Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16057 del 27/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/06/2017, (ud. 09/05/2017, dep.27/06/2017),  n. 16057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 9301 del ruolo generale dell’anno

2016, proposto da:

P.D., ((OMISSIS)) rappresentato e difeso da sè stesso;

– ricorrente –

nei confronti di:

M.L., ((OMISSIS));

– intimato –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Monza n. 2301/2015,

pubblicata in data 14 settembre 2015;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 9 maggio 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.D. ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, avverso l’atto di precetto intimatogli da M.L. sulla base di sentenza di condanna al pagamento delle spese di un precedente giudizio emessa dal Giudice di Pace di Monza, contestando gli importi richiesti dal creditore.

Il Giudice di Pace di Monza ha ridotto (di Euro 47,00) l’efficacia del precetto opposto ed ha compensato le spese di lite.

Il Tribunale di Monza ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre il P., sulla base di due motivi.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimato.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto ritenuto destinato ad essere rigettato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 e 5 dell’art. 91 c.p.c. Compensazione delle spese legali in primo grado. Condanna alle spese legali in appello”.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato.

E’ inammissibile nella parte in cui con esso si contesta la conferma, da parte del tribunale, della compensazione delle spese del primo grado del giudizio operata dal giudice di pace.

Secondo il ricorrente, nel ritenere giustificata la compensazione delle spese sulla base della sussistenza di una reciproca soccombenza delle parti, il tribunale avrebbe violato l’art. 91 c.p.c., in quanto avrebbe ritenuto rilevante la circostanza che l’efficacia del precetto opposto era stata ridotta solo in minima parte, senza considerare che l’opposizione riguardava esclusivamente solo le corrispondenti voci precettate, e quindi doveva ritenersi integralmente accolta.

Il tribunale ha in realtà riscontrato la reciproca soccombenza delle parti non solo in base all’argomentazione contestata dal ricorrente ma anche in considerazione del rigetto delle ulteriori domande da questo proposte e dell’incapacità delle parti di pervenire alla risoluzione conciliativa di una questione bagatellare di conteggi.

Queste ulteriori rationes decidendi, certamente idonee a sostenere autonomamente la decisione adottata, non risultano specificamente censurate.

Il motivo di ricorso in esame è poi manifestamente infondato nella parte in cui il ricorrente contesta la propria condanna al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado.

Queste ultime risultano infatti correttamente poste a suo carico in base al principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., essendo stato integralmente respinto il gravame.

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “Violazione art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 88-89 c.p.c. art. 2043 c.c. – art. 595 c.c. e segg..”.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente si duole del mancato accoglimento nel giudizio di merito dell’istanza di cancellazione di alcune espressioni a suo dire offensive contenute nella comparsa di costituzione della controparte nel giudizio di primo grado, e della conseguente domanda risarcitoria.

In proposito è sufficiente rilevare che, secondo il costante indirizzo di questa Corte (che il ricorso non contiene elementi tali da indurre a rivedere) “il potere del giudice di merito di ordinare la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive utilizzate negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati davanti al giudice costituisce un potere valutativo discrezionale volto alla tutela di interessi diversi da quelli oggetto di contesa tra le parti ed il suo esercizio d’ufficio, presentando carattere ordinatorio e non decisorio, si sottrae all’obbligo di motivazione, sicchè non è sindacabile in sede di legittimità, nè il relativo provvedimento, in caso di reiezione dell’istanza di cancellazione, è suscettibile di impugnazione” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14659 del 14/07/2015, Rv. 636164 – 01; nel medesimo senso, cfr.: Sez. 3, Sentenza n. 22186 del 20/10/2009, Rv. 610303 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6439 del 17/03/2009, Rv. 607124 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 3487 del 12/02/2009, Rv. 606734 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 264 del 11/01/2006, Rv. 586193 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 12479 del 07/07/2004, Rv. 574277 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17547 del 19/11/2003, Rv. 568302 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 12035 del 12/09/2000, Rv. 540117 – 01).

3. Il ricorso è rigettato.

Nulla è a dirsi con riguardo alle spese del giudizio non avendo la parte intimata svolto attività difensiva nella presente sede. Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla medesima L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2017

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