Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16059 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. II, 28/07/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 28/07/2020), n.16059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24574/2015 proposto da:

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI AGRIGENTO, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE ANGELICO, 78, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

IELO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLA PERITORE;

– ricorrente –

contro

PARROCCHIA MADONNA DEL CARMELO DI RACALMUTO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1410/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 11/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica Generale Dott.

LUCIO CAPASSO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Antonio Ielo, con delega avv. Pertore M., difensore

del ricorrente, che si è riportato agli atti depositati.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Unità Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Agrigento, alla quale in seguito subentrerà l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento, chiamò in giudizio la Parrocchia Madonna del Carmelo di Racalmuto, rivendicando la proprietà d’un immobile confinante con la (OMISSIS).

Il Tribunale di Agrigento, Sezione Distaccata di Canicattì, rigettò la domanda dell’attrice e, accolta quella riconvenzionale, dichiarò che l’immobile era di proprietà della convenuta.

Con la sentenza depositata l’11/9/2014 la Corte di appello di Palermo, accolta solo in parte l’impugnazione dell’attrice, confermò, per quel che qui rileva, la statuizione di primo grado.

In estrema sintesi è utile precisare, seguendo la ricostruzione di cui alla sentenza d’appello, che l’immobile di cui si tratta (ex edificio conventuale), sottratto all’ente ecclesiastico ad opera della legge sulla liquidazione del patrimonio ecclesiastico (facente parte del sistema normativo diretto all’eversione del patrimonio immobiliare ecclesiastico) n. 2987 del 28/6/1866, successivamente, in applicazione della L. 27 maggio 1929, n. 848, venne retrocesso in favore della Chiesa dal Comune di Racalmuto in data 3 maggio 1979 (il verbale di ritrasferimento verrà approvato con decreto del 6 settembre 1992).

Perciò, spiega la Corte di Palermo, l’immobile di cui si dsicute, che era stato trasferito al Comune con vincolo di destinazione in forza della L. n. 833 del 1978, art. 65, al momento dell’entrata in vigore del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (recepito dalla L.R. Sicilia 3 novembre 1993, n. 30), che dispose il trasferimento alle neoistituite Unità Sanitarie Locali di tutti i beni di pertinenza comunale, relativi agli enti sanitari soppressi, non faceva più parte del patrimonio comunale.

Avverso la sentenza d’appello ricorre l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento sulla base di tre motivi. La Parrocchia Madonna del Carmelo è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Con la doglianza si assume che la Corte di Palermo, nonostante avesse riportato il motivo d’appello, con il quale l’appellante aveva lamentato che il Tribunale si era limitato a riportarsi alle conclusioni del CTU, al quale aveva assegnato l’improprio compito di risolvere le questioni giuridiche, a sua volta, non ave va motivato.

1.1. Il motivo è manifestamente destituito di giuridico fondamento.

La ricorrente, nella sostanza, propone censura della motivazione, in spregio al contenuto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, siccome novellato nel 2012, il quale consente il ricorso solo in presenza di omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo (dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le ipotesi di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione) – S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6. n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914), omissione che qui non si rileva affatto, per come si ricava dallo stesso riepilogo di cui sopra, avendo la Corte panormita esplicitato, in forma sintetica, ma del tutto comprensibile, le ragioni della decisione.

In altri termini, non è dubbio che non ricorre l’ipotesi dell’apparenza, cioè di giustificazione non intellegibile, o non ripercorribile, vero e proprio simulacro dei motivi del decidere, perchè non rende percepibile il fondamento della decisione, o perchè risulta priva dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame.

2. Con il secondo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e, con l’osmotico terzo motivo, violazione e falsa applicazione della L. n. 132 del 1968, art. 5 e del consequenziale D.P.R. 28 luglio 1973; nonchè della L. n. 833 del 1978, art. 66,L.R. Sicilia n. 87 del 1980, art. 39 e consequenziale D.P.R. 9 luglio 1981; nonchè del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 5.

Con le due censure, fra loro collegate, la ricorrente, assume che la sentenza impugnata aveva affermato la proprietà del bene in capo alla Parrocchia sulla base di uno sviluppo argomentativo erroneo, che non aveva tenuto conto del succedersi delle norme e della vicenda fattuale.

La decisione, dopo aver reputato pacifico che il bene controverso si apparteneva al patrimonio dei disciolti enti ospedalieri, che in forza della L. n. 833 del 1978, art. 65, era stato trasferito, sia pure con il vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali, al Comune di Racalmuto, aveva proseguito affermando che lo stesso era stato successivamente trasferito dal Sindaco del Comune alla Parrocchia (verbale del 3 maggio 1979 e approvazione con decreto del 6 settembre 1992). Pertanto, al momento dell’entrata in vigore del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (che la Regione Sicilia aveva recepito con la L. 3 novembre 1993, n. 30), l’immobile era già in proprietà della Parrocchia.

Per contro, la ricorrente afferma che andava tenuto conto del fatto decisivo che la L. n. 132 del 1968, art. 5, nell’istituire i nuovi enti ospedalieri aveva assegnato ad essi il patrimonio “costituito dagli edifici adibiti al ricovero e alla cura degli infermi, da tutte le attrezzature che in atto sono destinate al funzionamento dell’ospedale o degli ospedali e dagli altri beni in atto destinati istituzionalmente a beneficio dell’ospedale o degli ospedali”.

Poichè la circostanza che la porzione d’immobile in questione dagli anni ‘50 e fino alla consegna alla Parrocchia fosse destinato alla funzione sanitaria di cui detto, in quanto accorpato all’Ospedale (OMISSIS), risultava dai documenti processuali (la ricorrente richiama, in particolare una nota del 22 luglio 1979 con la quale il Parroco aveva chiesto all’Ospedale di liberare i locali di cui si discute) e dalla CTU, era indubbio che il bene, per effetto del citato art. 5, dal Comune era passato in proprietà all’Ospedale dDi conseguenza, la procedura di retrocessione dei c.d. beni ex ecclesiastici (L. n. 848 del 1929), esitata nel verbale del 3 maggio 1979, era rimasta travolta, in quanto il Comune non era più proprietario del bene.

3.1. L’insieme censuratorio è infondato, sia pure dovendosi modificare la motivazione del Giudice d’appello.

3.1.1. Occorre prendere le mosse proprio dalla legge del 1968, evocata dalla ricorrente.

Essa, con l’art. 3, costituisce i nuovi enti ospedalieri (“Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e gli altri enti pubblici che, al momento di entrata in vigore della presente legge, provvedono esclusivamente al ricovero ed alla cura degli infermi, sono riconosciuti di diritto enti ospedalieri”).

Con il comma 1 della disposizione, vengono trasformate di diritto nel neoistituito ente ospedaliero le istituzioni sopra indicate alla condizione necessaria che le stesse provvedano “esclusivamente al ricovero e alla cura”. Restano, così escluse le istituzioni che non risultano dedicate con esclusività a ricovero e cura.

Con il comma 2 si dispone: “Sono pure costituiti in enti ospedalieri tutti gli ospedali appartenenti ad enti pubblici che abbiano come scopo oltre l’assistenza ospedaliera anche finalità diverse”. In questo caso la condizione perchè l’effetto di legge si verifichi deve rinvenirsi nella necessaria evenienza che si versi in presenza di ospedali, cioè di autonome strutture, dotate di attrezzature, mezzi e personale, gestiti da enti pubblici, pur aventi cura di altre finalità.

La ipotesi, che diversamente dalla prima, non eleva a caratteristica decisiva la soggettiva esclusiva dedizione, ma l’oggettiva gestione della struttura di cura, non richiede più, appunto, l’esclusività, ma, tuttavia, non richiama la mera neutra circostanza che un dato edificio, messo a disposizione a vario titolo dal proprietario, se del caso pubblica istituzione, venga adibito, in tutto o in parte, per soddisfare, in tutto o in parte, le finalità di cura di uno dei soppressi enti ospedalieri.

Ricorrendo una delle due ipotesi, dato vita ai neoistituiti ospedali, mediante decreto del presidente della regione, su Delibera della giunta regionale, “il patrimonio del nuovo ente è costituito dagli edifici adibiti al ricovero ed alla cura degli infermi, da tutte le attrezzature che in atto sono destinate al funzionamento dell’ospedale o degli ospedali e dagli altri beni in atto destinati istituzionalmente a beneficio dell’ospedale o degli ospedali” (art. 5, comma 3).

Ora, nel caso qui in esame deve escludersi la ricorrenza della prima ipotesi, essendo certo che il Comune di Racalmuto non fosse dedito con criterio di esclusività al ricovero e alla cura degli infermi.

A ben vedere non ricorre neppure la seconda. Dalle scarne informazioni alle quali questa Corte può attingere, invero, è dato solo intuire, mancando qualsiasi elemento di cognizione messo a disposizione del Collegio, sulla base della sentenza e di quel che afferma la stessa ricorrente, che i locali di cui si discute fossero in uso all’Ospedale (OMISSIS).

Al contrario di quel che sostiene la ricorrente la Legge del 1968 non fa derivare il trasferimento della titolarità del bene dal solo fatto che lo stesso venga utilizzato per finalità ospedaliere, occorrendo che la gestione si fosse appartenuta alla pubblica istituzione, nella specie al Comune di Racalmuto. Ma ciò non risulta.

Diversamente opinando si giungerebbe a un’interpretazione irragionevole della legge, che priverebbe di beni patrimoniali la pubblica istituzione, e con riflessi costituzionali particolarmente significativi ove si tratti di ente pubblico territoriale esponenziale, sul presupposto anodino che gli stessi fossero utilizzati da un ente terzo avente finalità statutaria di cura. Per contro, la norma è diretta, proprio al fine di unificare il sistema, a far confluire nei nuovi enti ospedalieri tutte le strutture in titolarità dei disciolti enti.

Se le cose stanno così, come pare al Collegio, il sopravvento della L. n. 833 del 1978 e, in particolare, del suo art. 66, non ha avuto rilievo, a differenza di quel che mostra reputare la sentenza d’appello, nella fattispecie che si esamina.

Il predetto art. 66 dispone che “sia i beni mobili ed immobili che le attrezzature destinati prevalentemente ai servizi sanitari appartenenti agli enti, casse mutue e gestioni soppressi sono trasferiti al patrimonio dei comuni competenti per territorio, con vincolo di destinazione alle unità’ sanitarie locali”. Qui, per contro, alla data di entrata in vigore della predetta legge il bene, per quel che prima si è cercato di chiarire, si apparteneva di già al patrimonio comunale, non avendo fatto parte di quegli edifici e di quelle attrezzature che la Legge del 1968 aveva assegnato ai nuovi enti ospedalieri.

A dispetto del frettoloso e immotivato asserto di cui alla sentenza non è dato cogliere sulla base di quale ricognizione si affermi che il bene controverso apparteneva al “patrimonio dei disciolti enti ospedalieri”, indi trasferito al Comune ad opera della L. n. 833 del 1978, art. 65. Dovendosi trarre, per contro, il convincimento che lo stesso, fosse, invece, passato al Comune di già in forza del R.D.Lgt. 3 luglio 1866, n. 3036 (decreto emanato in esecuzione della L. 28 giugno 1866, n. 2987) e, indi, retrocesso alla Parrocchia, ex L. n. 848 del 1929, nel 1979.

4. Non occorre far luogo a statuizione sul capo delle spese essendo rimasta la controparte intimata.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

 

 

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