Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16088 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/07/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 28/07/2020), n.16088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16416-2018 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587, in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA, EMANUELA CAPANNOLO, NICOLA VALENTE;

– ricorrente –

contro

T.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL SUDARIO

18, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PELAGGI, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1988/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

RIVERSO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Milano, con sentenza 1988/2017, in parziale riforma della sentenza impugnata dall’Inps, respingeva la domanda di condanna dell’Inps alla restituzione delle trattenute operate dall’Istituto, avanzata da T.A., confermando nel resto la sentenza impugnata in merito all’annullamento del provvedimento comunicato dall’Istituto avente ad oggetto il recupero dell’importo di Euro 7115,04 in quanto indebitamente percepito nel periodo intercorso fra il gennaio 2012 ed il novembre 2013, a titolo di assegno sociale. Inoltre il tribunale aveva condannato l’Inps a restituire le somme trattenute a tale titolo dal dicembre 2013.

La Corte d’appello, per quanto ancora d’interesse in relazione alla restituzione dell’indebito, sosteneva che non fosse possibile riconoscere all’Istituto il diritto alla ripetizione delle somme indebitamente erogate trattandosi di prestazione a carattere assistenziale. Ciò in quanto, la regolamentazione normativa di settore, riferita all’indebito assistenziale, presentava un denominatore comune, fondato sul principio dell’affidamento incolpevole, e costituito dalla previsione che vengono restituiti i ratei indebitamente erogati a partire dalla data del provvedimento che accerta che la prestazione assistenziale non fosse dovuta (Cass. nn. 1446/2008, 2014/8970, 19638/2015). Tale indirizzo si attagliava al caso di specie nel quale l’ulteriore reddito percepito, oltre alla prestazione assistenziale oggetto di causa, era costituito dalla quota di pensione di reversibilità erogata dallo stesso Inps ed indicata nei modelli CUD rilasciati dall’Istituto il quale se ne mostrava in tal modo pienamente consapevole. L’affidamento riposto dalla pensionata nella legittima erogazione di entrambi gli importi appariva pertanto certamente tutelabile alla luce della normativa sopra richiamata.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Inps con un motivo illustrato da memoria, al quale ha resistito T.A. con controricorso. E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RITENUTO

CHE:

1.- con l’unico motivo di ricorso l’Inps ha denunziato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., in relazione alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6; afferma l’INPS che non risulta condivisibile l’adesione della sentenza impugnata alla tesi dell’inapplicabilità della disciplina generale prevista per l’indebito oggettivo dall’art. 2033 c.c., stante un affidamento dell’accipiens da tutelare, avendo la Corte d’appello illegittimamente esteso all’indebito assistenziale la tutela dell’affidamento che il legislatore ha riservato invece alla diversa materia dell’indebito previdenziale.

2. Il motivo è infondato.

3.- Ed infatti la sentenza impugnata è conforme al consolidato orientamento di questa Corte in materia di indebito assistenziale. E non ha applicato i principi dell’indebito previdenziale; posto che, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, non è vero che nel settore dell’indebito assistenziale non esista il principio di affidamento e che si applichi invece il principio generale di ripetizione dell’indebito stabilito dall’art. 2033 c.c.

4. Vanno bensì applicati i principi di settore, propri dell’indebito assistenziale, per come ricostruiti dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha individuato, in relazione alle singole e diversificate fattispecie esaminate, una articolata disciplina che distingue vari casi, a seconda che il pagamento non dovuto afferisca, volta per volta, alla mancanza dei requisiti reddituali, di quelli sanitari, di quelli socio economici (incollocazione o disoccupazione) o a questioni di altra natura (come ad es. l’esistenza di ricovero ospedaliero gratuito nel caso dell’indennità di accompagnamento).

5.- In termini generali, questa Corte ha sempre precisato (fin dalla sentenza n. 1446/2008 est. Picone, v. pure n. 11921/2015) che “nel settore della previdenza e dell’assistenza obbligatorie si è affermato, ed è venuto via via consolidandosi, un principio di settore secondo il quale, in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, trova applicazione la regola, propria di tale sottosistema, che esclude viceversa la ripetizione in presenza di situazioni di fatto variamente articolate, ma comunque avente generalmente come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percepiente della erogazione non dovuta ed una situazione idonea a generare affidamento”.

6.- Sulla esistenza di questo principio si è appoggiata anche la giurisprudenza della Corte Cost. in materia di indebito assistenziale allorchè pur affermando – ordinanze n. 264/2004 e n. 448/2000 – che non sussista un’esigenza costituzionale che imponga per l’indebito previdenziale e per quello assistenziale un’identica disciplina, ha ritenuto che operi anche “in questa materia un principio di settore, onde la regolamentazione della ripetizione dell’indebito è tendenzialmente sottratta a quella generale del codice civile” (ord. n. 264/2004).

7.- Al riguardo la Corte Cost. ha pure evidenziato che il canone dell’art. 38 Cost., appresta al descritto principio di settore una garanzia costituzionale in funzione della soddisfazione di essenziali esigenze di vita della parte più debole del rapporto obbligatorio, che verrebbero ad essere contraddette dalla indiscriminata ripetizione di prestazioni naturaliter già consumate in correlazione – e nei limiti – della loro destinazione alimentare (C. Cost. n. 39 del 1993; n. 431 del 1993)”.

8. Sulla precipua questione dell’indebito assistenziale per mancanza del requisito reddituale, che qui viene in rilievo, da ultimo questa Corte di cassazione ha affermato (Sez. L -, Sentenza n. 26036 del 15/10/2019) che ” L’indebito assistenziale determinato dalla sopravvenuta carenza del requisito reddituale, in assenza di norme specifiche che dispongano diversamente, è ripetibile solo a partire dal momento in cui intervenga il provvedimento che accerta il venir meno delle condizioni di legge, e ciò a meno che non ricorrano ipotesi che escludano qualsivoglia affidamento dell'”accipiens”, come nel caso di erogazione di prestazioni a chi non abbia avanzato domanda o non sia parte di un rapporto assistenziale o di radicale incompatibilità tra beneficio ed esigenze assistenziali o, infine, di dolo comprovato”.

9. La pronuncia si pone nella scia di Cass. Sez. L., Sentenza n. 28771 del 09/11/2018 (che richiama in motivazione) che pure aveva affermato che ‘L’indebito assistenziale determinato dal venir meno, in capo all’avente diritto, dei requisiti reddituali previsti dalla legge abilita l’ente erogatore alla ripetizione delle somme versate solo a partire dal momento in cui è stato accertato il superamento dei predetti requisiti, a meno che non si provi che “l’accipiens” versasse in dolo rispetto a tale condizione (come ad esempio allorquando l’incremento reddituale fosse talmente significativo da rendere inequivocabile il venire meno dei presupposti del beneficio), trattandosi di coefficiente soggettivo idoneo a far venir meno l’affidamento alla cui tutela sono preposte le norme limitative della ripetibilità dell’indebito”.

10.- Nella stessa traccia motivazionale, ma con riferimento alla mancanza del requisito dell’incollocazione al lavoro, si colloca anche la più recente sentenza (Cass. Sez. L., n. 31372 del 02/12/2019) secondo cui “In tema di ripetibilità delle prestazioni assistenziali indebite per mancanza del requisito di incollocazione al lavoro, trovano applicazione, in difetto di una specifica disciplina, le norme sull’indebito assistenziale riferite alla mancanza dei requisiti di legge in via generale che, in quanto speciali rispetto alla disposizione di cui all’art. 2033 c.c., limitano la restituzione ai soli ratei indebitamente erogati a decorrere dalla data del provvedimento amministrativo di revoca del beneficio assistenziale non dovuto, restando esclusa la ripetizione delle somme precedentemente corrisposte, e senza che rilevi l’assenza di buona fede dell”accipiens”.

11.- Il principio generale di settore richiamato nelle stesse tre più recenti pronunce della IV sezione muove dalla tesi prima ricordata secondo cui “il regime dell’indebito previdenziale ed assistenziale presenta tratti eccentrici rispetto alla regola della ripetibilità propria del sistema civilistico e dell’art. 2033 c.c., in ragione dell'”affidamento dei pensionati nell’irripetibilità di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede” in cui le prestazioni pensionistiche, pur indebite, sono normalmente destinate “al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia” (Corte Costituzionale 13 gennaio 2006, n. 1), con disciplina derogatoria che individua “alla luce dell’art. 38 Cost. – un principio di settore, che esclude la ripetizione se l’erogazione (..) non sia (…) addebitabile” al percettore (Corte Costituzionale 14 dicembre 1993 n. 431).”

12.- Giova ricordare che si tratta di un principio risalente, la cui prima affermazione si rinviene appunto nella sentenza n. 1446/2008 (est. Picone); e che anche le Sez. Unite di questa Corte (sentenza n. 10454 del 21/05/2015) hanno riconosciuto che le prestazioni di assistenza sociale rivestano natura alimentare, in quanto fondate esclusivamente sullo stato di bisogno del beneficiario, a differenza delle prestazioni previdenziali, che presuppongono un rapporto assicurativo e hanno più ampia funzione di tutela.

13.- Nella specifica fattispecie dell’indebito per mancanza del requisito reddituale va rilevato che ai fini della ripetizione Cass. 31372/2019 e Cass. 28771/18 cit. richiedono, entrambe, che sia necessario il “dolo comprovato dell’accipieni” atto a far venir meno l’affidamento dell’accipiens. E ricordano che il D.L. n. 269 del 2003 cit., art. 42 conv. in L. n. 326 del 2003 – prima di stabilire per il periodo pregresso e fino al 2 ottobre 2003, la sanatoria degli indebiti per mancanza dei requisiti reddituali- preveda, nello stesso comma 5, che entro trenta giorni attraverso una determinazione interdirigenziale (INPS, Ministero dell’Economia, Agenzia dell’Entrate) si debba procedere a stabilire le modalità tecniche per effettuare, in via telematica, le verifiche sui requisiti reddituali dei titolari delle provvidenze economiche allo scopo di sospendere le prestazioni e di ripetere l’indebito.

14.- il D.L. n. 269 del 2003 cit., art. 42, ha previsto dunque che in materia di invalidità civile vi fosse anzitutto una sanatoria generalizzata per il periodo precedente il 2003. Mentre per il periodo successivo ha stabilito che, a seguito delle verifiche reddituali effettuate dall’INPS, si possano sospendere le prestazioni e quindi ripetere le somme erogate per indebiti previdenziali. Questo non significa però, dopo il 2 ottobre 2003, che le stesse prestazioni si possano recuperare indiscriminatamente; tutte e sempre. In quanto, come già detto, in materia assistenziale va tutelato l’affidamento del percipiente, il quale, secondo la consolidata giurisprudenza prima menzionata della IV sezione, consente di norma (anche dopo il 2003) la ripetizione solo a partire dal provvedimento che sospende l’erogazione ed accerta l’indebito (come prevede lo stesso art. 42), salvo il dolo comprovato.

15.- Per quanto concerne poi l’esistenza di tale specifico coefficiente soggettivo, necessario per il venir meno della tutela dell’affidamento del percipiente, la sentenza di questa Corte n. 31372/2019 ha affermato che esso non sussista in un caso in cui il mancato inoltro della dichiarazione reddituale da parte del pensionato poteva ritenersi compatibile con una mera dimenticanza.

16.- Mentre Cass. n. 28771/2018 ha affermato che una situazione di dolo comprovato dell’accipiens rispetto al venire meno del suo diritto potrebbe sussistere “ad es. allorquando l’incremento reddituale sia talmente significativo da rendere inequivocabile il venir meno del beneficio; trattandosi di coefficiente che naturalmente fa venire meno l’affidamento alla cui tutela sono preposte le norme”.

17.- Va ora evidenziato che nessun obbligo di restituzione si può configurare nell’ipotesi in cui l’accipiens ha già dichiarato i propri redditi alla PA. ed essi fossero perciò conoscibili dall’INPS al quale già il D.L. n. 269 del 2003, art. 42 conv. in L. n. 326 del 2003, consentiva di accedere alla conoscenza dei redditi dichiarati onerandolo del controllo telematico dei requisiti reddituali.

18.- Il concetto è stato reso ancor più chiaro ed esplicito dal D.L. n. 78 del 2009, art. 15, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, il quale prevede che dal primo gennaio 2010, l’Amministrazione finanziaria ed ogni altra Amministrazione pubblica, che detengono informazioni utili a determinare l’importo delle prestazioni previdenziali ed assistenziali collegate al reddito dei beneficiati, sono tenute a fornire all’INPS in via telematica le predette informazioni presenti in tutte le banche dati a loro disposizione, relative a titolari, e rispettivi coniugi e familiari, di presta:zioni pensionistiche o assistenziali residenti in Italia.

Da ciò si evince che tutti i fatti relativi ai dati reddituali dei titolari di prestazioni pensionistiche o assistenziali sono sempre conosciuti o conoscibili d’ufficio dall’INPS in via telematica.

19. Lo stesso principio risulta poi ribadito e rafforzato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 13, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, il quale prevede al comma 1, l’istituzione presso l’INPS del ” Casellario dell’Assistenza” ” per la raccolta, la conservazione e la gestione dei dati, dei redditi e di altre informazioni relativi ai soggetti aventi titolo alle prestazioni di natura assistenziale; ed all’art. 13 cit., comma 6, stabilisce che “i titolari di prestazioni collegate al reddito di cui al precedente comma 8”, devono comunicare all’INPS soltanto i dati della propria situazione reddituale, incidente sulle prestazioni in godimento, che non sia già stata integralmente comunicata all’Amministrazione finanziaria. Da cui discende perciò confermato che essi non devono comunicare all’INPS la propria situazione reddituale già integralmente dichiarata e conosciuta dall’Amministrazione.

La norma (che ha modificato il D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 35, convertito dalla L. 27 febbraio 2009, n. 14, ed introdotto il comma 10 bis) prevede testualmente: “Ai fini della razionalizzazione degli adempimenti di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 13, titolari di prestazioni collegate al reddito, di cui al precedente comma 8, che non comunicano integralmente all’Amministrazione finanziaria la situazione reddituale incidente sulle prestazioni in godimento, sono tenuti ad effettuare la comunicazione dei dati reddituali agli Enti previdenziali che erogano la prestazione. In caso di mancata comunicazione nei tempi e nelle modalità stabilite dagli Enti stessi, si procede alla sospensione delle prestazioni collegate al reddito nel corso dell’anno successivo a quello in cui la dichiarazione dei redditi avrebbe dovuto essere resa”.

20.- L’obbligo dei titolari di prestazioni collegate al reddito riguarda in sostanza di, quei dati reddituali che proprio perchè non vanno dichiarati nel modello 730 (come ad esempio i redditi da lavoro dipendente prestato all’estero, gli interessi bancari, postali, dei BOT, dei CCT e di altri titoli di Stato, ecc.) devono essere però dichiarati all’INPS.

21.- Infine va osservato che in nessun caso si possono ipotizzare i presupposti per la restituzione dell’indebito quando esso scaturisca dal possesso di un certo reddito costituito da una prestazione di qualsiasi natura (previdenziale o assistenziale) erogata dall’INPS e che quindi esso l’Istituto già conosce.

21.1. In questa ipotesi l’affidamento riposto dal pensionato nella legittima erogazione di entrambi gli importi effettuati dallo stesso Istituto (informato della situazione reddituale) appare certamente tutelabile alla luce delle premesse. Tanto più che la legge citata (D.L. n. 269 del 2003, art. 42, conv. in L. n. 326 del 2003) onera l’INPS della attivazione dei controlli reddituali in via telematica allo scopo di sospendere le prestazioni e richiedere la restituzione dell’indebito. Sicchè, giammai, potrebbe farsi carico al percipiente di un’omessa comunicazione di dati reddituali incidenti sulla misura o sul godimento della prestazione che l’INPS conosce o ha l’onere di conoscere.

21.2. Inoltre come già detto, il D.L. n. 78 del 2010, art. 13, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, al comma 1, prevede l’istituzione presso l’INPS del “Casellario dell’Assistenza per la raccolta, la conservazione e la gestione dei dati, dei redditi e di altre informazioni relativi ai soggetti aventi titolo alle prestazioni di natura assistenziale.

Il comma 2 stabilisce ” Il Casellario costituisce l’anagrafe generale delle posizioni assistenziali e delle relative prestazioni, condivisa tra tutte le amministrazioni centrali dello Stato, gli enti locali, le organizzazioni no profit e gli organismi gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie che forniscono obbligatoriamente i dati e le informazioni contenute nei propri archivi e banche dati, per la realizzazione di una base conoscitiva per la migliore gestione della rete dell’assistenza sociale, dei servizi e delle risorse. La formazione e l’utilizzo dei dati e delle informazione del Casellario avviene nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali.”

22.- Infine va osservato che in casi simili (secondo una considerazione effettuata da questa Corte a proposito dell’indebito previdenziale ma valida sul piano logico giuridico, alla luce delle norme richiamate, anche per quello assistenziale) allorchè le situazioni ostative all’erogazione siano note all’ente previdenziale ovvero siano da esso conoscibili facendo uso della diligenza richiestagli dalla sua qualità di soggetto erogatore della prestazione, il comportamento omissivo del percipiente, ancorchè in malafede, non è determinante della indebita erogazione e non può dunque costituire ragione di addebito della stessa (così, in specie, Cass. n. 11498 del 1996; Cass. n. 8731/2019). Ed è alla stregua di tale orientamento consolidato che la Corte costituzionale ha rilevato come, nell’ambito dell’ordinamento previdenziale, diversamente dalla regola generale di incondizionata ripetibilità dell’indebito posta dall’art. 2033 c.c., trovi applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema normativo, che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatto avente come minimo comun denominatore la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta (cfr. in tal senso Corte Cost. n. 431 del 1993, ma anche Cass. n. 1446/2008 est. Picone).

23. Va pertanto affermato che la Corte territoriale del tutto legittimamente ha riconosciuto che anche le prestazioni assistenziali successive al 2 ottobre 2003 non fossero ripetibili fino al provvedimento che ha accertato l’indebito dovendosi tutelare l’affidamento dell’accipiens non potendosi applicare l’art. 2033 c.c., e non sussistendo nessuna allegazione in relazione al dolo comprovato, il quale non è comunque configurabile nella mera omissione di una comunicazione di dati reddituali che l’INPS già conosce o ha l’onere di conoscere.

24. Va inoltre rilevato che con la memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., l’INPS ha inammissibilmente ampliato le questioni oggetto del giudizio laddove ha dedotto una specifica incompatibilità dell’assegno sociale con il principio dell’affidamento in ragione della strutturale provvisorietà della prestazione secondo le regole previste della legge; su cui però nulla era stato dedotto prima, nel ricorso per cassazione, nel quale si sosteneva soltanto che la Corte di Milano avesse applicato all’indebito in oggetto i principi dell’indebito previdenziale.

Non solo, le stesse note dell’INPS introducono pure nuovi fatti (oltre tutto in violazione del principio di specificità ed autosufficienza) che contrastano con quanto attestato dalla sentenza (che a pag. 5 riconduce la produzione dell’indebito esclusivamente ad una quota di pensione di reversibilità erogata dall’INPS e da questo indicata nei modelli CUD; e non all’assegno divorzile percepito dalla controricorrente).

Ad ogni modo, per quanto occorrer possa, va chiarito che i principi fin qui indicati sulla rilevanza dell’affidamento del pensionato nei termini sopra indicati, in relazione a requisiti reddituali rinvenienti da prestazioni erogate dallo stesso INPS, devono essere applicati anche nel caso in cui l’indebito riguardi l’assegno sociale per superamento del limite di reddito.

25.- Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente a pagare le spese del presente giudizio, (Ndr. Testo non leggibile).

26.- Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in complessive Euro 2200, di cui Euro 2000 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori

di legge, con discrezione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’adunanza camerale, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

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