Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16075 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. II, 28/07/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 28/07/2020), n.16075

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – rel. Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 4161/16) proposto da:

COSTRUZIONI MERIDIONALI di F.A. & C. S.A.S., in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.

Leonardo Scardigno ed elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’Avv. Patrizia Barlettelli, in Roma, v. della Bufalotta, 174;

– ricorrente –

contro

A.M., (C.F.: (OMISSIS)), A.D.R. (C.F.:

(OMISSIS)), A.F. (C.F.: (OMISSIS)) e G.S.

(C.F.: (OMISSIS)), in qualità di tutti nella qualità di eredi di

A.N., rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale

in calce al controricorso, dall’Avv. Nicola Fabrizio Solimini ed

elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Alessandra

Gallini, in Roma, v. V. Spurinna, 105;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 1010/2015,

depositata il 30 giugno 2015 (non notificata).

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Con atto di citazione notificato nel dicembre 2003, il sig. A.N. conveniva in giudizio la Costruzioni Meridionali di F.A. & C. s.a.s., esponendo che aveva stipulato il 15 aprile 1992 un atto pubblico con il quale aveva acquistato dalla predetta società un suolo sito in (OMISSIS) per il prezzo di Lire 30.000.000, con la previsione che l’atto stesso era sottoposto alla condizione sospensiva del rilascio entro tre anni della concessione edilizia per i fabbricati da realizzare su due confinanti particelle, la quale, tuttavia, non si era avverata nel termine come pattuito e, ciò malgrado, la convenuta non aveva retrocesso il bene, nè aveva accettato la restituzione del prezzo, ragion per cui esso attore era stato costretto a procedere ad un’offerta reale del medesimo.

Alla stregua di tale premessa chiedeva al Tribunale di Trani – sez. dist. di Molfetta che, preso atto della liberatorietà dell’eseguita offerta reale, egli venisse ritenuto esonerato dal pagamento del prezzo del terreno, che fosse accertata l’inesistenza giuridica della compravendita per carenza di postulato e volontà negoziale, insistendo, in via subordinata, per la declaratoria di risoluzione del contratto dedotto in giudizio, con le conseguenti statuizioni accessorie.

Nella costituzione della società convenuta, il Tribunale adito, con sentenza n. 40/2011, accoglieva per quanto di ragione la formulata domanda e, per l’effetto, dichiarava l’atto di compravendita per cui era controversia definitivamente inefficace per mancato avveramento della condizione sospensiva in esso contenuta; convalidava l’offerta reale della somma dovuta dall’ A.N. da parte della società Costruzioni Meridionali a titolo di ripetizione di indebito e dichiarava, a seguito del deposito della somma, la liberazione del debitore, ordinando al competente Conservatore dei RR.II. di procedere alle conseguenti annotazioni. Lo stesso Tribunale compensava per un terzo tra le parti le spese giudiziali, condannando la convenuta a rifondere i residui 2/3 all’attore.

Interposto appello da parte della società convenuta soccombente e nella costituzione di A.M. e A.D.R. (quali eredi dell’originario attore A.N., nelle more deceduto, i quali proponevano appello incidentale per il riconoscimento del favore del totale delle spese relative al primo grado), la Corte di appello di Bari, con sentenza n. 1010/2015, rigettava entrambi i gravami, confermando, perciò, l’impugnata pronuncia, e condannando gli appellanti principali alla rifusione delle spese del grado di appello.

A fondamento dell’adottata decisione, la Corte del capoluogo pugliese riteneva che la domanda originariamente proposta non potesse che intendersi come domanda diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia della compravendita per mancato avveramento della concordata condizione sospensiva, rilevando l’infondatezza nel merito dei motivi dell’appello principale, stante l’imputabilità del mancato avveramento della predetta condizione in capo alla venditrice e non sortendo alcuna influenza le pregresse vicende amministrative antecedenti alla stipula del contratto.

Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, riferito a tre motivi, la Costruzioni Meridionali di F.A. & C. s.a.s.. Tutti gli intimati A.M., D.R., F., M. e G.S., quali eredi di A.N., hanno resistito con un unico controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., nonchè degli artt. 1453 e 1457 c.c., avuto riguardo all’asserita illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte in cui aveva sopperito all’indeterminatezza e contraddittorietà dell’originario “petitum” dell’attore, travalicando il potere officioso attribuito al giudice in virtù dei citati artt. 99 e 112 c.p.c..

1.1. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 1359 c.c., in ordine al mancato rilievo, con l’impugnata sentenza, dei presupposti fattuali in dipendenza dei quali si sarebbe dovuto desumere che l’ A.N. era consapevole che la condizione sospensiva apposta al contratto di compravendita non si sarebbe mai potuta verificare.

1.2. Con la terza doglianza la ricorrente ha prospettato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., avuto riguardo a quanto ritenuto dalla Corte di appello in merito alla prova per testi articolata dalla difesa dei ricorrenti con il secondo capitolo di prova finalizzato a riscontrare proprio la circostanza relativa alla concreta sussistenza di un interesse dell’ A. contrario all’avveramento della sospensione.

2. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato perchè la qualificazione della domanda sulla scorta dei “petita” dedotti rientra nel potere del giudice del merito e non può, quindi, ritenersi che si sia, nel caso di specie, configurata la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., non essendosi, in ogni caso, verificata una ipotesi in cui il predetto giudice ha sopperito ad un’assunta indeterminatezza del “petitum”.

Infatti, nel caso in esame, è rimasto accertato – e, in tal senso, la Corte ha inquadrato la domanda come proposta nei suoi termini sostanziali (cfr. Cass. n. 23794/2011 e Cass. n. 26159/2014) – che la parte attrice aveva posto riferimento alle conseguenze giuridiche dipendenti dal mancato avveramento della prevista condizione sospensiva apposta al contratto, da cui sarebbe dovuta derivare l’inefficacia del negozio, non essendo, oltretutto, contemplata una ipotesi di risoluzione per il mancato verificarsi dell’indicato elemento accidentale.

Pertanto, correttamente, la Corte di appello barese ha qualificato la domanda avendo riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte attrice.

3. Anche il secondo motivo è privo di fondamento e va, perciò, respinto.

Occorre, infatti, osservare come la Corte di appello pugliese abbia motivatamente escluso che si fosse potuta configurare come avverata la condizione sospensiva ai sensi dell’art. 1359 c.c., non essendo rimasto accertato che l’ A. aveva dolosamente taciuto i fatti impeditivi della verificazione della condizione stessa.

Al riguardo, infatti, nella sentenza di appello viene evidenziato come i fatti dedotti con il motivo di ricorso si riferivano a vicende (consistiti in un pregresso contenzioso amministrativo che aveva interessato gli strumenti urbanistici su cui insisteva il fondo oggetto del contratto e relativi ad una concessione edilizia in virtù della quale l’ A. aveva già in precedenza costruito una palazzina “in loco”) anteriori alla conclusione del contratto, ragion per cui tale circostanza non avrebbe potuto produrre gli effetti previsti dal citato art. 1359 c.c., di cui risulta denunciata la violazione (è, infatti, risaputo che, in tema di negozio condizionato, affinchè, ai sensi del citato art. 1359 c.c., si possa ritenere verificata la condizione mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa, deve aversi riguardo, al fine della determinazione dei rispettivi diritti ed obblighi, alla situazione riscontrabile al momento della conclusione del contratto).

Da ciò la Corte di appello ne ha fatto logicamente conseguire che, volendo far valere il supposto comportamento malizioso dell’ A. riferibile alla (possibile) conoscenza di circostanze antecedenti impeditive della realizzazione degli effetti del contratto da stipulare, l’odierna ricorrente avrebbe dovuto esperire l’azione di annullamento (ai sensi degli artt. 1427 e 1439 c.c.), ove avesse ritenuto di essere stata indotta con dolo in errore alla stipula del contratto (fornendone, naturalmente, poi la relativa prova).

4. Il terzo ed ultimo motivo si prospetta inammissibile riguardando la contestazione del potere proprio del giudice di merito di valutazione della rilevanza delle circostanze delle prove orali, nel caso di specie esclusa proprio perchè da loro esito non sarebbe comunque conseguito l’effetto di far ritenere verificata la condizione. Ed è risaputo che il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico (evenienze, queste, non verificatesi nel caso di specie).

Del resto è, sul piano generale, pacifico che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

Nessuna di queste ipotesi è venuta a concretizzarsi nel giudizio in questione.

5. In definitiva, per le ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

 

 

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