Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16080 del 02/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 02/08/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 02/08/2016), n.16080

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9778-2012 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. B.

MARTINI 13, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DI PORTO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA

400, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO DE LUCA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO SCARFI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1184/2011 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 28/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito l’Avvocato Gallone per delega degli Avvocati De Luca e Scarfi;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 12 febbraio 2002 P.M. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Savona, B.S., chiedendone la condanna a rilasciargli l’immobile di sua proprietà sito in (OMISSIS), a lei venduto da R.A. con atto pubblico dell’11 maggio 2001 a rogito notaio Agostino Firpo di Savona, n. 29148 rep., trascritto il 12 maggio 2001, ed occupato dal medesimo B. senza titolo, con conseguente risarcimento del danno. Il B., nel costituirsi, eccepiva il giudicato esterno, in forza di sentenza penale della Corte d’Appello di Genova dell’il novembre 1999, relativo all’accertamento della simulazione del contratto di compravendita del 26 gennaio 1987, stipulato tra lo stesso B.S. e la sua ex compagna R.A., la quale aveva poi venduto l’immobile a P.M. con atto dell’11 maggio 2001. R.A. aveva, infatti, nell’agosto 1994 querelato il B. per l’occupazione abusiva del bene e questi aveva intentato nel giudizio penale l’azione civile volta all’accertamento della proprietà ed al rilascio dell’immobile. L’invocata sentenza della Corte d’Appello di Genova aveva assolto il B. dal reato di occupazione abusiva sul presupposto, appunto, della simulazione della vendita, con conseguente rigetto della domanda di rilascio.

Il convenuto B. aveva altresì eccepito la mala fede dell’acquirente P., ai sensi dell’art. 1415 c.c., comma 1.

Il Tribunale di Savona, con sentenza del 20 luglio 2005, n. 756/2005, accoglieva le domande dell’attrice.

Sebastiano B. proponeva appello contro tale decisione e la Corte di Appello di Genova, nel contraddittorio delle parti, con sentenza del 28 novembre 2011, rigettava l’impugnazione, ritenendo non superata, in base all’istruzione espletata, la presunzione di buona fede della P..

B.S. ha così proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui P.M. resiste con controricorso. La controricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. in data 28 giugno 2016.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1415 c.c., art. 2652 c.c., comma 1, e art. 2909 c.c. Si denuncia l’errore della Corte di merito per aver essa ritenuto che fosse determinante, ai fini dell’opponibilità del giudicato sulla simulazione, la prova della mala fede del terzo acquirente che, invece, è richiesta solo ai fini dell’opponibilità della simulazione.

In ordine a tale motivo, la controricorrente oppone la novità dell’eccezione di giudicato, che non ha formato oggetto del giudizio di appello, la trasgressione del dovere di autosufficienza del ricorso, l’insussistenza della forza del giudicato, alla stregua dell’art. 654 c.p.p., sulla qualificazione giuridica di simulazione del contratto, l’inefficacia del medesimo giudicato in quanto si tratta di posizione sulla quale la legge civile pone limitazione alla prova (artt. 1415, 1417 e 2721 c.c.).

1.1. Ora, il vincolo derivante da un giudicato esterno è certamente rilevabile anche in sede di legittimità, purchè lo stesso si sia formato in merito ad una domanda assolutamente sovrapponibile, sotto il profilo dei soggetti interessati, del “petitum” e della “causa petendi” a quella oggetto di lite. Si tratta, peraltro, di giudicato risultante dalle sentenza del Pretore di Savona del 20 luglio 1998, confermata dalla sentenza della Corte d’Appello di Genova dell’11 novembre 1999. Tali, atti, entrambi prodotti nel giudizio di primo grado, in ossequio all’onere di completezza e di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), sono stati trascritti in ricorso nella parte essenziale, secondo cui, stando alla sentenza del Pretore, sarebbe risultato “accertato all’esito della prolungata istruttoria dibattimentale, effettuata nel contraddittorio delle parti, nel corso della quale sono stati sentiti numerosi testi ed è stata disposta l’acquisizione di un’elevata mole di documentazione, che l’atto a rogito del notaio Zanobini di Savona in data 26 gennaio 1987, con il quale la R., odierna parte civile, aveva acquistato dal B.S. l’appartamento in (OMISSIS), era, in realtà, un contratto simulato”. La Corte d’Appello di Genova, poi, nel confermare la sentenza del Pretore, pur ritenuta la superfluità delle questioni attinenti al regime di prova civilistico, risulta aver ribadito che il primo giudice fosse pervenuto “alla certezza – a torto censurata – che il contratto fosse simulato”.

Ora, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., ha certamente efficacia di giudicato, nel giudizio civile avente ad oggetto la domanda di rilascio di un immobile per detenzione senza titolo, la sentenza penale che abbia accertato, agli effetti del delitto di cui all’art. 633 c.p., quale fosse la volontà delle parti in ordine alla conclusione di un contratto che avrebbe reso legittima tale detenzione, controvertendosi intorno ad un diritto il cui riconoscimento dipende degli stessi fatti materiali ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale.

Va qui considerato che P.M. si rese acquirente dell’immobile da R.A. con atto dell’11 maggio 2001, e quindi dopo il passaggio in giudicato della sentenza penale dell’11 novembre 1999, che aveva accertato la simulazione assoluta del contratto tra la stessa R. e il ricorrente B.. Trattandosi, quindi, di acquisto in forza di titolo successivo al passaggio in giudicato della sentenza che abbia accertato l’usucapione, non avrebbero rilievo l’art. 1415 c.c., comma 1, e art. 2652 c.c., n. 4, nè l’eventuale annotazione della sentenza, la quale rimane sempre opponibile al terzo ai sensi dell’art. 2909 c.c., secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. Mentre, infatti, l’acquisto operato durante la pendenza della lite tra simulato alienante e simulato acquirente è regolato dall’art. 111 c.c., comma 4, nell’ipotesi di titolo conseguito successivamente alla chiusura del processo non c’è modo di far salvo l’acquisto del terzo, avendo questi comperato o un bene che non è più litigioso (arg. da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4814 del 19/09/1979). La sentenza passata in giudicato ha ormai dissolto l’apparenza ed ha svelato il difetto di titolarità del diritto del dante causa, sicchè gli atti di disposizione del bene poi compiuti da colui che sia risultato simulato acquirente vanno reputati del tutto inefficaci, in quanto provenienti a non domino. Come ben si spiega, l’autorità del giudicato nei confronti degli aventi causa (ovvero di coloro che, dopo la formazione del giudicato stesso, sono subentrati alle parti nella titolarità delle correlative situazioni giuridiche, attive e passive, dedotte in giudizio e sulle quali incide il comando giurisdizionale passato in giudicato: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5194 del 23/10/1985) non è subordinata alla pubblicità data alla sentenza.

L’infondatezza del primo motivo di ricorso discende, tuttavia, da un’ulteriore considerazione.

L’art. 654 c.p.p. sottopone l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile ed amministrativo, nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale, alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo la soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova “della posizione soggettiva controversa”. Essendo, nel caso, dedotto, oggetto dell’invocato giudicato penale la simulazione del contratto del 26 gennaio 1987 tra R.A. e B.S., deve allora decisivamente rilevarsi che l’art. 1417 c.c. consente la prova della simulazione per testimoni (o per presunzioni), allorchè la domanda sia stata proposta dalle parti, soltanto quando sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, rimanendo altrimenti preclusa la prova testimoniale (della quale si è, nella specie, avvalso il giudice penale). Sicchè, vigendo le limitazioni probatorie della simulazione sancite dall’art. 1417 c.c., non opera automaticamente l’efficacia vincolante del giudicato penale, ai sensi ai sensi dell’art. 654 c.p.p., e la sentenza penale costituisce, al più, semplice indizio od elemento di prova critica in ordine ai fatti in essa eventualmente accertati sulla base delle prove raccolte nel relativo giudizio, la cui allegazione neppure dovrebbe ammettersi se operata per la prima volta nel giudizio di cassazione, in quanto si risolverebbe in un’istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito. Nè, come poi precisato dalla Corte d’Appello di Genova con la sentenza penale dell’11 novembre 1999 (seppure non riportato dal ricorrente, adempiendo all’onere di specifica indicazione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), consta l’avvenuto accertamento dell’illiceità di un eventuale contratto dissimulato, di cui si intendesse provare la conclusione, sempre agli effetti dell’art. 1417 c.c. 2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omessa motivazione o manifesta illogicità, incongruità, insufficienza della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., poichè la Corte di Genova non avrebbe preso in considerazione il documento da lui prodotto all’udienza del 18 dicembre 2008. Invero, si evidenzia come la Corte d’Appello avesse escluso la prova della mala fede dell’acquirente P.M. basandosi sulla testimonianza del notaio Firpo, il quale aveva rogato l’atto di compravendita. Il notaio, richiesto se reputasse “normali” le clausole del contratto ” R.- P.” (ovvero il rinvio del pagamento del prezzo al momento della trascrizione e la rinuncia all’ipoteca legale da parte delle venditrice), aveva affermato che le pattuizioni ivi inserite fossero d'”uso”. Il documento prodotto all’udienza del 18 dicembre 2008 e non esaminato dalla Corte di Genova dimostrerebbe, invece, che nessun atto rogato dal notaio Firpo negli anni 2000, 2001 e 2002 e trascritto presso la Conservatoria di Savona recasse clausole uguali a quelle del contratto R.- P.. Nè potrebbe desumersi che la Corte di Genova abbia ritenuto tradiva la produzione documentale, trattandosi di documento di formazione successiva all’introduzione del giudizio.

La doglianza è del tutto infondata.

La Corte di Genova ha definito non significativi gli indizi della malafede dell’acquirente P. (pagina 5 di sentenza), spiegato i motivi esposti dal testimone notaio Firpo circa la rinuncia dell’alienante all’ipoteca legale, ovvero la consegna fiduciaria del prezzo nelle sue mani con l’incarico di consegnarlo alla venditrice una volta eseguita la trascrizione, e ritenuto non decisiva un’indagine peritale sul contenuto usuale delle clausole dell’atto in esame.

Ora, si consideri come, al fine di integrare il requisito della mala fede necessario ai sensi dell’art. 1415 c.c., per opporre la simulazione al terzo che abbia acquistato dal titolare apparente, non è sufficiente neppure la mera scienza della simulazione, richiedendosi che il terzo abbia proceduto all’acquisto per effetto della simulazione, nel senso che, accordandosi con il titolare apparente, abbia inteso favorire il simulato alienante allo scopo di consolidare rispetto agli altri terzi la finalità pratica perseguita con la simulazione, ovvero abbia voluto personalmente profittare della simulazione stessa in danno del simulato alienante (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13260 del 10/12/1991).

Il secondo motivo di ricorso è allora volto a sovvertire le concorrenti argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello per negare la prova delle mala fede della P., sollecitando l’esame di un documento prospettato come indizio rivelatore di tale requisito soggettivo (ovvero, la presenza nell’atto concluso di clausole pattizie non d'”uso”), laddove nella sentenza impugnata tale indizio è stato espressamente ritenuto non significativo. Il motivo di ricorso per cassazione, che pur censuri la sentenza impugnata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, nè si può propone con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento degli indizi acquisiti, poichè tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento. Altrimenti, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

Consegue il rigetto del ricorso.

Le spese processuali del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese processuali sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2016

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