Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16087 del 26/06/2013
Civile Ord. Sez. 6 Num. 16087 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 19687/2011 proposto da:
MASSAGLI COSTRUZIONI S.R.L. (C.F.: 0131449046), in
persona del legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di mandato a margine del
ricorso, dagli Avv.ti Sandro Bonelli e Giovanni Di Gioia ed elettivamente domiciliata presso
lo studio del secondo, in Roma, piazza G. Mazzini, n. 27;
– ricorrente —
contro
MINISTERO DELL’INTERNO (C.F.: 97149560589), in persona del Ministro pro-tempore,
rappresentato e difeso “ex lege” dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato presso i
suoi Uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza n. 804 del 2010 del Giudice di pace di Lucca, depositata
il 30 giugno 2010 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 maggio 2013
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
letta la memoria difensiva depositata nell’interesse della ricorrente;
sentito l’Avv. Claudio Lucisano (per delega) per la ricorrente;
Data pubblicazione: 26/06/2013
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Lucio Capasso, che nulla ha osservato in ordine alla relazione ex art. 380 bis c.p. c. in atti.
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 3 novembre 2012, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con ricorso tempestivamente proposto la s.r.l. Massagli Costruzioni, in persona del legale 108203818 del 26 maggio 2004 elevato dai Carabinieri della Stazione di Altopascio per
l'accertata violazione di cui all'art. 21, commi 2 e 4, c.d.s. 1992. L'adito Giudice di pace di
Lucca, con sentenza n. 1129 del 2005, rigettava il ricorso. A seguito della formulazione di
ricorso per cassazione da parte dell'anzidetta società, questa Corte, con sentenza n.
27344 del 2009, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa ad altro magistrato
dello stesso Ufficio del Giudice di pace di Lucca. Riassunto il giudizio dinanzi a
quest'ultimo Ufficio giudiziario, il designato Giudice di pace, con sentenza n. 804 del 2010
(depositata il 30 giugno 2010 e non notificata), rigettava l'originaria opposizione proposta
nel merito in quanto infondata, condividendo per intero le motivazioni riportate nella
sentenza cassata in rito ed alla quale si faceva espressamente rinvio.
Avverso la suddetta sentenza emanata in sede di giudizio di rinvio (ai sensi degli artt. 22,
22 bis e 23 della legge n. 689 del 1981) ha proposto altro ricorso per cassazione
(notificato il 26 luglio 2011 e depositato il 3 agosto 2011) la s.r.l. Massa gli Costruzioni,
riferito a tre motivi. L'intimato Ministero dell'Interno si è costituito in questa fase con
controricorso.
Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 200 e 201 c.d.s. 1992
(in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) per omessa indicazione dei motivi che
avevano reso impossibile la contestazione immediata. 2 rappresentante pro-tempore, formulava opposizione avverso il verbale di accertamento n. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli
artt. 21, comma 1, e 26, comma 3, del c.d.s. 1992, nonché la violazione dell'art. 112 c.p.c.
(il tutto in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Con il terzo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt.
21, comma 2, c.d.s. 1992 e 2700 c.c., nonché il difetto di motivazione in ordine ad un Ritiene il relatore che, nella specie, siano ravvisabili i presupposti per ritenere
inammissibile il proposto ricorso, siccome la sentenza impugnata, emessa in sede di rinvio
dalla Corte di cassazione, non era direttamente nuovamente ricorribile per cassazione ma
appellabile.
La sesta Sezione di questa Corte (cfr. ord. 5 aprile 2011, n. 7781) ha, infatti, stabilito il
principio secondo cui la natura c.d. "chiusa" del giudizio di rinvio - il quale integra una
nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria - non comporta alcuna deroga
al generale principio di diritto processuale "tempus regit actum", in virtù del quale l'atto
processuale è soggetto alla disciplina vigente al momento in cui viene compiuto, sebbene
successiva all'introduzione del giudizio, con la conseguenza che la sentenza pronunciata
all'esito del giudizio di rinvio deve essere impugnata con il mezzo previsto dalla legge
vigente al momento dell'impugnazione. Alla stregua di tanto, questa Corte, proprio con
riferimento ad un giudizio di opposizione ed ordinanza ingiunzione in base alla legge 24
novembre 1981, n. 689, ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione avverso la
sentenza del giudice di pace pubblicata successivamente all'entrata in vigore del d.lgs. 2
febbraio 2006, n. 40, il cui art. 26, modificando l'art. 23 della citata legge n. 689
(sopprimendone l'ultimo comma), ha comportato, senza distinzioni di sorta, la regola della
appellabilità.
In termini più diffusi, con la condivisibile ordinanza richiamata n. 7781 del 2011, è stato
chiarito che la natura "chiusa" del giudizio di rinvio comporta soltanto la improponibilità,
3 punto decisivo della controversia (con riferimento all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.). nell'ambito dello stesso, di questioni diverse di quelle già trattate in precedenza e rimesse
in discussione dalla sentenza di legittimità, ma non anche l'ultrattività del regime
impugnatorio, connotato estrinseco della decisione, che in base al generale principio
processuale "tempus regit actum" (cfr. anche Cass. n. 3688 del 2011), è regolato dalla
legge temporalmente in vigore all'epoca della relativa pronunzia, non sottraendosi, sentenze pronunziate nei giudizi disciplinati dall'art. 23 della legge n. 689 del 1981, ha
introdotto, senza distinzioni di sorta, la regola dell'appellabilità. Tale soluzione risulta, del
resto, coerente al principio, desumibile da ripetute pronunce di questa Corte, secondo cui
il giudizio di rinvio, a seguito di cassazione, non costituisce la prosecuzione della
pregressa fase di merito, ma integra una nuova ed autonoma fase processuale, di natura
rescissoria (nei limiti posti dalla sentenza rescindente), funzionale all'emanazione di una
sentenza che, senza sostituirsi, modificandola o riformandola, alla precedente, statuisce
direttamente sulle domande proposte dalle parti (cfr., in tal senso, ad es., Cass. n. 14892
del 2000; Cass. n. 13833 del 2002 e Cass. n. 4018 del 2006).
Né, peraltro, l'assoggettamento all'appello della sentenza in questione è idonea a
comportare la discutibile conseguenza che alla ritenuta appellabilità sopravvenuta in luogo
della ricorribilità in cassazione conseguirebbe anche illegittimamente l'effetto devolutivo
proprio di tale gravame, considerato che tale effetto resta limitato soltanto alle questioni
rimesse in discussione dalla rescindente decisione di legittimità ed a quelle eventualmente
dalle stesse dipendenti, non anche sulle rimanenti, già in precedenza proposte e non fatte
oggetto del ricorso per cassazione, in relazione alle quali si era già irreversibilmente
formata la preclusione del giudicato interno.
Conseguentemente, essendo stata, nella specie, direttamente impugnata in cassazione
una sentenza del Giudice di pace, emessa in sede di rinvio nel 2010 (risultando depositata
il 30 giugno 2010) nella materia relativa alle violazioni di cui al di Igs. n. 285 del 1992,
4 pertanto, allo "jus superveniens" nella specie costituito dalla citata disposizione, che per le anziché appellarla per effetto della sopravvenuta soppressione dell'ultimo comma dell'art.
23 della legge n. 689 del 1981 ai sensi dell'art. 26, comma 1, del d. lgs. n. 40 del 2006
(applicabile a tutte le ordinanze e le sentenze pubblicata a decorrere dal 2 marzo 2006), il
ricorso proposto andrebbe dichiarato inammissibile, in tal senso, quindi, rilevandosi
l'emergenza delle condizioni per procedere nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c. (in suddetto orientamento della giurisprudenza di questa Corte (avuto riguardo all'art. 360 bis,
n. 1), c.p.c.)>>.
Considerato che, ad avviso del Collegio, non sussistono le condizioni
di evidenza decisoria che, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. (con riferimento specifico alla
richiamata ipotesi enucleata nel n. 1), consentono la definizione del ricorso in camera di
consiglio;
ritenuto che, pertanto, occorre rimettere la trattazione del ricorso alla
pubblica udienza presso la Il Sezione civile;
P.Q.M.
La Corte rinvia la trattazione del ricorso alla pubblica udienza presso la Il Sezione civile.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 24 maggio 2013.
relazione all’art. 375 n. 1) c.p.c.) e non ravvisandosi idonei elementi per superare il