Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16086 del 22/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 22/07/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 22/07/2011), n.16086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6592-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

P.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 83/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 10/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2011 dal Consigliere Dott. RENATO POLICHETTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DETTORI BRUNO, che si riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

MOTIVI DELLA DECISIONE

P.M. ha proposto opposizione alla cartella esattoriale a lui notificata il 3 marzo 2004 con la quale gli è stato intimato – nella sua qualità di socio illimitatamente responsabile della s.n.c. Tecnosider – di pagare 883.917,48 Euro per IVA degli anni 1981-1984.

A fondamento dell’opposizione il contribuente eccepiva la prescrizione. L’ufficio replicava che il credito fiscale derivava dal giudicato formatosi con la sentenza 7 novembre 2001 n. 265/5/2001 pronunziata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano sul ricorso proposto dalla Tecnosider e passata in giudicato per mancanza di impugnazione. Pertanto la prescrizione ex judicato decorreva dalla data di definitività della sentenza ed era decennale.

Il contribuente replicava che la s.n.c. era stata dichiarata fallita ed il ricorso giudicato dalla suddetta sentenza era stato proposto dalla curatela. Prima della sentenza, peraltro, il fallimento era stato chiuso e da quel momento (1996) società e socio erano ritornati in bonis. Nei loro confronti quindi non poteva valere la sentenza pronunziata nel 2001 nei confronti del fallimento.

Conseguentemente il termine di prescrizione era quello ordinario quinquennale e decorreva dalla data di chiusura del fallimento. Le sentenze della Commissione tributaria provinciale e della Commissione tributaria regionale hanno accolto la tesi del contribuente.

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione della L. Fall., artt. 1310, 2291, 2909, 2945, 2948, 2953 e artt. 94 e 324 cod. proc. civ..

La censura è fondata.

La sentenza sopra indicata è validamente opponibile alla società.

La chiusura del fallimento nelle more del processo determina infatti la perdita della legittimazione degli organi fallimentari e quindi l’interruzione del processo, ma se essa non viene dichiarata l’interruzione non si verifica ed il processo può essere concluso e deciso nei confronti delle parti. In questo senso si è pronunziata la giurisprudenza della Corte di cassazione: cfr. Cass. n. 979 del 16/01/2009 secondo cui “in tema di domanda proposta dal curatore, qualora in corso di causa abbia luogo la chiusura del fallimento e l’evento – che implica la decadenza degli organi preposti al fallimento stesso – non venga dichiarato o notificato ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ., il processo prosegue e gli effetti si producono in capo all’ex fallito”; Cass. n. 8327 del 26/05/2003 secondo cui “II riacquisto della capacità processuale, allo stesso modo della perdita della medesima capacità, determina l’interruzione del processo soltanto a seguito di dichiarazione del procuratore costituito, in difetto della quale il giudizio prosegue tra le parti originarie, fino a quando non si verifichi la costituzione del soggetto legittimato. Pertanto, nel procedimento in cui sia parte il fallimento, in persona del curatore, costituito a mezzo di procuratore, la sopravvenuta chiusura della procedura concorsuale nel corso di un grado del giudizio, implicando la cessazione dalla carica del curatore ed il conseguente venir meno della sua capacità processuale, con riacquisto della capacità processuale da parte del fallito, configura evento interruttivo regolato dal disposto dell’art. 300 cod. proc. civ. ed è irrilevante ai fini della prosecuzione del giudizio nei confronti del curatore ove sia mancata la dichiarazione suddetta” (cfr. anche Cass. 4766 del 2007 e 3351 del 2007 nonchè Sez. U, Sentenza n. 15783 del 28/07/2005).

Nei confronti della società, quindi, l’effetto interruttivo della prescrizione è durato fino al passaggio in giudicato di detta sentenza. Lo stesso vale per il socio illimitatamente responsabile ai sensi dell’art. 1310 cod. civ. (Cass. n. 8136 del 15/06/2001, secondo cui la disciplina dell’art. 1310 c.c., comma 2 sull’estensibilità dell’interruzione della prescrizione agli altri condebitori solidali va completata con la disciplina degli effetti della durata dell’interruzione contenuta nell’art. 2945 cod. civ., con la conseguenza che l’azione giudiziaria e la pendenza del relativo processo determina l’interruzione permanente della prescrizione anche nei confronti del condebitore rimasto estraneo al giudizio.

Trova applicazione la prescrizione decennale ai sensi dell’art. 2953 cod. civ.. Infatti “Il diritto alla riscossione di un’imposta, conseguente ad avviso di liquidazione divenuto definitivo, perchè confermato con sentenza passata in giudicato, non è assoggettato ai termini di decadenza e prescrizione che scandiscono i tempi dell’azione amministrativo-tributaria, ma esclusivamente al termine di prescrizione generale previsto dall’art. 2953 cod. civ., in quanto il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l’atto amministrativo, ma la sentenza” (Cass. n. 5837 del 11/03/2011 e Cass. Sez Unite n. 25790 del 10/12/2009).

P.Q.M.

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata senza rinvio e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo e condanna P.M. alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 10.000 oltre gli accessori di legge, compensando tra le farti quelle dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2011 Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2011

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