Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16074 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. II, 28/07/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 28/07/2020), n.16074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – rel. Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 4170/16) proposto da:

LINEARSED S.R.L., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di

procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Gianpaolo

Galopin e Raffaella Turini ed elettivamente domiciliata presso lo

studio della seconda, in Roma, v. G. Avezzana, 3;

– ricorrente –

contro

GABRIELI SEDIE S.A.S. di G.M. e P., (P.I.:

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del

controricorso, dagli Avv.ti Simone Ugo Franceschini, Carlo Maria

Zuniga e Barbara Piccini ed elettivamente domiciliata presso lo

studio della terza, in Roma, Circonvallazione Clodia, n. 29;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 2509/2015,

depositata il 27 ottobre 2015 (notificata il 10 dicembre 2015).

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Con atto di citazione del dicembre 2003, ritualmente notificato, la Linearsed s.r.l. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal giudice designato del Tribunale di Verona – sez. dist. di Legnago, con il quale – su ricorso della Gabrieli Sedie s.a.s. – le si intimava il pagamento della somma di Euro 8.987,00, a titolo di saldo del corrispettivo per la vendita di sedie indicate nella fattura n. (OMISSIS), deducendo la nullità del decreto monitorio per asserito difetto di rappresentanza nonchè il grave inadempimento della predetta società venditrice, la quale aveva inviato sedie non conformi al campione oltre che presentanti gravi difetti, i quali erano stati tempestivamente denunciati, ragion per cui essa opponente richiedeva la riduzione del prezzo in uno al risarcimento dei danni.

Nella costituzione dell’opposta, l’adito Tribunale, con sentenza n. 7/2009, rigettava la formulata opposizione al citato decreto ingiuntivo.

Interposto appello da parte dell’opponente soccombente, a cui resisteva l’appellata, la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 2509/2015, rigettava il gravame, confermando la sentenza impugnata e condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

A fondamento dell’adottata decisione la Corte veneta, riconfermata la statuizione in ordine alla dichiarata insussistenza dell’asserito difetto di rappresentanza in capo alla società appellata (la quale si era, peraltro, costituita nel giudizio di opposizione con ratifica successiva dell’operato del legale rappresentante), riteneva che, in effetti, una volta negata l’esistenza di qualsiasi vizio, incombeva sull’acquirente la prova positiva sia dell’emergenza dei lamentati vizi (presenza di macchie di colla, vizi di montaggio e imperfetta levigatura degli schienali) che della tempestività della relativa denuncia, il cui onere, tuttavia, non poteva ritenersi che fosse stato assolto da parte della Linearsed s.r.l..

Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, riferito ad un unico complesso motivo, la Linearsed s.r.l.. L’intimata Gabrieli Sedie s.a.s. si è costituita con controricorso, illustrato anche da memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il formulato motivo la società ricorrente ha denunciato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il vizio di motivazione carente, insufficiente e contraddittoria dell’impugnata sentenza avuto riguardo al rigetto delle prove orali, sul presupposto che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto l’inammissibilità di tutti i capitoli di prova dedotti in primo grado (e non ammessi dal Tribunale di Verona) afferenti a fatti decisivi per l’esito del giudizio, in quanto considerati generici, così respingendo il relativo motivo di appello.

2. Rileva il collegio che il motivo – nei termini in cui è stato formulato – è da ritenersi inammissibile nella sua interezza.

2.1. Con esso è stato, in primo luogo, inammissibilmente dedotto il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza ponendo riferimento all’antecedente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (non più applicabile “ratione temporis” nel caso di specie), oltretutto con riguardo alla rilevata inammissibilità di una prova orale siccome generica.

Senonchè, è ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (fin dalle sentenze delle Sezioni unite nn. 8053 e 8054 del 2014) il principio secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, specificandosi ulteriormente che tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Nessuna di queste ipotesi è individuabile nella motivazione dell’impugnata sentenza.

2.2. Analogamente la supposta violazione dell’art. 115 c.p.c., è del tutto insussistente perchè non risulta nè leso alcun principio del diritto alla prova nè violata alcuna disposizione normativa riguardante l’efficacia delle prove.

E’, infatti, univoco che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

Nessuna di queste evenienze è venuta a verificarsi nel giudizio in questione.

2.3. Inoltre, deve sottolinearsi come nemmeno il vizio consistente nell’omesso esame di un fatto decisivo può essere ricondotto alla mancata ammissione di un mezzo istruttorio (come, nel caso di specie, di altre prove testimoniali e della c.t.u.) nè tantomeno con esso si può confutare la decisione con cui non sia stato dato conto di tutte le risultanze astrattamente rilevanti, dovendo ritenersi che il giudice – anche implicitamente – abbia ritenuto bastevoli ai fini della decisione le emergenze istruttorie considerate maggiormente attendibili secondo il suo prudente apprezzamento, salva, naturalmente, l’obbligo di conformarsi all’esito delle prove legali ove assunte od acquisite (che non sono venute in rilievo nel giudizio in questione).

Il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è, peraltro, insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico (che non ricorrono nel caso in esame, avendo la Corte di appello ravvisato l’inidoneità delle istanze istruttorie avanzate dalla odierna ricorrente circa l’esistenza degli asseriti vizi e l’individuazione del momento in cui essi sarebbero stati scoperti e denunciati: per un precedente che si attaglia al caso di specie v. Cass., n. 20682/2005).

3. In definitiva, per le ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

 

 

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