Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16084 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/06/2017, (ud. 16/03/2017, dep.28/06/2017),  n. 16084

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24339/2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.P.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TRONTO 32,

presso lo studio dell’avvocato GIULIO MUNDULA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FULVIO ARICO’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 107/2010 della COMM. TRIB. REG. della

LOMBARDIA, depositata il 19/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/03/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate notificava a B.P., esercente l’attività di odontoiatra, un avviso di accertamento per l’anno di imposta 1993 con il quale accertava maggiori ricavi per Euro 98.652 e determinava un reddito di Euro 168.516 a fronte di un reddito dichiarato di Euro 64.341.

Il contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Pavia che lo rigettava con sentenza n. 154 del 2009.

B.P. proponeva appello alla Commissione tributaria regionale che lo accoglieva parzialmente. Il giudice di appello confermava l’avviso di accertamento relativamente alla indeducibilità di parte dei costi di pulizia; riduceva ad Euro 25.000 i maggiori compensi accertati dall’Ufficio in Euro 98.652.

Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

B.P. resiste con controricorso. Eccepisce l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto tardivamente; in subordine ne chiede il rigetto. Deposita memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

L’eccezione preliminare di tardività del ricorso per cassazione è infondata. La L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17, ha dimezzato, da un anno a sei mesi, il termine di decadenza dall’impugnazione, decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza, previsto dall’art. 327 c.p.c.. A norma dell’art. 58, comma 1 della stessa legge, la predetta modifica al codice di rito si applica “ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore” vale a dire a decorrere dal 4.9.2009. La “pendenza del giudizio”, ai fini della applicazione del termine di decadenza di sei mesi previsto dal novellato art. 327 c.p.c., deve essere individuato nella data di notificazione del ricorso introduttivo del giudizio, che, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 20, determina la litispendenza, (Sez. 6-5, Ordinanza n. 11087 del 30/05/2016, Rv. 639992-01).

Nel caso in esame è incontroverso che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado sia stato notificato in data antecedente al 4.9.2009, mentre parte resistente fa erroneamente riferimento alla data di instaurazione del grado di appello del giudizio. Ne consegue l’applicabilità del termine di decadenza dall’impugnazione di un anno, non decorso, posto che la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 19.10.2010 ed il ricorso per cassazione è stato notificato in data 6.10.2011.

1. Violazione del divieto di extra o ultrapetizione ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il primo motivo è infondato. L’annullamento parziale dell’avviso di accertamento, a fronte della richiesta del contribuente appellante di annullamento totale dell’atto impositivo, non viola il divieto di ultrapetizione risultante dall’art. 112 c.p.c..

2. Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il secondo motivo è fondato. Il giudice di appello ha rilevato che, nei confronti del contribuente B.P., l’Ufficio ha considerato una incidenza media dei costi sui ricavi totali del 61,16%, mentre per altro contribuente, svolgente la stessa attività nel medesimo Comune, ha utilizzato un diverso parametro di incidenza dei costi sui ricavi, pari al 54,64%, determinato in riferimento ad una più ampia platea di medici dentisti. Dalla rilevata variabilità del parametro della incidenza dei costi sui ricavi ha tratto, senza ulteriori considerazioni, la conclusione che i maggiori ricavi dovessero essere determinati nella misura di Euro 25.000, a fronte di quelli accertati dall’Ufficio in Euro 98.652. L’argomentazione è priva di senso logico poichè il riferimento ad una incidenza dei costi sui ricavi inferiore a quella concretamente utilizzata dall’Ufficio nei confronti del contribuente avrebbe semmai conseguenze sfavorevoli, determinando una maggiore redditività dell’attività professionale del contribuente accertato. Inoltre la statuizione del giudice di appello omette totalmente di indicare quali siano stati i concreti criteri adottati per pervenire alla rideterminazione dei maggiori compensi nella misura di Euro 25.000 piuttosto che in qualunque altra e diversa entità.

La sentenza deve essere pertanto cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, che all’esito del giudizio di rinvio deciderà anche sulle spese relative al giudizio di legittimità.

PQM

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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