Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16058 del 11/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16058 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 30112-2011 proposto da:
FONDO PENSIONI PER IL PERSONALE DELLA EX CASSA
DI RISPARMIO DI TORINO – BANCA CRT SPA 80063850012, già
fondo pensioni per il personale della cassa di risparmio di Torino, in
persona del suo Presidente e legale rappresentante, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA BERTOLONI 44, presso lo studio
dell’avvocato PERSIANI MATTIA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato BERTOLA MAURIZIO giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

CHIORINO PER GIACOMO, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso

Data pubblicazione: 11/07/2014

dall’avvocato MICHELE IACOVIELLO, giusta procura speciale in
calce al controricorso e ricorso incidentale;
– contraticorrente e ricorrente incidentale contro

DI RISPARMIO DI TORINO – BANCA CRT SPA 80063850012, già
fondo pensioni per il personale della cassa di risparmio di Torino, in
persona del suo Presidente e legale rappresentante, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA BERTOLONI 44, presso lo studio
dell’avvocato PERSIANI MATTIA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato BERTOLA MAURIZIO giusta procura a
margine del ricorso;
-controricorrente al ricorrente incidentale

t. corr

I – I

avverso la sentenza n. 490/2011 della CORTE D’APPELLO di
TORINO del 20/04/2011, depositatal’ 08/06/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito l’Avvocato Mario Valerio (delega avvocato Persiani Mania
difensore del ricorrente) che si riporta agli scritti.

Ric. 2011 n. 30112 sez. ML – ud. 06-05-2014
-2-

FONDO PENSIONI PER IL PERSONALE DELLA EX CASSA

FATTO E DIRITTO
Con la sentenza impugnata, n. 490/2011, la Corte d’Appello di Torino
confermava la statuizione di primo grado con cui il Fondo Pensioni per il Personale
della Cassa di Risparmio di Torino era stato condannato ad erogare all’odierna
controparte, in quanto era intervenuta la cessazione dal servizio dopo il primo gennaio
1993, la differenza della pensione integrativa tra quanto erogato e la maggior somma
spettante con l’inclusione della indennità di vacanza contrattuale.
La Corte adita osservava che il CCNL del 19.12.94 prevedeva la indennità di
vacanza contrattuale anche per il personale cessato dal servizio nel 1993, ma ne
escludeva il computo ai fini del trattamento di previdenza e quiescenza salvo diversa
previsione dello Statuto; che lo Statuto del Fondo, approvato con D.P.R. n. 469 del
1973, il quale aveva incluso nella retribuzione pensionabile gli importi dovuti per
contratti o accordi aventi effetto retroattivo (art. 31, n. 12) e qualunque altra indennità
corrisposta con carattere continuativo (art. 31, n. 11); che era controversa tra le parti
proprio l’applicazione del predetto Statuto, poiché il Fondo sosteneva che era invece
applicabile quello successivo, approvato il 26 maggio 1994, sottoposto a referendum tra
gli iscritti e decorrente dal primo gennaio 1993, il quale non riproduceva le previsioni di
cui ai citati nn. 11 e 12 dell’art. 31, per cui nella pensione integrativa non doveva essere
computata l’indennità di vacanza contrattuale.
Avverso detta sentenza il Fondo soccombente ricorre prospettando cinque motivi
di ricorso che saranno esaminati nel corso della successiva trattazione.
Resiste la parte intimata con controricorso e ricorso incidentale condizionato.
Il Fondo ha proposto controricorso avverso il ricorso incidentale condizionato.
Si riportano in sintesi i motivi di ricorso.
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 17 del d.lgs. n. 124 del 1993 in
relazione al quinto comma dell’art. 5 del d.lgs. n. 357 del 1990.
La ricorrente censura la statuizione della Corte d’Appello che ha escluso la
efficacia dello Statuto del 1994, ritenendo necessaria l’approvazione ministeriale,
nonostante ad essa ricorrente dovesse essere a applicato il comma 6 bis dell’art. 18 del
d.lgs n. 124 del 1993 introdotto dalla legge n. 449 del 1997.
2) Violazione del d.lgs. n. 124 del 1993, art. 18, comma 6 bis, dell’art. 1362 cod.
civ. e dell’Accordo sindacale del 24 novembre 1993, nonché dello Statuto del 26
maggio 1994, e degli artt. 1 e 5 del d.lgs n. 357 del 1990.
Il Fondo si duole ancora che i Giudici d’appello abbiano ritenuto che il nuovo
statuto del Fondo pensioni del 1994 sarebbe entrato in vigore solo dal 10 gennaio 1998
e cioè dalla data di entrata in vigore della legge n. 449 del 1997.
3) Violazione degli artt. 2, 3, 4, 7 e 9 del d.lgs. n. 503 del 1992, nella parte in cui
hanno introdotto anche per i fondi ex esonerativi nuovi criteri per la determinazione del
trattamento pensionistico e dell’art. 1362 cc, in relazione all’interpretazione letterale
dell’accordo aziendale del 24 novembre 1993. Ad avviso della ricorrente l’Accordo
aziendale del 24 novembre 1993 non consentiva il ripristino dell’operatività dello
Statuto del 1973, più favorevole, in luogo dei criteri di determinazione del trattamento
pensionistico introdotti dal d.lgs. 503 del 1992.
4) Violazione degli artt. 2, 3, 4, 7 e 9 del d.lgs. n. 503 del 1992, nella parte in cui
hanno introdotto anche per i fondi ex esonerativi nuovi criteri per la determinazione del
trattamento pensionistico e dell’art. 1362 cc, in relazione all’interpretazione
complessiva dell’Accordo aziendale del 24 novembre 1993.
La Corte d’Appello anche a voler considerare che con l’Accordo si intendesse
derogare al d.lgs. 503 del 1992, non considerava l’Accordo nella sua globalità e non
considerava che l’art. 4 decimo capoverso dell’accordo medesimo, aveva escluso il
computo, nella pensione integrativa, della richiesta indennità di vacanza contrattuale.

5) Motivazione insufficiente e contraddittoria con riferimento ad un fatto
controverso e decisivo.
Le suddette carenze sono ravvisate nella argomentazioni poste a sostegno della
statuizione che ha disposto il ripristino del sistema di calcolo previsto dallo Statuto del
1973.
Il Collegio, riuniti i ricorsi, condivide le conclusioni cui è pervenuto il
Consigliere relatore e richiama il precedente specifico di questa Corte che con sentenza
n. 1468/2012, confermata dalle sentenze n. 2891 e n. 2755 del 2014 ha esaminato
esaurientemente tutti i problemi giuridici connessi alla vicenda fornendo un’ampia e
complessa motivazione che si condivide in toto e alla quale non si ritiene necessario
aggiungere integrazioni di sorta posto che i motivi del presente ricorso sono analoghi a
quelli proposti nella controversia già risolta da questa Corte.
Preliminarmente, va esaminato il ricorso incidentale, articolato in un motivo, con
il quale è prospettata violazione e falsa applicazione degli art. 16 e 17 e dell’art. 18,
comma 6 bis, del d.lgs. n. 124 del 1993, in relazione all’art. 5, comma 5, del d.lgs. n.
357 del 1990 (art. 360, n. 3, cpc).
Il ricorso incidentale è inammissibile, per difetto di interesse, in quanto il ricorso
incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa in appello e diretto soltanto alla
modifica della motivazione della sentenza impugnata, potendo tale correzione essere
ottenuta mediante la semplice riproposizione delle difese nel controricorso o attraverso
l’esercizio del potere correttivo attribuito alla Corte di Cassazione dall’art. 384 cod. proc.
civ. (Cass., n.7057 del 2010).
La causa verte sulla seguente questione: se la pensione integrativa, erogata dal
Fondo attuale ricorrente, a un dipendente cessato dal servizio il 31 dicembre 1993,
debba o no essere comprensiva dell’indennità di vacanza contrattuale. Questa era stata
introdotta dal CCNL del 19.12.94, il quale ne disponeva la esclusione dal calcolo della
pensione integrativa, ma faceva però salva una diversa disposizione dello Statuto del
Fondo, e la riserva era ovvia, giacché il sistema di calcolo di dette pensioni non poteva
che essere dettato dallo Statuto, che ne è la normativa regolatrice esclusiva. Da ciò
l’ulteriore questione, centrale nel giudizio, di quale fosse lo Statuto da applicare,
essendovi sul punto contrasto tra le parti: per il Fondo ricorrente, in caso di cessazione
al 31 dicembre 1993, doveva applicarsi lo Statuto del 26 maggio 1994, le cui
disposizioni decorrevano dal primo gennaio 1993. Poiché detto Statuto pacificamente
escludeva dal computo della pensione integrativa la indennità di vacanza contrattuale
(così infatti ha ritenuto la sentenza impugnata, e sul punto non ci sono censure),
l’attuale ricorrente insisteva per la infondatezza della pretesa. Diversa era la tesi del
pensionato, il quale, eccependo l’inefficacia dello Statuto del 1994, perché non aveva
ricevuto la prescritta approvazione ministeriale, sosteneva doversi applicare il
precedente Statuto del 1973, il quale comprendeva invece nella pensione integrativa gli
importi dovuti per contratti o accordi aventi effetto retroattivo (art. 31, n. 12) e
qualunque altra indennità corrisposta con carattere continuativo (art. 31, n. 11), con
conseguente suo diritto alla inclusione, nella pensione integrativa, della indennità di
vacanza contrattuale. Occorre quindi decidere se lo Statuto del 1994, invocato dal
Fondo regoli o no la pensione integrativa dell’attuale controparte, avendo riguardo alla
complessa normativa che sul punto si è succeduta. Com’è noto, con la L. 30 luglio
1990, n. 218 e con il D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 357, è stato profondamente
modificato il sistema assicurativo dei dipendenti bancari: il fondo “esonerativo”
dell’AGO cui costoro erano iscritti, si è trasformato in fondo “integrativo”, ossia anche
questo personale è stato iscritto all’AGO, mantenendo però la tutela del vecchio fondo,
il quale “integra” la pensione erogata dall’AGO, per garantire un migliore trattamento
complessivo. A detto fondo integrativo sono stati iscritti i dipendenti in servizio alla
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data del 31 dicembre 1990 e non coloro che sarebbero stati assunti da data successiva, lo
prevede espressamente il citato D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 2, si trattava quindi di un
fondo ad esaurimento. Il D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 5, comma 5 del medesimo
prescriveva che le modifiche dello Statuto fossero assoggettate all’approvazione del
Ministero del Lavoro, ed è pacifico che lo Statuto del 1994, non abbia mai ricevuto
detta approvazione (pur ritenuta necessaria dalla giurisprudenza di questa Corte, cfr.
Cass. 8687/99). Occorre però verificare se, a seguito delle modifiche legislative, detta
disposizione sia stata abrogata e quindi se sia stata abolita l’approvazione ministeriale,
nonché gli effetti che ne derivano. Vi è da rilevare che alla data di approvazione del
nuovo Statuto, 26 maggio 1994, era incerto se le modifiche statutarie dei fondi ex
esonerativi dovessero ancora essere assoggettate all’approvazione del Ministero del
Lavoro, come prescritto dal D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 5, comma 5, oppure il regime
delle approvazioni fosse stato modificato perché detti fondi dovevano rientrare
nell’alveo della previdenza complementare, introdotta nell’ordinamento dal D.Lgs. n.
124 del 1993, e precisamente nelle forme pensionistiche istituite prima dell’entrata in
vigore del medesimo decreto legislativo, perché, in caso positivo, il regime delle
approvazioni sarebbe stato diverso, giacché la vigilanza e quindi l’approvazione degli
Statuti è rimessa ad una Commissione (peraltro istituita presso lo stesso Ministero del
Lavoro), ai sensi del citato D.Lgs. n. 124 del 1993, artt. 16 e 17, L’esistenza di questa
incertezza è testimoniata dal parere richiesto al Consiglio di Stato dell’il gennaio 1995
(cui si fa riferimento sia in ricorso, sia in controricorso), il quale prospettò l’esigenza di
un intervento legislativo ad hoc per chiarire quale fosse il regime applicabile ai fondi ex
esonerativi. L’auspicato intervento legislativo seguì ad opera della L. n. 335 del 1995,
che, all’art. 14 (nel sostituire il testo del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 17) ha
espressamente contemplato “i fondi di cui al D.Lgs. n.357 del 1990, art. 2”, per cui si
deve sicuramente concludere che la normativa in tema di previdenza complementare, ivi
compresa quella concernente la vigilanza e l’approvazione degli statuti, si applica anche
ai fondi “ex esonerativi” dei dipendenti bancari, qual è quello di cui è causa. In tal senso
si è anche pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza n. 393 del 2000. 10.4. È
poi errato quanto si rileva nella sentenza impugnata, per cui l’attuale ricorrente non
poteva avere natura di fondo di previdenza complementare, rientrante nell’ambito del
D.Lgs. n. 124 del 1993, perché un vero fondo di previdenza complementare era stato
istituito solo dall’accordo tra la Banca e le 00.SS. del 24 novembre 1993.
L’argomentazione è errata perché l’accordo sindacale richiamato in sentenza
riguardava la previdenza complementare dei dipendenti assunti successivamente al
primo gennaio 1991, mentre si tratta in causa del fondo integrativo di cui al D.Lgs. n.
357 del 1990, art. 2, che era riservato a coloro che erano già in servizio alla data del 31
dicembre 1990, conseguente alla trasformazione dal fondo medesimo da esonerativo a
integrativo. Ne discende che, rientrando il Fondo ricorrente nell’ambito della previdenza
complementare, a partire dalla entrata in vigore della L. n. 335 del 1995, l’approvazione
dello Statuto non competeva più al Ministero del Lavoro, ma alla Commissione di cui il
D.Lgs. n. 124 del 1993, artt. 17 e 18, come modificati dalla L. n. 335 del 1995, art. 14.
Ha quindi errato la sentenza impugnata nell’affermare la perdurante necessità
dell’approvazione dello Statuto del 1994 ad opera del Ministero del Lavoro e quindi, in
mancanza, la sua inefficacia a regolare la pensione della parte controricorrente.
Va però ulteriormente considerato che neppure la Commissione sembra avere
mai provveduto all’approvazione dello Statuto del 1994. Il Fondo ricorrente invoca però
una successiva disposizione che, secondo la sua tesi, avrebbe eliminato la necessità
della approvazione, e da ciò conseguirebbe la piena efficacia dello Statuto indicato. Si
tratta della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 40, con cui si inserisce, al
D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, comma 6 bis, il quale, dopo avere disposto che le forme
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di previdenza complementare preesistenti devono essere iscritte in una sezione speciale
dell’albo, tenuto dalla Commissione, e dopo avere disposto che l’attività di vigilanza
sarebbe stata espletata da parte della Commissione secondo “piani di attività
differenziati temporalmente…” prevede, nell’ultima parte “Alle modifiche statutarie
relative alle forme pensionistiche di cui al comma 1 deliberate prima della iscrizione
nella sezione speciale dell’albo dei fondi pensione disposta dalla Commissione, non si
applicano l’art. 17, comma 2, lett. b), o comunque altre procedure di autorizzazione”.
Pertanto le modificazione degli statuti, se deliberate prima della iscrizione
nell’albo, non sono soggette ne’ alla approvazione della Commissione, come pur
prevedeva il D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 17, comma 2 lett. b), ne’ ad alcun altra
autorizzazione. La ratio della 0)1 disposizione appare chiara: si tratta di una norma
transitoria finalizzata a conferire finalmente efficacia alle modifiche statutarie che i
fondi di previdenza complementare avevano deliberato, anche in tempi remoti, e che
erano rimaste prive del provvedimento di approvazione, e quindi inefficaci, a causa
delle vicissitudini normative conseguenti alla introduzione della previdenza
complementare, che aveva modificato il regime delle approvazioni (donde la situazione
di incertezza che aveva indotto a chiedere il parere del Consiglio di Stato), trasferendole
dal Ministero del
Lavo
a Commissione di nuova istituzione, la quale, peraltro non avrebbe
potuto provvedere tempestivamente, essendo appunto previsti, per l’attività di vigilanza
sui fondi già iscritti, “piani di attività differenziati temporalmente…”. Quanto alla
efficacia nel tempo della abolizione di detta autorizzazione, ha errato la Corte
territoriale nell’affermare che detta abolizione operava solo dalla data di entrata in
vigore della L. n. 449 del 1997 e quindi dal primo gennaio 1998, di talché non poteva
valere nei confronti della parte controricorrente, cessata dal servizio in epoca ben
precedente. In primo luogo va considerato che l’esistenza giuridica dello statuto
coincide con l’emanazione di esso, giacché il visto o l’approvazione dell’autorità
tutoria non attiene alla sua formazione, ma è un requisito di esecutorietà che opera ex
tune, rendendo cioè l’atto produttivo di effetti sin dalla data della sua emanazione (cfr.
tra le tante Cass. 4490/99). Va considerato altresì che, ne’ nel D.Lgs. n. 357 del 1990,
ne’ nella normativa sulla previdenza complementare è reperibile alcuna disposizione
prescrittiva del termine entro il quale lo statuto doveva e deve essere approvato
dall’autorità tutoria. Se dunque l’approvazione dello Statuto costituiva una condizione a
cui era subordinata l’efficacia dell’atto, per cui — una volta data l’approvazione – gli
effetti sicuramente retroagivano all’epoca della sua emanazione, lo stesso esito non può
non verificarsi nel caso di eliminazione dell’approvazione: una volta eliminato
l’elemento che ne condizionava l’efficacia, non vi è più nulla che impedisca il pieno
dispiegamento di tutti i suoi effetti, ivi compresa la data di decorrenza ivi indicata, e
che quindi lo statuto del 1994 debba regolare, come da sua espressa previsione,
contribuzioni e pensioni a partire dal primo gennaio 1993, incidendo così sulla
posizione dell’attuale parte controricorrente. Peraltro non è possibile ritenere che la
abolizione dell’approvazione operi ex nunc, come ritiene la sentenza impugnata, e
quindi si riferisca solo alle modifiche statutarie intervenute dopo l’entrata in vigore della
legge, se si considera che, secondo il tenore letterale della norma, detta abolizione opera
esclusivamente per le modifiche statutarie intervenute “prima” dell’iscrizione all’albo e
sicuramente prima dell’entrata in vigore della legge, ossia in data anteriore al primo
gennaio 1998. La eliminazione della approvazione, peraltro attraverso l’uso di una
formula perentoria, “comunque altre procedure ai autorizzazione…”, fa sì che nulla più
impedisce l’efficacia delle modificazioni, per come tali erano state deliberate, ossia con
la originaria decorrenza del primo gennaio 1993 ” ( cfr. Cass. n.1468 del 2012). I motivi
terzo, quarto e quinto, che vertono sull’interpretazione dell’accordo del 24 novembre
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Il Presidente

1993, essendo ormai accertata la efficacia dello Statuto del 1994 e quindi la esclusione
della indennità di vacanza contrattuale dalla pensione integrativa non debbono essere
esaminati essendo chiaramente assorbiti dall’accoglimento dei primi.
Conseguentemente va cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi
accolti; non essendovi necessità di ulteriori accertamenti all’esito dei principi affermati,
la causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda di cui al ricorso introduttivo.
La novità delle questioni giustifica la compensazione delle spese dell’intero
giudizio, posto che al momento del deposito del ricorso non era ancora stata pubblicata
la decisione di questa Corte del 2012.
PQM
La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, accoglie
il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la
domanda di cui al ricorso introduttivo. Compensa tra le parti le spese dell’intero
processo.
Così deciso in Roma il 6 maggio 2014

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