/07/2020), n.16090

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36236-2018 proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIORGIO LIVERANI;

– ricorrente –

contro

P.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 142/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 24/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La corte di appello di Bologna con la sentenza n. 142/2018 aveva rigettato l’appello di B.C. avverso la decisione con cui il tribunale di Ravenna aveva ritenuto infondata la domanda dallo stesso proposta nei confronti della ditta individuale di P.L., diretta all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e al pagamento delle differenze retributive non percepite nonchè al risarcimento del danno per il licenziamento illegittimo intimato.

La Corte territoriale aveva ritenuto che la convenuta ditta P. non avesse fornito adeguata prova della sussistenza degli elementi relativi al contratto di associazione in partecipazione stipulato dalle parti e che pertanto in assenza di detta prova il rapporto era da considerarsi di natura subordinata. La Corte aveva poi ritenuto altresì carente la allegazione relativa alle mansioni effettivamente esercitate dal B. e dunque impossibile l’accertamento delle eventuali differenze retributive pretese. Quanto al licenziamento aveva valutato che l’assenza di allegazioni, già riscontrata, impediva la quantificazione della domanda risarcitoria pur se illegittimo il recesso datoriale.

Avverso detta statuizione il B. proponeva ricorso affidato a due motivi.

La ditta individuale P.L. rimaneva intimata.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio. Il ricorrente depositava memoria tardiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 273 del 2003, art. 86, comma 2 e degli artt. 420 e 421 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per aver, il giudice d’appello, valutato carenti le allegazioni e non aver tratto gli elementi relativi al rapporto di lavoro in questione dalla documentazione in atti (contratto di associazione) e dalle testimonianze rese, anche ricorrendo ai poteri d’ufficio attribuiti al giudice del lavoro.

Il motivo è inammissibile per più profili. Deve in primo luogo rilevarsi che non sono stati riportati nel corpo del ricorso i documenti e le dichiarazioni testimoniali richiamate come utili ai fini della integrazione allegatoria.

A riguardo questa Corte ha chiarito che ” Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto” (Cass. n. 14107/2017).

La carenza delle indicazioni richieste è già motivo di inammissibilità della censura.

Si aggiunga a ciò che la corte territoriale ha svolto una valutazione in fatto non censurabile in sede di legittimità.

2) con il secondo motivo è denunciata la violazione della L. n. 92 del 2012 in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3, per non aver, la corte territoriale, pronunciato sulla illegittimità del licenziamento con condanna generica di risarcimento del danno ed essere incorsa in contraddittoria motivazione.

Su tale ultimo profilo della censura deve osservarsi che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c.(Cass. n. 13928/2015). Sul punto la doglianza è pertanto inammissibile.

La censura posta risulta invece fondata con riguardo alla violazione di legge per la mancata pronuncia sulla domanda risarcitoria quale diretta conseguenza dell’illegittimo licenziamento. La Corte territoriale, dopo aver accertato la natura subordinata del rapporto esistito tra le parti, ha dato atto, nella decisione, che la cessazione del rapporto di lavoro era avvenuta in assenza di giusta causa o giustificato motivo, così statuendo l’illegittimità del recesso datoriale.

A tale statuizione avrebbe dovuto seguire la tutela prevista dal disposto della L. n. 92 del 2012 (art. 42 dispositivo delle modifiche apportate alla L. n. 300 del 1970, art. 18), con riguardo alle ipotesi di licenziamento illegittimo.

La condanna al risarcimento del danno, pur mantenendo un carattere autonomo rispetto ad altra ipotesi di tutela (tutela reintegratoria), è sempre stata conseguente rispetto ad ogni accertamento di illegittimità del licenziamento, per il solo fatto di essere stato intimato (Cass.n. 28703/2011). Anche nel disposto della nuova disciplina in tema di tutele per l’illegittimo recesso datoriale il rapporto di necessaria conseguenza non è venuto meno ed anzi può forse ritenersi rafforzato allorchè la scelta legislativa ha in molteplici ipotesi significativamente privilegiato il ristoro economico. In tale contesto la sentenza che accerti l’illegittimo recesso (come nel caso in esame), non può escludere il risarcimento in quanto necessaria conseguenza della decisione assunta, e deve pertanto contenere una pronuncia di condanna risarcitoria del datore di lavoro, sia pur genericamente espressa quando non siano in atti presenti gli elementi utili a specificare il quantum dovuto e comunque in applicazione della disciplina legale in materia (Cass.n. 24242/2010; Cass. n. 847/2004; Cass. n. 7316/2002; Cass. n. 11677/2005).

Atteso che la Corte territoriale non si è attenuta agli esposti principi, deve accogliersi il secondo motivo del ricorso, per le ragioni sopra indicate, cassarsi la sentenza sul punto e rimettere la causa alla corte di appello bolognese, in diversa composizione, perchè decida in conformità ai principi ed anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza con riguardo al motivo accolto e rinvia alla corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 luglio 2020

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