Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16073 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/06/2017, (ud. 22/12/2016, dep.28/06/2017),  n. 16073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12952-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

SILEA INTERCOMUNALE LECCHESE ECOLOGIA AMBIENTE SPA in persona del

Presidente del C.d.A. e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PISANELLI 4, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE GIGLI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIANROBERTO VILLA giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 21/2009 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 13/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2016 dal Consigliere Dott. GRECO ANTONIO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’avvocato VILLA che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, con due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, rigettandone l’appello, ha confermato l’annullamento delle comunicazioni ingiunzioni emesse nei confronti della SILEA spa – Società Intercomunale Lecchese per l’Ecologia e l’Ambiente per azioni – per il recupero, per i periodi d’imposta 1996 e 1997, delle agevolazioni tributarie di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70, – che prevede l’esenzione triennale delle imposte sul reddito a favore di società per azioni a capitale pubblico costituite attraverso la L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, – recupero resosi necessario a seguito della decisione della Commissione CE n. 2003/193/CE in data 5 giugno 2002, che ha dichiarato le agevolazioni concesse dallo Stato italiano incompatibili con il mercato comune, perchè costituenti aiuti di Stato.

Secondo il giudice d’appello, infatti, obbligati alla restituzione degli aiuti di Stato sono solo le società a partecipazione pubblica maggioritaria e non quelle dove è totale la titolarità pubblica delle azioni, come la SILEA spa, facente capo ai 60 Comuni della provincia di Lecco, già partecipanti al preesistente Consorzio intercomunale Eliminazione Rifiuti Solidi. La definizione “società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria” indica appunto con precisione che i soggetti destinatari del recupero non sono sicuramente le società per azioni a totalitaria partecipazione pubblica. Quanto al concetto di aiuto di stato ed alla ratio del divieto comunitario, al fine di evitare distorsioni della concorrenza, osserva che l’attività della contribuente è svolta in regime di monopolio, e quindi senza concorrenti, in un limitato ambito territoriale che non determina alcuna influenza sugli scambi comunitari.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo del ricorso, denunciando violazione della decisione n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, della Commissione delle Comunità europee, in relazione all’art. 249, par. 4, del Trattato che istituisce la Comunità europea, e degli artt. 87 e 88 di tale trattato”, assume che la prevalenza del capitale pubblico, nell’ottica della previsione della L. n. 142 del 1990, art. 22, costituiva un requisito minimale, richiesto per l’affidamento diretto, soddisfatto a fortiori nel caso della partecipazione pubblica totalitaria, con la conseguenza che le società a capitale pubblico totalitario rientrano a pieno titolo nella casistica prevista dalla legge.

Con il secondo motivo, denunciando “violazione della decisione n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, della Commissione delle Comunità europee, in relazione all’art. 249, par. 4, del Trattato che istituisce la Comunità europea, e dell’art. 86, par. 1, artt. 87 e 88 di tale Trattato”, l’amministrazione ricorrente assume che violerebbe la detta decisione della Commissione la statuizione del giudice di merito con la quale si neghi che l’agevolazione prevista dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 70, e dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 66, comma 14, convertito con L. 29 ottobre 1993, n. 427, “costituisca aiuto di Stato, per non aver falsato o minacciato di falsare la concorrenza, in ragione del fatto che l’impresa che in concreto ne ha beneficiato fosse legittimata a svolgere le proprie attività in esclusiva su una parte o sull’intero territorio del comune ed in ragione del fatto”.

I due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.

Con riguardo al recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili con il mercato comune dalla decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002 – come questa Corte ha affermato – “l’Agenzia delle entrate, ai sensi del D.L. n. 10 del 2007, art. 1 conv., con modif., dalla L. n. 46 del 2007, ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle imposte non versate in forza del regime agevolativo previsto dal D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, conv., con modif., dalla L. n. 427 del 1993, e dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70, anche nei confronti delle società “in house”, a partecipazione risultando irrilevante la composizione rispetto all’obiettivo di evitare che le imprese pubbliche, beneficiarie del trattamento agevolato, possano concorrere nel mercato delle concessioni dei cd. servizi pubblici locali, che è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria, in condizioni di vantaggio rispetto ai concorrenti” (Cass. n. 2396 del 2017).

Si era già avuto modo di chiarire (Cass. n. 7673 del 2012, in motivazione) che in base alla detta normativa, “l’amministrazione finanziaria ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni, ritenute incompatibili con il diritto comunitario dalla decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE, fruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico, istituite ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22 per la gestione dei servizi pubblici locali, dovendo escludersi il recupero nelle sole ipotesi di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola de minimis. L’onere dell’amministrazione resta pertanto limitato alla necessità di indicare (e provare) che detta società sia una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990, e che la stessa abbia effettivamente fruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario (v. in proposito Cass. n. 23414 del 2010, secondo la quale l’Agenzia delle Entrate ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero, da escludersi solo nell’ipotesi in cui si tratti di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola “de minimis”, spettando alla società destinataria dell’ingiunzione eccepire e provare che l’aiuto ricevuto appartiene all’ambito di applicabilità della suddetta regola e gravando sull’amministrazione solo l’onere di provare che tale società è una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990 ed ha effettivamente fruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario, elementi che, unitamente all’invito ad avvalersi della eccezione relativa all’appartenenza dell’aiuto all’ambito di applicabilità della regola “de minimis”, esauriscono la motivazione necessaria dell’ingiunzione)”.

Quanto al campo di applicazione della decisione della Commissione Europea con riguardo alle cd. società in house nella specie la società era interamente partecipata dai Comuni precedentemente consorziati e svolgeva in regime di privativa unicamente il servizio pubblico idrico ottenuto in concessione diretta dai suddetti Comuni secondo la modalità in house providing – il fatto che le società beneficiate erano a partecipazione pubblica totalitaria ed il fatto che avevano operato in settori al tempo sottratti alla concorrenza “risultano già esposti dalle imprese interessate nel procedimento che ha portato all’adozione della decisione comunitaria di cui si discute (v. il considerando 22 della stessa) e sono stati ritenuti irrilevanti dalla Commissione. In particolare, la Commissione ha evidenziato l’irrilevanza della circostanza che l’impresa beneficiaria operi in regime di monopolio di fatto sia perchè “il mercato delle concessioni dei cosiddetti servizi pubblici locali è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria (..) e soggetto alle regole del Trattato” (v. considerando n. 68) sia perchè le misure in esame, per un verso “incidono sugli scambi tra Stati membri poichè esse danneggiano imprese straniere partecipanti a gare per concessioni locali in Italia, dato che le imprese pubbliche beneficiane del regime in oggetto possono concorrere a prezzi più competitivi rispetto ai loro concorrenti nazionali o comunitari che non ne beneficiano” e, per altro verso, rendono “meno attraente per le imprese di altri Stati membri investire nel settore (..) (ad esempio con acquisto di partecipazione di maggioranza), poichè le aziende eventualmente acquisite non potrebbero beneficiare (o potrebbero perdere) l’aiuto, in conseguenza della natura dei nuovi azionisti” (v. considerando numeri 69 e seguenti).

La decisione in esame ha peraltro precisato che una certa concorrenza, almeno in taluni dei settori di operatività delle s.p.a. ex L. n. 142 del 1990, comunque esisteva anche al momento dell’entrata in vigore delle misure agevolative (per es. nei settori dei rifiuti, del gas e dell’acqua), aggiungendo che è principio acquisito che, “quand’anche la concorrenza in un determinato settore economico e in un determinato momento sia limitata”, gli Stati membri non possono comunque adottare misure comportanti aiuti “suscettibili di impedirne lo sviluppo o di diminuire il grado di concorrenza” (Cass. n. 7663 del 2012).

Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.

In considerazione dell’epoca di formazione della giurisprudenza di riferimento e della peculiarità dei temi coinvolti, il Collegio ritiene di compensare le spese dell’intero processo.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.

Dichiara compensate fra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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