Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16080 del 22/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 22/07/2011, (ud. 10/01/2011, dep. 22/07/2011), n.16080

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26710-2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GERMANICO

n. 172, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO NATALE

EDOARDO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MENDOGNI MARCELLO, BONZANI ELISA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 139/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 23/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2011 dal Consigliere Dott. RENATO POLICHETTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GENTILI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Come risulta dagli atti di causa (sentenza impugnata, ricorso e controricorso) con atto n. 134/95 del 13 marzo 1998 la Guardia di finanza di Brescia segnalava all’Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Gardone Val Trompia di aver riscontrato, attraverso indagini bancarie volte ad accertare la sussistenza di reati di usura, una consistente disponibilità di mezzi finanziari ed in particolare di denaro contante, assegni e altri titoli affluiti sui vari conti correnti bancari riferibili a P.M. e sproporzionati rispetto alle possibilità economiche palesi di quest’ultimo, il quale non svolgeva alcuna attività lavorativa e non era beneficiario di rendite mentre la moglie risultava occupata come operaia. L’ufficio notificava il 15 novembre 1999 al P. gli avvisi di accertamento nn. (OMISSIS) per irpef, Contributo al SSN e contributo straordinario di solidarietà per gli anni 1993 e 1994 , ritenendo che i versamenti di denaro contante e di titoli sui conti correnti bancari, pari a L. 2.183,949.654, costituissero proventi illeciti tassabili nella categoria di reddito prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, lett. l).

P.M. propose opposizione deducendo il difetto di motivazione degli avvisi di accertamento in quanto motivati per relationem alla segnalazione della Guardia di finanza peraltro non allegata nè conosciuta dal contribuente, nonchè, nel merito, l’infondatezza della pretesa fiscale. In particolare – come viene riferito alla Corte nel controricorso il P. sosteneva che i provvedimenti impositivi in questione erano fondati su una serie di presunzioni a catena, rimaste prive di riscontri probatori oggettivi.

Il Fisco – sosteneva il contribuente – aveva rilevato che dalle indagini bancarie era emerso che sui suoi conti correnti bancari era affluita una considerevole movimentazione di denaro, palesemente sproporzionata alla sue possibilità economiche, aveva quindi considerato che nei suoi confronti risultava aperto in procedimento penale per il reato di usura ed aveva quindi desunto che i versamenti sui conti correnti bancari, ammontanti a L. 2.183.949.654 costituissero proventi illeciti tassabili nella categoria di reddito prevista dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81, lett. “l”, T.U.I.R. (redditi diversi)”. Ciò premesso, il P. negava la sussistenza del rato e la carenza di prova in ordine al carattere di reddito imponibile dei fondi rinvenuti nei suoi conti correnti bancari, essendo quelle movimentazioni tutte riconducili alla sua attività di giocatore d’azzardo del ricorrente, attività peraltro da cui egli aveva ritratto solo debiti. In subordine il contribuente deduceva l’illegittimità delle modalità di quantificazione del maggior imponibile ripreso a tassazione che comprendeva non solo gli ipotizzati interessi usurari pari a L. 337.741.400 ma anche l’intero capitale dei prestiti a lui restituiti dai suoi compagni di gioco;

comunque la determinazione del reddito era avvenuta al lordo avvenuta al lordo, prescindendo cioè dai costi di produzione del reddito. In estremo subordine, il P. deduceva l’inapplicabilità ai redditi relativi al periodo d’imposta 1993, del regime di tassazione dei proventi da illecito di cui alla L. n. 537 del 24 dicembre 1993, trattandosi di fatti verificatisi anteriormente alla data dell’entrata in vigore di quest’ultima normativa.

Si costituiva in giudizio l’Ufficio con separate controdeduzioni, rivendicando la piena legittimità del proprio operato e facendo rilevare che gli elementi essenziali della pretesa tributaria, seppure riferiti alla segnalazione della Guardia di finanza, erano stati dettagliatamente indicati e trascritti negli avvisi di accertamento.

Nel corso del giudizio di primo grado il P. produceva la sentenza del Tribunale Penale di Brescia, che lo aveva assolto dall’imputazione di usura per insussistenza del fatto.

Con sentenza del 7 giugno – 10 luglio 2001 la Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso del contribuente, condannando l’Ufficio alle spese del processo liquidate in L. 20 milioni. La sentenza affermava la nullità dell’avviso di accertamento a causa della mancata allegazione ad esso della segnalazione della Guardia di finanza poichè da tale segnalazione sarebbe stato possibile ricavare le modalità di acquisizione dei dati dei conti correnti bancari, la natura e l’entità dei singoli versamenti, l’adempimento o meno delle prescrizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32: la sentenza affermava che non era rimesso alla pura discrezionalità dell’ufficio di individuare gli elementi essenziali della pretesa tributaria in siffatto modo rimettendo al suo insindacabile giudizio quello che possa essere il terreno delle prove, le quali debbono essere sottoposte tutte (…) al vaglio della difesa del ricorrente ed essere oggetto del contraddittorio davanti al collegio giudicante.

L’ufficio appellava tale pronunzia ribadendo la piena legittimità della motivazione degli avvisi di accertamento, la legittimità del recupero a tassazione come redditi diversi delle somme di cui il contribuente non aveva giustificato la provenienza, la irrilevanza ai fini fiscali della sentenza penale di assoluzione, della quale l’Agenzia delle entrate specificava il contenuto chiarendo che il giudice penale, a fronte di un fatto commesso prima delle modificazioni intervenute con la L. n. 108 del 1996, aveva rilevato che mancava l’elemento dello stato di bisogno del mutuatario, dato che i prestiti erano fatti a persone che li utilizzavano per giocare al casinò e che come tali non potevano essere considerate in stato di bisogno.

La Commissione tributaria regionale ha respinto l’appello con la seguente motivazione: Nel caso di specie non può nemmeno parlarsi di motivazione per relationem, in quanto non è stato portato a conoscenza del contribuente il contenuto dell’atto di indagine della Guardia di Finanza. Fra l’altro, (…) il P. è stato assolto con formula piena dai reati di cui agli artt. 644 e 644 bis c.p. perchè i fatti non sussistono, sicchè i redditi accertati non possono ritenersi proventi illeciti tassabili. Quanto alla quantificazione delle spese del giudizio da parte dei primi giudici, la censura dell’ufficio appellante appare generica e non sufficientemente motivata, per cui anche su questo punto la sentenza impugnata merita conferma.

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale ha proposto ricorso l’amministrazione finanziaria prospettando due complessi motivi di censura ai quali il contribuente resiste con controricorso.

2. In via pregiudiziale il controricorrente deduce l’inammissibilità del ricorso perchè notificato oltre il termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ..

L’eccezione è infondata.

La sentenza impugnata è stata depositata il 23 giugno 2005 e quindi il termine di un anno e 46 giorni scadeva il 23 settembre 2006, che era giornata di sabato, con la conseguenza che, a norma dell’art. 155 c.p.c., comma 5 nel testo in vigore a decorrere dal 1 marzo 2006, il termine stesso era prorogato fino al 25 settembre, che è appunto la data di effettuazione della notifica quale risultante dalla relata firmata e timbrata dall’ufficiale giudiziario.

3. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 del D.Lgs. n. 230 del 2002, art. 1, comma 1;

degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ.; dell’art. 11 preleggi;

nonchè carenza e contraddittorietà della motivazione.

Nel ricorso si riporta il contenuto dell’atto di appello ove era stato trascritto il contenuto dell’avviso di accertamento in cui a sua volta era integralmente trasfuso il contenuto della segnalazione della Guardia di finanza. Il controricorrente non ha contestato che il contenuto dell’atto di appello fosse quello riportato nel ricorso e la sentenza impugnata non ha contestato che il contenuto dell’avviso di accertamento fosse quello trascritto nell’atto di appello e che quindi in esso venisse menzionato il fatto che dalle indagini bancarie era emerso che sui conti correnti bancari del contribuente risultavano versamenti per L. 2.183.949.654 per i quali appariva non esservi alcuna giustificazione e che quindi apparivano configurabili come proventi illeciti tassabili ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14 nella categoria di reddito prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art 81. La sentenza impugnata , peraltro, non ha commisurato a tali specificazioni la propria statuizione limitandosi ad espressioni generali e generiche prive di specifico riferimento al caso concreto. In tal modo essa appare aver fatto propria una concezione della motivazione dell’avviso di accertamento, quale quella enunciata dalla Commissione tributaria provinciale, che non ha invece legittimità nel nostro ordinamento, posto che l’atto impositivo deve enunciare il presupposto di fatto dell’imposizione ma non anche le prove circa la sussistenza di tale presupposto di fatto e tanto meno deve dar conto delle procedure di indagine seguite dagli organi di polizia tributaria e delle modalità con cui tali indagini si sono svolte.

Il motivo è quindi fondato e deve essere ritenuto che sotto il profilo del rispetto del requisito della motivazione gli avvisi di accertamento erano pienamente legittimi.

4. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81 nonchè carenza e contraddittorietà della motivazione.

Anche questo motivo è fondato. La sentenza di assoluzione in sede penale per mancanza di uno degli elementi costitutivi (all’epoca) del resto di usura contestato al P. può determinare l’esclusione della qualificazione dei versamenti come proventi da illecito ma non esclude la configurabilità di essi come redditi imponibili – eventualmente come redditi “diversi” ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81 – suscettibili di essere posti a base delle rettifiche ove il contribuente non abbia dimostrato che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine.

5. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata. La cassazione travolge anche la pronunzia della Commissione tributaria provinciale in materia di spese del giudizio. La mancata proposizione di una specifica censura al riguardo da parte dell’Agenzia delle entrate riguarda solo il profilo della liquidazione ma non anche quello dell’an, che è ovviamente e automaticamente dipendente dall’accoglimento o dalla reiezione della richiesta di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2011

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