Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16070 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. II, 09/06/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 09/06/2021), n.16070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23225/2019 proposto da:

Y.E.K., rappresentato e difeso dagli Avvocati MASSIMILIANO

SCARINGELLA e FABIO LOSCERBO, ed elettivamente domiciliato presso

studio di entrambi, rispettivamente in ROMA, VIA degli OTTAVI 9, e

in BOLOGNA, VIA ERMETE ZACCONI 3/a;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dalli Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3185/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA depositato

l’11/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/07/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Y.E.K., cittadino del (OMISSIS) proponeva ricorso avanti al Tribunale di Bologna avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale di diniego della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine” il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

In particolare,il ricorrente dichirava di avere lasciato il suo paese nel marzo del 2014 e, prima di giungere in Italia, di avere attraversato la Spagna e la Francia in treno, avendo la carta di identità del Marocco poichè aveva lasciato il passaporto in Spagna, dove aveva soggiornato per due mesi; di essere entrato in Italia nel mese di (OMISSIS) e di avere presentato domanda di protezione internazionale nell'(OMISSIS). Il dichiarante narrava altresì di essere nato a (OMISSIS), e di avervi sempre vissuto e di essere musulmano; di avere studiato fino a 18 anni, un anno prima di potersi iscrivere all’università, e di avere lavorato in nero come muratore per potere studiare; di avere i genitori vivi (con i quali è in contatto telefonico), un fratello che vive insieme a lui in Italia (dove risiedono, a (OMISSIS), anche la nonna materna ed uno zio) e due sorelle che vivono in Marocco e sono sposate. Dichiarava infine di avere lasciato il suo paese per un futuro migliore per lui e la famiglia e di avere trovato lavoro in Italia in una società di (OMISSIS) come operaio; di temere che, se avesse fatto ritorno nel suo paese, non avrebbe trovato lavoro o comunque non sarebbe stato pagato, laddove la madre era affetta da diabete e lui le inviava denaro per aiutarla.

Con decreto 3185/2019 depositato l’11/07/2019, il Tribunale rigettava il ricorso.

Avverso tale decreto il richiedente propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi; resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3), per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, con contestuale vizio di motivazione in ordine alla mancata considerazione della cerdibilità delle dichiarazioni del ricorrente e l’omessa attivazione dei doveri informativi officiosi”.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3), per violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17”.

2. – In considerazione della loro 3tretta connessione logico-giuridica e formulazione, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – Essi sono inammissibili.

2.2. – Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

2.3. – Va inoltre rilevato che la valutazione, in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti per la attribuibilità delle singole protezioni costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Cass. n. 3340 del 2019, cit.).

I fatti allegati non attengono a situazioni di violenze indiscriminate, derivanti da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative ad una vicenda meramente personale e familiare del richiedente. Sicchè tali circostanze inducono a ritenere che il richiedente sia un “emigrante economico”; laddove, sotto tale profilo, il giudice di merito ha, peraltro, comunque accertato (mediante il ricorso a fonti internazionali aggiornate, citate nel provvedimento, D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8) l’insussistenza del timore del ricorrente di essere sottoposto a vessazioni, senza possibilità di ottenere tutela.

2.4. – Ciò posto, questa Corte osserva come, viceversa, la parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretenda, ora, una nuova valutazione del giudizio di credibilità del richiedente, proponendo censure che sconfinano con tutta evidenza sul terreno delle mere valutazioni di merito, come tali rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.1. – Con il terzo motivo, il ricorrente censura la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia relativamente alla mancata indicazione del riferimento di legge”.

3.2. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, relativamente alla domanda di protezione umanitaria”.

3.3. – Con il quinto motivo, il ricorrente censura la “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione di norme di legge; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, relativamente al permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

4. – Sempre per connessione i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

4.1. – Anch’essi sono inammissibili.

4.2. – Va posto in rilievo che questa Corte (Cass. sez. un. 8053 del 2014) ha affermato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella novellata formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle pronunce impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata in data 11.07.2019) consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non v’è specifica adeguata indicazione.

Laddove, poi, si presenta altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento non già ad un “fatto storico”, come sopra inteso, bensì a questioni o argomentazioni giuridiche (Cass. n. 22507 del 2015; cfr. Cass. n. 21152 del 2014; ciò in quanto nel paradigma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è inquadrabile il vizio di omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).

4.3. – A ciò va aggiunto (in termini generali) che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; essendo, pertanto, inammissibile la critica generale (e inevitabilemente generica) della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di doglianze non riferibili al provvedimento impugnato, e quindi non chiaramente individuabili (Cass. n. 11603 del 2018). Le proposte censure, come rapsodicamente articolate, appalesano piuttosto (come detto) lo scopo del ricorrente di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammlssibilmente, rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili, onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dal citato art. 360 c.p.c., per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, dunque, cercando di attribuire al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto giuridici alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse (Cass. n. 22355 del 2019; Cass. n. 2051 del 2019).

5. – Il ricorso è inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

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