Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16082 del 02/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 02/08/2016, (ud. 05/04/2016, dep. 02/08/2016), n.16082

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22894-2008 proposto da:

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati VALERIO MERCANTI, ELISABETTA LANZETTA e LUCIA POLICASTRO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

S.E.;

– intimato –

Nonchè da:

S.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 23,

presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA DAMIZIA, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5109/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/09/2007, R.G. N. 5289/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2016 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito l’Avvocato Lucia Policastro;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza n. 5109/2007, depositata il 24.9.2007, la Corte d’Appello di Roma respingeva l’appello principale ed incidentale contro la sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Latina aveva rigettato la domanda di S.E., dipendente dell’INPS, volta a far dichiarare l’illegittimità della trattenuta operata dall’INPS a titolo di contributo di solidarietà al 2%; accogliendo invece l’altro capo di domanda in virtù del quale ordinava all’INPS di rideterminare la retribuzione annua utile ai fini del calcolo del trattamento di previdenza e di quiescenza del medesimo ricorrente, ricomprendendo nella stessa tutte le voci retributive di cui all’art. 5 del regolamento del Fondo integrativo, art. 28 del CCNL 1998/2001, art. 19 del Contratto Integrativo e il salario di professionalità, nonchè ogni altra indennità avente carattere fisso e continuativo.

A fondamento della pronuncia la Corte d’Appello sosteneva che l’appello principale dell’INPS fosse da dichiarare inammissibile laddove risultava incentrato sulla questione della determinazione dell’indennità di buonuscita, anzichè sui criteri di computabilità della pensione integrativa (solo quest’ultima essendo oggetto della domanda originaria); e che il gravame fosse pure infondato tenuto conto dell’oggetto della domanda (limitato appunto alla questione della determinazione della retribuzione utile ai fini del trattamento integrativo di previdenza) e della giurisprudenza di legittimità intervenuta in materia (Cass. sentenza nn. 7596 e 6663 del 2007).

Sull’appello incidentale proposto da S.E. la Corte d’appello affermava che il contributo del 2% sulla pensione integrativa fosse dovuto ancorchè l’appellante risultasse ancora in servizio e non in quiescenza; e ciò perchè, ai sensi della L. n. 144 del 1999, art. 64 il legislatore aveva inteso fare riferimento al diritto all’importo come maturato alla data della soppressione del fondo e non invece alla prestazione quale erogata o erogabile alla cessazione del servizio.

Avverso detta sentenza l’INPS ha proposto ricorso articolato su due motivi. Ai quali ha resistito S.E. con controricorso contenente ricorso incidentale incentrato su un motivo, ed illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo l’INPS censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 342 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) laddove la Corte territoriale aveva identificato l’oggetto della domanda nella sola questione relativa alla determinazione della pensione integrativa, dichiarando inammissibile l’appello in quanto incentrato sull’indennità di buonuscita (o trattamento di quiescenza o trattamento di fine servizio o indennità di anzianità).

2.- Col secondo motivo l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione della L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 3 e degli artt. 5 e 34 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza del personale a rapporto di impiego dell’INPS (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione alla determinazione della retribuzione annua di riferimento utile ai fini del calcolo dell’indennità di anzianità (o trattamento di quiescenza o buonuscita o trattamento di fine servizio) in base alla L. n. 1970 del 1975, art. 13.

Rileva in proposito l’INPS che per il personale INPS cessato o che cessi dal servizio dopo il 1 ottobre 1999 (come il ricorrente) per la determinazione del trattamento di fine servizio occorra fare esclusivo riferimento alla L. n. 70 del 1975, art. 13 il quale prevede che l’indennità di anzianità sia commisurata a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato computando solo la paga base tabellare (oltre la trattamento relativo all’anzianità). Non potevano invece applicarsi (ratione temporis) gli artt. 5 e 34 del Regolamento del Fondo di Previdenza e Quiescenza dell’INPS come ritenuto dal Tribunale di Latina nella sentenza impugnata (confermata dalla Corte territoriale) che ha computato anche il salario di professionalità e le indennità di ex art. 28 CCNL 1998/2001 e art. 19 CCNL 1998/2001.

3. Il primo motivo di ricorso, avente rilievo assorbente, risulta fondato. Preliminarmente va rilevato che l’INPS non impugna la sentenza d’appello in relazione alla determinazione della retribuzione annua utile ai Fini del calcolo del trattamento di previdenza integrativa, considerato l’orientamento giurisprudenziale consolidato, sfavorevole all’istituto, che si è formato sulla questione. Sul punto è dunque intervenuto il giudicato.

3.1. I motivi di ricorso attengono, invece, al solo capo della sentenza con cui è stata confermata la condanna a rideterminare la retribuzione utile ai fini del trattamento di quiescenza (trattamento di fine servizio o indennità di anzianità o indennità di buonuscita). In realtà sul punto la Corte d’Appello ha ritenuto che la questione non facesse neppure parte dell’oggetto della domanda ed ha dichiarato inammissibile l’appello in parte qua.

Si tratta di una pronuncia viziata, perchè in realtà la domanda originaria comprendeva anche la condanna a rideterminare la retribuzione utile ai fini del trattamento di quiescenza, come risulta dalla stessa sentenza d’appello laddove riporta il dispositivo della pronuncia emessa in primo grado (oltre che dalle esplicite ammissioni dello S. contenute nel controricorso).

Del resto, quand’anche l’INPS si fosse difeso in appello solo sull’indennità di buonuscita (come si sostiene nel controricorso), a maggior ragione il gravame non poteva essere dichiarato inammissibile sullo stesso punto. La Corte territoriale dunque sbagliando nell’identificazione dell’oggetto della domanda (che comprendeva entrambe le questioni) ha quantomeno invertito i termini della pronuncia. Il primo motivo di ricorso va quindi accolto.

3.2. Da ciò discende anche l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevate dall’intimato, perchè non avendo la sentenza d’appello affrontato il tema dell’indennità di buonuscita è evidente che il ricorso per cassazione non potesse censurare altre argomentazioni di merito della sentenza di secondo grado.

4.- Per quanto concerne il contenuto del ricorso incidentale, S.E. deduce violazione ed errata interpretazione della L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 3 e dell’art. 22 del regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale a rapporto d’impiego dell’INPS (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la Corte d’Appello riconosciuto che il contributo di solidarietà del 2% da detrarsi dalla retribuzione in godimento e da calcolarsi sulla pensione integrativa vada posto a carico anche di chi come il ricorrente era ancora in servizio.

Il motivo va respinto alla luce del D.Lgs. 6 luglio 2011, n. 98, art. 18, comma 19, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, art. 1, comma 1, il quale prevede che le disposizioni di cui alla L. n. 144 del 1999, art. 64, comma 5, (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonchè disposizioni per il riordino degli enti previdenziali) “si interpretano nel senso che il contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria è dovuto sia dagli ex-dipendenti già collocati a riposo che dai lavoratori ancora in servizio” e che “In questo ultimo caso il contributo è calcolato sul maturato di pensione integrativa alla data del 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione percepita in costanza di attività lavorativa”.

4. 1 La Corte Costituzionale, chiamata a verificare la conformità di questa norma alla Costituzione, con sentenza n. 156/2014 (cui ha fatto seguito l’analoga sentenza 174/2015), ha riconosciuto la legittimità della normativa, avente natura interpretativa, ed ha escluso che essa violi l’art. 3 Cost. per lesione del principio dell’affidamento riposto dai cittadini nella certezza del diritto, riferita, nella specie, alla pregressa esegesi del richiamato art. 64, accolta dalla Corte di cassazione, nel senso che il contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative fosse dovuto solo dagli ex dipendenti già collocati a riposo. La Corte Cost. ha pure escluso la violazione dell’art. 24 Cost. per il vulnus conseguentemente arrecato al diritto di difesa dei ricorrenti, nei giudizi promossi contro l’INPS; nonchè degli artt. 102 e 111 Cost., per la lesione della sfera di funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario; così come dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà individuali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, in ragione del prospettato contrasto con il principio del giusto processo, di leggi che, come quella censurata, si inseriscano nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare la risoluzione di controversie in corso. 4.2. Di conseguenza la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma sollevata dal tribunale di Alessandria e dalla Corte di Appello di Torino.

4.3 – Stante il contenuto inequivoco della disposizione interpretativa prima citata, deve quindi affermarsi che (come già sostenuto da questa Corte con sentenza n. 23928/2014) il contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria sia dovuto dagli ex-dipendenti già collocati a riposo come dai lavoratori ancora in servizio e che “in questo ultimo caso il contributo è calcolato sul maturato di pensione integrativa alla data del 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione percepita in costanza di attività lavorativa”.

5. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, con rinvio della causa al giudice di merito indicato nel dispositivo. Il ricorso incidentale deve essere invece respinto. Il giudice di rinvio provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il resto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Rigetta il ricorso incidentale.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2016

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