Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16062 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/06/2017, (ud. 15/11/2016, dep.28/06/2017),  n. 16062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30667-2011 proposto da:

R.C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 74, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE PORPORA, che lo

rappresenta e difende delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE UFFICIO CONTROLLI ROMA 1;

– intimati –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione – avverso la sentenza n.

346/2010 della COMM.TRIB.REG. del Lazio, depositata l’11/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

udito per il ricorrente l’Avvocato PORPORA che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.C.M., dottore commercialista, propone ricorso per cassazione con due motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, rigettandone l’appello, ha ritenuto fondata la pretesa avanzata con la cartella di pagamento recante iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, dell’IRAP per l’anno 2001.

Il professionista, infatti, ha osservato il giudice d’appello, esercita la sua attività di commercialista operando, “come si evince dalla documentazione versata in atti, nell’ambito di una struttura autonoma organizzata, atta ad incrementare il reddito professionale caratterizzata dall’esistenza di attrezzature, con ammortamento ed oneri, per compensi a terzi, ed altre spese di importo complessivo (67.957) significativo rispetto ai ricavi (215.618)”.

L’Agenzia delle entrate ha depositato mero atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo del ricorso il contribuente denuncia la nullità della sentenza per errores in procedendo, costituiti dall’omessa indicazione in sentenza sia della parte che del difensore per l’ente impositore; dall’omessa sottoscrizione del magistrato estensore nel processo verbale dell’udienza dinanzi alla CTR del 21 settembre 2010; “della rilevante illegittima correzione a penna del dispositivo adottato” nel medesimo verbale.

Il motivo è infondato, ove si consideri che “l’omessa indicazione, nell’intestazione della sentenza, del nome di una delle parti determina la nullità della sentenza stessa solo in quanto riveli che il contraddittorio non si è regolarmente costituito a norma dell’art. 101 c.p.c., o generi incertezza circa i soggetti ai quali la decisione si riferisce, e non anche se dal contesto della sentenza – come è nella specie risulti con sufficiente chiarezza la loro identificazione, dovendosi, in tal caso, considerare l’omissione come un nero errore materiale, che può essere corretto con la procedura prevista dagli artt. 287 e 288 c.p.c.” (Cass. n. 5660 del 2015); che nel processo tributario “l’omessa indicazione del nome del difensore del contribuente nell’epigrafe della sentenza della commissione tributaria non costituisce di per sè motivo di nullità della sentenza stessa in difetto di una reale violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa” (Cass. n. 12259 del 2010): ciò a maggior ragione vale per la difesa dell’ente impositore, come nella specie; che “la correzione degli errori materiali contenuti nel verbale di causa, eseguita con una procedura difforme da quella prevista dall’art. 46 disp. att. c.p.c., non è causa di alcuna nullità e produce gli stessi effetti della correzione regolarmente eseguita, con la conseguenza che il verbale ha comunque fede privilegiata ed ove si contesti la rispondenza al vero della parte corretta va proposta querela di falso” (Cass. n. 5542 del 2012).

Col secondo motivo il contribuente denuncia “erronea valutazione delle risultanze di causa per falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3 (artt. 2907 e 2697 cod. civ. combinati con la L. n. 212 del 2000, art. 1), alla luce dell’art. 115 c.p.c. combinato con l’art. 116 stesso c.p.c. e con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61) sotto il profilo dell’impugnabilità della sentenza di appello à sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo è fondato, alla luce del consolidati principi affermati da questa Corte in materia, a tenore dei quali, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata: il requisito della “autonoma organizzazione”, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; costituisce poi onere del contribuente che richieda il rimborso fornire la prova dell’assenza delle condizioni anzidette (ex plurimis, Cass. n. 3676, n. 3673, n. 3678, n. 3680 del 2007; si veda inoltre Cass. sezioni unite 10 maggio 2016, n. 9451): nella specie il giudizio è stato introdotto con l’impugnazione di una cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis.

Il giudice d’appello, infatti, nel rilevare che il contribuente opera, “come si evince dalla documentazione versata in atti, nell’ambito di una struttura autonoma organizzata, atta ad incrementare il reddito professionale caratterizzata dall’esistenza di attrezzature, con ammortamento ed oneri, per compensi a terzi, ed altre spese di importo complessivo (67.957) significativo rispetto ai ricavi (215.618)”, ha compiuto una valutazione inadeguata degli elementi offerti, dando rilievo, ai fini della ravvisabilità dell’autonoma organizzazione, ad elementi non pertinenti nè utili, come il valore assoluto delle spese, quello dei ricavi, ed il rapporto tra l’uno e l’altro, e soprattutto come la sommatoria (“importo complessivo”) del valore di “attrezzature con ammortamento”, “altre spese” ed oneri per “compensi a terzi” non meglio definiti.

Il motivo deve essere pertanto accolto, la sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, per un nuovo esame della controversia alla luce dei principi enunciati.

PQM

 

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Tazio in differente composizione.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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