Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16078 del 02/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 02/08/2016, (ud. 16/06/2016, dep. 02/08/2016), n.16078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8005-2012 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZZA CAVOUR

presso la CORTE di CASSAZIONE rappresentato e difeso dall’avvocato

GIULIANO VIVIO;

– ricorrente –

contro

P.A.,elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZZA CAVOUR presso

la CORTE di CASSAZIONE rappresentato e difeso dall’avvocato FILIPPO

FALIVENE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 621/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2016 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 26812004 il Tribunale di Rieti, disattesa la preliminare eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto, rigettava la domanda proposta da G.S. nei confronti di P.A., diretta ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal ritardo della realizzazione di un capannone industriale per la commercializzazione delle apparecchiature elettroniche e dalla conseguente perdita di finanziamenti regionali, per avere il convenuto ostruito l’accesso al fondo dell’attore, impedendo al medesimo il transito per l’esecuzione dei lavori.

Avverso la predetta decisione proponeva appello il G..

Con sentenza in data 15-2-2011 la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame.

La Corte territoriale, in particolare, disposto preliminarmente lo stralcio di tutti i documenti prodotti dall’appellante per la prima volta in appello o tardivamente, in primo grado, rispetto al termine di cui all’art. 184 c.p.c., rilevava che nell’atto di citazione il G. aveva dedotto che “per via del ritardo di sei mesi seguito alla realizzazione dell’opera egli aveva perduto parte del finanziamento regionale in quanto egli avrebbe dovuto terminare i lavori entro il 31-12-1994”. Osservava, peraltro, che dalle informazioni acquisite ex art. 213 c.p.c. presso la Regione Lazio era risultato, invece, che il termine era stato prorogato di un anno, fino al 31-12-1995; e rilevava che ciò escludeva in radice l’incidenza eziologia della turbativa sulla perdita del contributo, rendendo superfluo l’ulteriore esame dell’appello.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso G.S., sulla base di sei motivi.

P.A. ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con i primi tre motivi il ricorrente lamenta.

a) omessa, insufficiente e illogica motivazione in ordine alla ritenuta non incidenza eziologia della turbativa sulla perdita del contributo regionale sull’asserito presupposto secondo cui il termine per la ultimazione dei lavori sarebbe stato prorogato di un anno, fino al 31-12-1995;

b) errata e illogica valutazione del contenuto degli atti processuali;

c) violazione degli artt. 345 e 115 c.p.c. Il G. deduce, in primo luogo, che dagli atti acquisiti ex art. 213 c.p.c. non si evince alcun dato che attesti che il termine per l’ultimazione dei lavori sia stato prorogato al 31-12-1995.

Fa presente che, al contrario, dalla documentazione prodotta dall’attore si evince che la proroga (peraltro fino al 31-10-1995 e non al 31-121995) aveva riguardato solo i pagamenti, mentre la richiesta di proroga per l’ultimazione dei lavori inviata dalla G.S. Elettronica alla Regione Lazio in data 28-1-1995 era stata rigettata con nota del 6-3-1995. Sostiene che i due documenti da ultimo richiamati, prodotti dall’attore in appello, non potevano incorrere nelle preclusioni previste dall’art. 345 c.p.c., rientrando tra le fonti di informativa di cui il Tribunale di Rieti aveva disposto l’acquisizione d’ufficio ex art. 213 c.p.c. In secondo luogo, deduce che la Corte di Appello in modo illogico ha fatto dipendere la radicale esclusione dell’incidenza eziologia del dedotto comportamento illecito del P. sulla lamentata perdita del contributo, “partendo da un ridotto segmento letterale dell’atto di citazione introduttivo e attribuendo ad esso una assorbente valenza logica che invece non ha”.

Con il quarto motivo viene denunciata l’omessa, insufficiente o illogica motivazione sul punto in cui è stata ritenuta la genericità, l’apoditticità e la carenza di prova nella indicazione di ogni voce di danno.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente ed illogica motivazione sul punto della ritenuta ininfluenza causale dei tempi di esecuzione del manufatto, sul presupposto che il contributo sarebbe stato integralmente concesso in relazione ad un costo dell’intervento già preventivato, pari a Lire 459.155.390.

Con il sesto motivo, infine, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 345 e 115 c.p.c., per avere la Corte di Appello illegittimamente disposto lo stralcio della Delib. Regione Lazio 20 novembre 1991, da cui risulta che l’ammontare originario dell’investimento finanziabile era pari a Lire 743.580.390, e che il contributo erogabile, pari al 60%, che il G. avrebbe potuto conseguire, ove fosse riuscito a completare l’investimento nei tempi prescritti, era di Lire 416.148.234. Sostiene che l’attore, al contrario, a causa del ritardo procuratogli dal P., ha potuto realizzare le opere progettate solo per un ammontare di Lire 479.228.078, incassando conseguentemente un contributo di sole Lire 275.493.234 e perdendo, quindi, la differenza di Lire 170.654.996.

2) I primi tre motivi, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, non appaiono meritevoli di accoglimento.

La prima censura, oltre a risolversi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione delle risultanze processuali, non consentita in sede di legittimità, difetta di specificità ed autosufficienza. Il ricorrente, infatti, si è limitato a dedurre che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, dagli atti acquisiti ex art. 213 c.p.c. non risulta che il termine per l’esecuzione dei lavori in questione sia stato prorogato al 31-12-1995; ma non ha nemmeno specificato, in concreto, quali siano gli atti acquisiti dal giudice ai sensi del citato art. 213 c.p.c., nè, tanto meno, ne ha riportato il contenuto, si da porre questa Corte nelle condizioni di vagliare la fondatezza delle doglianze mosse.

Le ulteriori doglianze mosse con i motivi in esame si basano sul contenuto di documenti di cui la Corte di Appello ha ritenuto inammissibile la produzione in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c. Orbene, il ricorrente, lungi dal dedurre la sussistenza delle condizioni di ammissibilità della nuova documentazione in appello, ai sensi del citato art. 345 c.p.c., allegando l’obiettiva non producibilità degli atti in questione nel corso del giudizio di prime cure o la loro indispensabilità, si è limitato a sostenere che i documenti da esso prodotti erano compresi tra quelli dei quali il Tribunale aveva disposto l’acquisizione d’ufficio, ai sensi dell’art. 213 c.p.c..

Si tratta, peraltro, di affermazioni del tutto generiche – stante la mancata trascrizione del testo integrale del provvedimento ex art. 213 c.p.c. adottato dal giudice di primo grado- e inidonee, pertanto, a scalfire la valutazione espressa dalla Corte territoriale circa l’inammissibilità dei documenti prodotti per la prima volta in appello.

3) Il quarto, quinto e sesto motivo sono inammissibili, non investendo la ratio decidendi.

La Corte di Appello ha ritenuto “assorbente, per il rigetto della domanda del G.”, il fatto che nell’atto di citazione quest’ultimo aveva dedotto che “per via del ritardo di sei mesi seguito alla realizzazione dell’opera egli aveva perduto parte del finanziamento regionale in quanto egli avrebbe dovuto terminare i lavori entro il 31-12-1994”. Essa ha osservato che dalle informazioni acquisite ex art. 213 c.p.c. presso la Regione Lazio era risultato, invece, che il termine era stato prorogato di un anno, fino al 31.12.1995; ed ha rilevato che ciò escludeva in radice l’incidenza eziologia della turbativa sulla perdita del contributo, rendendo superfluo l’ulteriore esame dell’appello. Ha aggiunto, comunque, dichiaratamente “ad abundantiam”, da un lato che “ogni ulteriore voce di danno è stata indicata in modo del tutto generico e apodittico, senza che sia stato offerto alcun elemento probatorio”, e dall’altro che “il contributo ammesso non avrebbe potuto comunque superare, anche in ipotesi di tempestiva consegna dell’opera, il costo preventivato per la costruzione dell’opera pari a Lire 459.155.390 sul quale nessuna influenza causale trattandosi di determinazione preventiva, avevano avuto i concreti tempi di esecuzione del manufatto”.

Le argomentazioni svolte al riguardo, pertanto, essendo state svolte ad abundantiam. non incidono sull’effettiva ratio decidendi, costituita dall’accertata proroga del termine di esecuzione dell’opera, che, secondo i giudici di merito, escludeva in radice l’incidenza causale della denunciata turbativa sulla perdita del contributo lamentato dall’attore, comportando per ciò solo il rigetto del gravame.

Orbene, costituisce principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri una argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e che, pertanto, non costituisce una ratio decidendi della medesima (v. Cass. 22-11-2010 n. 23635; 19-2-2009 n. 4053; Cass. 5-6-2007 n. 13068; Cass. 14-11- 2006 n. 24209; Cass. 28-3-2006 n. 7074; Cass. 23-11-2005 n. 24591).

4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2016

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