Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1607 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. II, 20/01/2017, (ud. 30/11/2016, dep.20/01/2017),  n. 1607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.N., SA.Ma.Do., rappresentati e difesi

dall’Avv. Letterio Briguglio;

– ricorrenti –

contro

F.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Girolamo

Licordari, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis, via

Portuense, n. 104;

– controricorrente –

e contro

FI.Ga.;

– intimata –

con l’intervento di:

T.G., erede di F.G., rappresentata e

difesa, in forza di procura speciale notarile, dall’Avv. Stefano

Principato, con domicilio eletto in Roma, via Portuense, n. 104,

presso Antonia De Angelis;

– interveniente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina in data 14

maggio 2014;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 30

novembre 2016 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il

rigetto del ricorso, con condanna alle spese e statuizione sul

contributo unificato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – F.G., con atto di citazione in data 25 settembre 1985, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina S.N. e Sa.Ma. e, premettendo di essere proprietario di un appezzamento di terreno sito in località (OMISSIS) confinante con altro terreno appartenente ai convenuti, lamentava che questi ultimi, nel recingere il loro terreno, avevano abusivamente occupato una striscia di sua proprietà. Chiedeva pertanto che fosse dichiarata l’abusiva occupazione con condanna dei convenuti al rilascio del terreno e al risarcimento del danno.

S.N. e Sa.Ma. si costituivano, resistendo. In ogni caso chiedevano di essere autorizzati a chiamare in giudizio la venditrice del terreno, Fi.Ga., per essere da questa garantiti.

L’adito Tribunale, con sentenza in data 25 marzo 2010, dichiarava che i convenuti S.N. e Sa.Ma. avevano occupato abusivamente il tratto di terreno di mq. 375 appartenente a F.G., modificando lo stato dei luoghi, e li condannava al relativo rilascio con il ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 11.957,22, oltre al pagamento delle spese processuali.

2. – Pronunciando sull’appello proposto da S.N. e Sa.Ma. e sugli appelli incidentali proposti da F.G. e Fi.Ga., la Corte d’appello di Messina, con sentenza in data 14 maggio 2014, in parziale accoglimento dell’appello, ha dichiarato la nullità del capo n. 2 della sentenza con il quale è stata disposta la condanna di S.N. e di Sa.Ma. al rilascio della porzione di terreno occupata in favore di F.G., ha rideterminato la somma a quest’ultimo dovuta dai predetti S. e Sa. a titolo di risarcimento del danno in Euro 11.250, con gli interessi legali dal 1 aprile 2008 al soddisfo, e ha rigettato gli appelli incidentali, compensando tra le parti le spese del grado.

2.1. – Sulla scorta dei documenti prodotti e della relazione del c.t.u., la Corte d’appello ha rilevato l’avvenuta occupazione, da parte dei convenuti S. e Sa., del tratto di terreno coincidente con la particella (OMISSIS) la cui superficie catastale è di mq 375, terreno appartenente a F.G..

La Corte di Messina ha poi sottolineato che effettivamente il F., preso atto delle risultanze della consulenza tecnica attestanti l’impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi, aveva rinunciato alla domanda di rilascio del terreno, optando per il pagamento di una somma corrispondente al suo valore. Sicchè la decisione del Tribunale di disporre egualmente la restituzione e peraltro insieme al pagamento della somma che ne rappresentava il valore sarebbe andata ultra petita, pure realizzando una indebita locupletazione in favore dell’attore.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello lo S. e la Sa. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 27 giugno 2014, sulla base di tre motivi.

L’intimato F.G. ha resistito con controricorso.

L’altra intimata – Fi.Ga. – non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Essendo sopravvenuto il decesso, in data 11 febbraio 2015, di F.G., T.G., erede del de cuius, ha depositato una procura speciale di costituzione, seguita da una memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (violazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 948, 950 e 2058 c.c.) i ricorrenti si dolgono che, sebbene l’attore abbia promosso un’azione di revindica, il giudice d’appello abbia risolto la controversia applicando le regole sul regolamento di confini, vale a dire alla stregua delle risultanze dei dati catastali. La Corte d’appello avrebbe dovuto fare riferimento ai titoli di proprietà. Tale titolo era costituito dall’atto di donazione del 20 marzo 1979, con il quale erano stati donati i fondi in questione alla dante causa dei ricorrenti e al F..

1.1. – Il motivo è infondato.

I ricorrenti muovono da un erroneo presupposto, ossia dalla premessa che il giudice di appello soltanto attraverso le risultanze delle mappe catastali abbia ritenuto dimostrata la proprietà dell’attore.

In realtà la sentenza ha ritenuto dimostrata la proprietà di F.G. proprio in base all’atto di donazione del 20 marzo 1979 e all’allegata piantina catastale, con cui l’originario proprietario ha donato un primo lotto al figlio F.G. e un secondo lotto alla figlia Fi.Ga., dante causa degli attuali ricorrenti.

Esaminando questo titolo traslativo, e la conforme allegata piantina catastale, la Corte d’appello ha accertato, sulla base delle risultanze della c.t.u., che la particella (OMISSIS) di mq 375 è stata donata a F.G.: infatti, la particella (OMISSIS) donata a F.G., al confine con il secondo lotto donato a Fi.Ga., aveva una stradella privata incorporata nella sua proprietà, coincidente proprio con la particella (OMISSIS).

La conclusione alla quale è giunto il giudice del merito è perfettamente allineata all’indirizzo di questa Corte di legittimità: infatti, il rigore del principio secondo il quale l’attore in rivendica deve provare la sussistenza dell’asserito diritto di proprietà sul bene anche attraverso i propri danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, risulta attenuato in caso di mancata contestazione da parte del convenuto dell’originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, ben potendo in tale ipotesi il rivendicante assolvere l’onere probatorio su di lui incombente limitandosi a dimostrare di avere acquistato tale bene in base ad un valido titolo di acquisto (Cass., Sez. 2, 5 novembre 2010, n. 22598; Cass., Sez. 2, 18 gennaio 2016, n. 694).

Il resto appartiene al merito, ossia alla valutazione della portata di quell’atto di donazione ad opera dell’originario proprietario, valutazione compiuta dalla Corte d’appello con logico e congruo apprezzamento e qui non ulteriormente sindacabile.

2. – Il secondo mezzo denuncia violazione degli artt. 950 e 2058 c.c.. Premesso che l’art. 2058 c.c. non è applicabile alle azioni di tutela di un diritto reale, avrebbe errato il giudice del merito a ritenere eccessivamente onerosa la restituzione del bene perchè il terreno occupato sarebbe solo recintato, sicchè basterebbe solamente eliminare la recinzione ai fini della restituzione ritenuta impossibile dalla sentenza impugnata. D’altra parte si denuncia che la condanna risarcitoria non abbia – per espressa affermazione del giudice del gravame – alcun effetto traslativo, restando il bene di proprietà del danneggiato.

2.1. – Il motivo è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.

In primo luogo va ribadito che, se la tutela riservata ai diritti reali non consente l’applicabilità dell’art. 2058 cod. civ. nel caso di azioni volte a far valere uno di tali diritti, atteso il carattere assoluto degli stessi, nondimeno la stessa parte danneggiata può chiedere la condanna per equivalente (Cass., Sez. Un., 20 maggio 2016, n. 10499).

E’ ben possibile, quindi, per il proprietario optare per la tutela risarcitoria: tutela che il giudice del merito ha accordato dopo avere sottolineato che il bene occupato dai convenuti è stato irreversibilmente inglobato nel terreno di questi ultimi e che ne è, materialmente e concretamente, impossibile la restituzione. L’affermazione, da parte della Corte d’appello, della irreversibile trasformazione del fondo oggetto di causa integra valutazione di merito, operata dal giudice a quo tenendo conto dello stato dei luoghi, non ulteriormente sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo del denunciato vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 950 e 2058 c.c.

Quanto, infine, alla doglianza relativa al fatto che il F. sarebbe rimasto proprietario della particella contesa nella sua interezza nonostante la condanna dei convenuti parametrata al valore del bene perduto dall’attore, il motivo non si confronta con l’intera ratio decidendi, avendo la Corte d’appello ravvisato un impedimento ad una pronuncia volta a realizzare un effetto traslativo della proprietà nella stessa mancanza di consenso dello S. e della Sa.. E su questo aspetto non vi è, nel motivo, una specifica censura.

3. – Con il terzo motivo (violazione degli artt. 161, 116 e 119 c.p.c., artt. 1218, 1223, 1226 e 2058 c.c., della L. n. 10 del 1977, art. 4) si lamenta che, nella liquidazione del danno, la Corte d’appello, pur affermando che l’area era un terreno agricolo, abbia seguito la valutazione di mercato per le aree edificabili, sul presupposto che si trattava di area destinata a corte di fabbricato.

3.1. – Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha liquidato il danno recependo le motivate conclusioni del c.t.u. e tenendo conto – con tipico apprezzamento di fatto – del valore attuale del terreno in questione (euro 30 al mq.) in considerazione delle obiettive caratteristiche dello stesso, posto in zona in buona parte edificata.

Nel contestare la conclusione alla quale è pervenuta la Corte di Messina, i ricorrenti, pur lamentando formalmente una plurima violazione di legge, tendono, in realtà, ad una (non ammissibile in sede di legittimità) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito.

4. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 15 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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