Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16065 del 02/08/2016


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Cassazione civile sez. un., 02/08/2016, (ud. 24/05/2016, dep. 02/08/2016), n.16065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Primo Presidente f.f. –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21890-2014 proposto da:

DELTAFIN 21 S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 25, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO RINALDI, rappresentata e difesa dagli

avvocati ROSALIA LA BARBERA, RENZO OPPI, per delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

ORDINE DEGLI INGEGNERI DELLA PROVINCIA DI ANCONA, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BANCO

DI S. SPIRITO 48, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO D’OTTAVI,

rappresentato e difeso dagli avvocati GABRIELLA NICOLINI ed EDOARDO

MARIA STECCONI, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 714/2012 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 4/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2016 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

uditi gli avvocati Rosalia LA BARBERA, Gabriella NICOLINI;

udito il P.M. in persona del Procuratore Generale Dott. CICCOLO

Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 16 luglio 2003 la S.r.l. Deltafin 21 adiva il Tribunale di Ancona per ottenere la condanna generica dell’Ordine degli ingegneri della Provincia di Ancona al risarcimento dei subiti danni, assumendo la responsabilità aquiliana dell’ente convenuto in relazione al parere di congruità espresso sulla parcella redatta dall’ing. F., in forza della quale il professionista aveva poi ottenuto un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, con cui era stata iscritta ipoteca per l’ammontare di Euro 60.000,00.

Con sentenza n. 954 del 5.04-28.08.2006 l’adito Tribunale di Ancona respingeva sia la domanda della società Deltafin 21 che quella riconvenzionale d’indole risarcitoria proposta dall’Ordine professionale.

Con sentenza del 9.05-4.12.2012 la Corte di appello di Ancona rigettava il gravame della società Deltafin 21 premettendo che:

con l’unico motivo la S.r.l. Deltafin 21 aveva dedotto che “proprio l’ampia delega legislativa concessa” e l’obbligo generale di diligenza avrebbero dovuto indurre l’Ordine degli ingegneri a dotarsi di un regolamento interno per l’emissione di pareri sulle parcelle professionali, pur non esistendo una norma positiva che glielo imponesse; nel caso il procedimento si era svolto “in modo del tutto superficiale ed anomalo” atteso che, in un primo momento l’istanza del professionista era stata accolta senza alcuna documentazione accompagnatoria, mentre successivamente l’Ordine aveva inteso “ratificare ex post il proprio operato” dopo aver chiesto ed ottenuto dall’interessato l’allegazione del riscontro cartaceo giustificativo della prestazione resa; nello specifico i documenti sottoposti al controllo presentavano “madornali e macroscopiche incongruenze ed essenziali mancanze, quali la diversità del committente, che non era Deltafin; l’assenza della firma del progettista; un evidente copia – incolla talchè il contenuto dell’elaborato neppure corrispondeva al frontespizio; la totale mancanza dell’importo dei lavori…” senza il quale non era in alcun modo possibile ricostruire il quantum sulla cui base la parcella era stata calcolata;

inoltre nella comparsa conclusionale la società appellante aveva richiamato una sentenza di legittimità sul difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria in controversia promossa da un avvocato contro il proprio consiglio dell’ordine.

Tanto premesso la Corte di Ancona osservava e riteneva che:

la questione di giurisdizione proposta dalla società Deltafin era inammissibile. La possibilità di rilevare ed eccepire il difetto di giurisdizione doveva tenere conto dei principi costituzionali di economia processuale e di ragionevole durata del processo, sicchè non ne era consentita la tardiva proposizione negli scritti difensivi conclusionali del giudizio di secondo grado, con la conseguenza che il giudice di appello non doveva tenerne conto; il giudice poteva rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si fosse formato il giudicato esplicito o implicito: in particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione poteva formarsi tutte le volte che la causa fosse stata decisa nel merito, come nella specie era avvenuto;

l’appello della Deltafin era inoltre infondato nel merito. La prospettata responsabilità dell’Ordine non poteva fondarsi sulla mancata ma dalla legge non prevista adozione di un regolamento interno per disciplinare l’apposizione del visto di congruità; essa sarebbe stata in ipotesi configurabile con riferimento alla procedura in concreto seguita ed al riguardo non poteva che condividersi il ricorso del primo giudice ai principi giurisprudenziali affermati in materia. In tale prospettiva appariva evidente, anzitutto, la mancanza del nesso di causalità tra il visto di conformità rilasciato dall’ordine professionale, che non condizionava l’adozione del decreto monitorio, e l’iscrizione ipotecaria legittimata da tale provvedimento e fonte del lamentato danno. Inoltre, detto parere corrispondeva ad una funzione istituzionale dell’organo professionale in vista degli interessi degli iscritti e della dignità della professione, nonchè dei diritti degli stessi clienti; esso costituiva un atto di controllo meramente formale della corrispondenza a quelle di tariffa delle voci indicate nella parcella e non aveva alcun rilievo sulla validità ed efficacia delle obbligazioni reciproche. Non era dato poi riscontrare che il visto di congruità dell’Ordine degli ingegneri di Ancona, nella specie, fosse stato rilasciato in “assenza di controllo e/o nella arbitrarietà più assoluta”, considerato che la documentazione allegata alla relativa richiesta di cui agli atti del fascicolo di parte appellante consentiva una ricostruzione dell’attività e delle prestazioni che si assumevano svolte dal richiedente, le quali, ove oggetto di contestazione sull’effettività e consistenza da parte del cliente, avrebbero potuto essere accertate nella competente sede giudiziaria di cognizione ordinaria, nel cui ambito il professionista era tenuto, ai sensi dell’art. 2697 c.c., a fornire la piena prova della prestazione resa. D’altronde l’eventuale pregiudizio subito a seguito dell’iscrizione ipotecaria conseguente al decreto ingiuntivo emesso sulla base della parcella vistata ben poteva essere oggetto di richiesta risarcitoria nei confronti dell’intimante, tenuto a rispondere delle conseguenze della propria iniziativa giudiziaria nel caso in cui ne fosse stata riconosciuta ed affermata l’illegittimità o, comunque, l’infondatezza. Mentre ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo a norma dell’art. 636 c.p.c. la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni poteva essere utilmente fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale, tale documentazione non era più sufficiente nel giudizio di opposizione, il quale si svolgeva secondo le regole ordinarie della cognizione e imponeva al professionista, nella sua qualità di attore, di fornire gli elementi dimostrativi della pretesa. per consentire al giudice di merito di verificare le singole prestazioni svolte e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella; ne conseguiva che la presunzione di veridicità da cui era assistita la parcella riconosciuta conforme alla tariffa non escludeva nè invertiva l’onere probatorio che incombeva sul professionista creditore – ed attore in senso sostanziale – sia quanto alle prestazioni effettivamente eseguite sia quanto alla misura degli importi richiesti. Le esposte considerazioni consentivano di ritenere ininfluenti ai fini della decisione le richieste istruttorie formulate, le quali, pertanto, andavano dichiarate inammissibili. Avverso questa sentenza la Deltafin 21 S.r.l. ha ammissibilmente proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e notificato il 13-17.09.2014 all’Ordine degli ingegneri della Provincia di Ancona che il 23-24.10.2014 ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso la Deltafin 21 denunzia:

1. “In via preliminare e/o pregiudiziale, difetto di giurisdizione”. La società ricorrente ribadisce che la controversia avrebbe dovuto reputarsi devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, richiamando a conforto la sentenza di questa Corte n. 14812 del 2009 a suo parere pertinente ed assumendo che al rilievo officioso della carenza di giurisdizione del giudice ordinario non avrebbe potuto ostare il giudicato interno implicito sulla questione.

Il motivo non ha pregio. Irreprensibilmente i giudici d’appello, in aderenza al dettato normativo ed alla relativa elaborazione giurisprudenziale puntualmente richiamata, hanno sia ritenuto inammissibile il rilievo della società Deltafin, di difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria in favore di quella amministrativa, perchè tardivamente formulato nella comparsa conclusionale del secondo grado del giudizio (cfr Cass SU n. 29523 del 2008; n. 26019 del 2008), e sia reputato che la sollevata questione di giurisdizione non fosse nemmeno suscettibile di esame officioso da parte loro, giustamente valorizzando, alla luce della compiuta esegesi dell’art. 37 c.p.c., l’intervenuta formazione del giudicato interno implicito sulla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, non tempestivamente gravata da appello (cfr Cass SU n. 9693 del 2013; n. 24883 e 27531 del 2008; cfr anche Cass n.).

2. “Omesso esame circa un fatto decisivo della controversia e conseguente violazione di legge dell’art. 2697 c.c.”.

La ricorrente deduce che, nell’escludere la responsabilità dell’ordine professionale, i giudici di merito hanno erroneamente posto l’accento sulla mancata adozione di un regolamento interno sui pareri di congruità delle parcelle professionali, quando invece, presupposta l’opinabilità delle non regolamentate modalità seguite per la concessione del visto, aveva sostenuto superficialità cd incongruenza del procedimento e della relativa conclusione positiva, dapprima attinta in assenza di documentazione probatoria del credito e poi ratificata. Si duole quindi della valutazione di esaustività del controllo compiuto dall’Ordine professionale e della violazione dell’art. 2697 c.c., sostenendo ancora che la Corte distrettuale ha contraddittoriamente riconosciuto provata la corrispondenza di voci e tariffe sulla base di documenti non idonei al fine, trascurando prove documentali e conculcando il suo diritto di difesa.

3. “Difetto di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. In particolare la ricorrente deduce omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione in rapporto alla richiamata analisi compiuta nel precedente motivo e data l’erronea interpretazione e valutazione delle sue deduzioni e delle acquisite prove documentali.

Anche il secondo ed il terzo motivo del ricorso sono insuscettibili di favorevole sorte. Le poste censure si risolvono in inammissibili rilievi critici o assiomatici e privi di autosufficienza o non decisivi, essendo rimaste non impugnate le rationes decidendi, autonome, esaustive e dirimenti, integrate in sintesi dal difetto del nesso di causalità tra l’espresso parere dell’Ordine professionale e la subita iscrizione ipotecaria posta a fonte dell’addotto danno, oltre che dal rilievo secondo cui gravava in ogni caso sul professionista ingiungente, cui si riconduceva l’iniziativa pregiudizievole, l’onere di fornire nell’eventuale giudizio di opposizione introdotto dal cliente, la prova dell’esistenza e dell’entità del suo credito azionato in via monitoria, a tanto non bastando il parere in questione. Nel complesso poi l’iter argomentativo che sostiene la sentenza d’appello appare logico, puntuale ed esaustivo ed a tale riguardo deve ricordarsi che le censure ricondotte all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vanno esaminate alla luce del relativo testo innovato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, concernendo la sentenza pubblicata il 4.12.2012. Come ormai noto, la nuova normativa, circoscrivendo il vizio di motivazione deducibile mediante il ricorso per cassazione all’omesso esame di un l’atto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituisce espressione della volontà del legislatore di ridurre al minimo costituzionale l’ambito del sindacato spettante al Giudice di legittimità in ordine alla motivazione della sentenza, restringendo l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4 ossia ai casi in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere d’individuarla. cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr. anche Cass. S.U. nn. 8053 e 80547 del 2014; Cass. n. 21257 del 2014), ipotesi nella specie non ravvisabili.

In definitiva il ricorso deve essere respinto, con condanna della soccombente società Deltafin 21 S.r.l. al pagamento in favore dell’Ordine degli ingegneri della Provincia di Ancona, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la Deltafin 21 S.r.l. al pagamento, in favore dell’Ordine degli ingegneri della Provincia di Ancona, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in,00 per compenso ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2016

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