Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16057 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/06/2021, (ud. 17/03/2021, dep. 09/06/2021), n.16057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1517-2017 proposto da:

CONSORZIO AREA SVILUPPO INDUSTRIALE PROVINCIA CASERTA, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GAVINANA 1, presso lo studio dell’avvocato

CHIARA IZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato ALFREDO DI FRANCO;

– ricorrente –

contro

PUBLISERVIZI SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5477/2016 della COMM.TRIB.REG.CAMPANIA,

depositata il 13/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/03/2021 dal Consigliere Dott.ssa BALSAMO MILENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Consorzio per l’Area di Sviluppo industriale Provincia di Caserta (ASI), con tre motivi, ricorre per la cassazione della sentenza n. 5477/34/2016 con la quale, in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento avente ad oggetto l’ICI per l’annualità 2008, la CTR della Campania. nel riformare la sentenza di primo grado, respingeva l’appello proposto dall’ente contribuente.

La CTR, nel rammentare la normativa di settore che applica l’esenzione Ici D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 7 agli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dai comuni, dalle province dalle comunità montane, dai consorzi tra detti enti, dalle usl, dalle istituzioni sanitarie pubbliche, dalle camere di commercio, industria e artigianato ed agricoltura, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali, nonchè, della L. n. 289 del 2002, ex art. 31, agli immobili posseduti dai consorzi tra enti territoriali previsti dal comma 1 della lett. a), ha negato l’esenzione di cui al D.P.R. n. 917 del 1987, art. 7, lett. a) ai fondi di proprietà dell’ASI, in quanto lo statuto prevedeva la partecipazione oltre che dei comuni e della camera di commercio anche dal Banco di Napoli e dello IACP, i quali, benchè avessero receduto dall’associazione, con atti riscontrati dall’ente, risultavano ancora tra i soci fondatori dell’ente.

La società concessionaria è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2. Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. a), nonchè della L. n. 317 del 1991, art. 36, comma 4, e della L.R.C. n. 16 del 1998, art. 2, comma 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; per avere i giudici regionali escluso l’applicabilità dell’esenzioni Ici agli immobili posseduti dall’ASI ancorchè compreso tra gli enti aventi diritto alla relativa fruizione, facendo leva sulla perdurante presenza tra i soci fondatori di due enti privati che, come riconosciuto dalla CTR, avevano receduto dall’associazione, i quali non avrebbero dovuto dunque essere considerati ai fini dei requisiti soggettivi richiesti per l’esenzione dall’ICI dell’ente. Sostiene al riguardo che la norma esige solo che l’ente che intende fruire dell’agevolazione rientri nell’elenco del citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, estromettendo solo i soggetti riuniti in aggregazioni non previste dalla norma (ad esempio in società di capitali), a nulla rilevando, ai fini della esclusione, la circostanza che gli immobili siano posseduti da soggetti come il consorzio ricorrente, se gli immobili sono destinati a compiti istituzionali. In altri termini ciò che rileva è l’inclusione del consorzio tra gli enti indicati dalla menzionata norma e non anche l’inclusione di enti privati nell’ASI.

3. Con la seconda censura si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. a), nonchè della L. n. 289 del 2002, art. 31, comma 18 nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: per avere i giudizi regionali trascurato di valutare la documentazione prodotta nel giudizio di merito (vale a dire, la Delib. 8 gennaio 2003 e le Delib. 8 gennaio e del 22 dicembre 2009 aventi ad oggetto la regolare costituzione de composizione del Consorzio) dalla quale era inferibile che il Consorzio ASI, nell’anno 2008, era composto da enti che godevano dell’esenzione ICI; sostenendo che gravava, peraltro, sul concessionario l’onere di dimostrare che il consorzio fosse ancora composto da soggetti privati.

4. Il terzo motivo denuncia la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 181 disp. att. c.p.c., ” in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 -nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5″; per avere i giudici regionali omesso di divisare sul motivo di ricorso, poi reiterato in sede di appello, alla stregua del quale si evidenziava che molte delle aree sottoposte ad ICI in realtà, nell’anno 2008, non erano più nella titolarità dell’ASI, in quanto acquisiti al Consorzio con decreto di esproprio n. 90 del 12 marzo 2007, decreto poi annullato dal Tar Campania, con sentenza n. 21083/2008 confermata dal C.d.S. in data 16 maggio 2011; annullamento che avrebbe determinato l’inefficacia ex tunc dell’atto ablatorio.

In aggiunta, il Consorzio lamenta l’omesso esame delle doglianze relative all’intervenuta alienazione dei fondi in epoca antecedente all’anno 2008 e precisamente di quelli trasferiti alla società Indesit il 22.06.200 ed alla società Sae, in data 3 agosto 2007.

5. Le prime due censure – le quali involgendo questioni strettamente connesse, possono essere congiuntamente scrutinate – sono destituite di fondamento.

La L. 5 ottobre 1992, n. 317, art. 36, comma 4, stabilisce che “I consorzi di sviluppo industriale, costituiti ai sensi della vigente legislazione nazionale e regionale, sono enti pubblici economici”, spettando alle Regioni soltanto il controllo sui piani economici e finanziari dei consorzi. Questa Corte (cfr. Cass. sez. unite 15 giugno 2010, n. 14293; Cass. sez. 5, 21 gennaio 2016, n. 12797) ha chiarito i limiti entro i quali detti Consorzi assolvano finalità di natura pubblicistica, restando per il resto soggetti alla normativa generale riguardante gli enti aventi finalità lucrativa.

Il Consorzio ASI è un ente avente soggettività giuridica riconosciuta dalla L. 5 ottobre 1991, n. 317, art. 36, comma 4 dello Statuto Consortile, art. 1, comma 1, e della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 22685 del 2008 e Cass. n. 12797 del 2016), pertanto, allo stesso va applicata la disciplina fiscale prevista per gli enti pubblici economici.

In particolare, il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Caserta è, in forza del suo stesso Statuto, un ente pubblico economico che esercita attività di promozione industriale e commerciale nelle aree ricomprese nel suo comprensorio ed è quindi soggetto ad ICI al pari un qualsiasi operatore commerciale o industriale.

Come già è stato detto, con appropriata sintesi nella decisione Cass.n. 16281/2017 “… Premessa la soggettività economica del Consorzio ASI, riconosciuta dalla L. 5 ottobre 1991, n. 317, art. 36, comma 4, dallo statuto consortile, art. 1, comma 1 e dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 22685 del 2008 e n. 12797 del 2016; Sez. U, n. 14293 del 2010), ne derivano sul piano fiscale quelle ricadute che sono tipiche degli enti pubblici economici (es. Sez. 5, n. 13854 del 2004).

Il che, nel caso di specie, è ulteriormente corroborato dalla presenza nella compagine consortile di un istituto di credito e dello IACP, secondo espressa previsione statutaria.

Nè le delibere prodotte dimostrano il contrario. Si tratta, difatti, di delibere del Consorzio intitolate “presa d’atto della propria regolare costituzione e composizione del Consorzio” che non possono certo definirsi equipollenti agli atti modificativi dello Statuto. Gli allegati 7 e 8 riguardano il primo un generico richiamo agli enti consortili (senza destinatario individuato) agli adempimenti di cui ad una nota consortile non prodotta, il secondo una diffida allo IACP affinchè manifestasse la sua decisione di aderire o recedere dallo statuto consortile.

La circostanza dedotta dalla ricorrente, secondo la quale i soci privati hanno manifestato il loro recesso in data antecedente al 2002 e che la presa d’atto sia avvenuta con delibera del 2003 e due dell’anno 2009 – queste ultime successive all’anno di imposta 2008 -, risulta del tutto irrilevante se non trasmesse per la registrazione e per la modifica dell’atto costitutivo del Consorzio, tant’è che nell’anno 2008 nello statuto risultavano, come implicitamente confermato dall’ASI, anche l’istituto di credito e lo IACP.

5.1 Secondo il disposto dell’art. 2093 c.c. trova applicazione l’intero Libro V del codice civile agli enti pubblici economici riconoscendo la natura fisiologica di questa categoria giuridica inevitabilmente ambigua, dettando una regola suppletiva di valenza generale che può orientare l’interprete nei casi più difficili. L’art. 2093 c.c., in definitiva, permette di affermare che, quand’anche si qualifichi una società in termini di ente pubblico, non si può, per ciò solo, dedurne l’assoggettamento alle discipline, alle categorie e alla logica del diritto pubblico/amministrativo, ma si deve semmai verificare la sussistenza o meno dei requisiti di economicità, dai quali soltanto discende la sussunzione di un ente pubblico nella sfera d’azione del codice civile e del diritto comune oppure in quella del diritto pubblico e amministrativo.

In questa prospettiva, l’art. 2201 c.c. dispone che “gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale (409, n. 4 c.p.c.) sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese (2093, 2195, 222)”.

In questo contesto si colloca il D.Lgs. n. 175 del 2016, non applicabile al caso di specie, il cui ambito di applicazione si sovrappone solo in parte con quello dell’art. 2093 c.c., poichè esso individua le regole speciali applicabili sia ad enti pubblici economici in forma societaria, sia a società controllate o anche solo partecipate che non possono nemmeno essere considerati enti pubblici.

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 2480 e 2436 c.c., il notaio che ha verbalizzato la deliberazione di modifica dello statuto (2332, 2348, 2349, 2460), entro trenta giorni, verificato l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge, ne richiede l’iscrizione nel registro delle imprese contestualmente al deposito e allega le eventuali autorizzazioni richieste (2330, 2438).

In alternativa, le delibere di variazione dell’atto costitutivo, una volta approvate, avrebbero dovuto essere inoltrate agli Uffici di Gabinetto del Presidente, alla Direzione Generale per lo Sviluppo Economico e le AA.PP. e all’Ufficio competente per la pubblicazione sul BURC, per l’opponibilità ai terzi.

L’ufficio del registro delle imprese, verificata la regolarità formale della documentazione, iscrive la delibera nel registro.

Le modificazioni dell’atto costitutivo, finchè non sono iscritte, non sono opponibili ai terzi e non producono effetti se non dopo l’iscrizione.

5.2 Questa Corte ha ribadito il principio, sia pure dettato in tema di Irpef e con riguardo ai redditi prodotti in forma associata, che qualora l’amministratore di società non provveda tempestivamente alla richiesta di iscrizione nel registro delle imprese (ai sensi degli artt. 2295 e 2300 c.c.) della modificazione dell’atto costitutivo rappresentata dal recesso del socio dalla società, e quest’ultimo non comunichi il recesso all’amministrazione finanziaria, il socio medesimo non può opporre all’Erario il recesso non iscritto e non comunicato, poichè egli è gravato, medio tempore, dell’onere di comunicare all’amministrazione l’intervenuto recesso.(Cassazione civile, Sez. V, sentenza n. 2812 del 26 febbraio 2002). Sotto detto profilo, la sentenza, impugnata ha correttamente escluso che il Consorzio potesse usufruire dell’esenzione stante la presenza del Banco di Napoli, soggetto non individualmente esente, tra glì enti consorziati, avuto riguardo alla L. n. 289 del 2002, art. 31, comma 18.

Occorre rimarcare che l’elenco dei soggetti esenti da Ici di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a), è tassativo, e dunque insuscettibile di applicazione estensiva ovvero analogica (trattandosi di derogare alla regola generale dell’imposizione). (Sez. U, n. 18574 del 2016). Esso – nella formulazione risultante dalla L. n. 289 del 2002, art. 31, comma 18, avente chiara natura d’interpretazione autentica (Sez. 5, n. 19380 del 2003) – ammette all’esenzione, in relazione agli immobili destinati a compiti istituzionali, anche i consorzi tra enti territoriali ed altri enti che siano individualmente esenti ai sensi della medesima disposizione; ma quest’ultima ipotesi, come detto, nella specie non ricorre per la presenza dei due enti privati (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. nn. 16281 e 16282 depositate il 30 giugno 2017 e Cass. sez. 6-5, ord. 22 ottobre 2018, n. 26575; Cass. 4996/2020, in motiv.).

Era onere del contribuente allegare e dimostrare che ricorressero in concreto le condizioni per usufruire dell’agevolazione (giurisprudenza costante: ex multis, specificamente in tema di ICI, Cass. sez. 5, ord. 11 ottobre 2017, n. 23833; Cass. sez. 5, 3 dicembre 2010, n. 24593; Cass. sez. 5, 21 gennaio 2016, n. 12797), avendo questa Corte chiarito i limiti entro i quali detti Consorzi assolvano finalità di natura pubblicistica, restando per il resto detti enti soggetti alla normativa generale riguardante gli enti aventi finalità lucrativa.

5.3 Nel caso in questione è lo stesso Consorzio ricorrente ad ammettere la possibilità statutaria di partecipazione ad opera di consorziati di diritto privato (anche quanto ad istituti bancari e società commerciali facenti parte della compagine consortile), all’epoca sottoponibili, in presenza di determinate condizioni, ad imposizione Ici.

6. La terza doglianza è fondata.

Effettivamente la CTR ha omesso di pronunciarsi sulle censure sollevate con riferimento ai fondi oggetto di decreto di esproprio e di trasferimento disposto già in epoca antecedente all’anno 2008.

Mentre durante il procedimento di esproprio, soggetto passivo ICI rimane il titolare dei beni, una volta emesso il decreto di esproprio la disponibilità e la titolarità dei cespiti passa all’ente espropriante.

Questo principio enunciato da questa Corte (Corte di Cassazione, sez. I, 09 febbraio 2000, n. 1430) si basa sul presupposto che soltanto il decreto di esproprio trasferisce la proprietà del bene dall’espropriato alla Pubblica Amministrazione; è solo il decreto di esproprio, infatti, che dà diritto alla trascrizione della vendita (art. 586 c.p.c.) (cfr. Corte di Cassazione, sez. I, 12 ottobre 2007, n. 21433, dalla Corte di Cassazione, sez. I, 3 gennaio 2008, n. 19 e dalla Corte di Cassazione, sez. V., 26 febbraio 2010, n. 4753).

Più precisamente, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 23, lett. f), cd. Testo unico espropriazione per pubblica utilità, il decreto di esproprio “dispone il passaggio del diritto di proprietà, o del diritto oggetto dell’espropriazione, sotto la condizione sospensiva che il medesimo decreto sia successivamente notificato ed eseguito”.

Quindi solo se notificato ed eseguito con la immissione in possesso del beneficiario dell’espropriazione mediante apposita, redazione di verbale di immissione nel possesso, si attua l’effetto traslativo.

Non è dunque sufficiente di per sè l’adozione del decreto di esproprio per potersi affermare l’intervenuto trasferimento dei diritti reali, in quanto solo se detto decreto diventa definitivo costituisce atto di trasferimento della proprietà del bene (Cass., Sez. 1, n. 27131 del 15 novembre 2017; Cass., Sez. 1, n. 12700 del 5 giugno 2014).

Nella fattispecie, risultano agli atti i decreti di esproprio emessi dal Presidente della Giunta regionale in favore del Consorzio ma non anche la prova dell’avveramento della condizione sospensiva di cui all’art. 23 cit., con la conseguenza che non è verificabile in questa sede neppure se la soggettività passiva ai fini ICI sia traslata in favore del Consorzio. Del resto, il consorzio non può ritenersi soggetto passivo dell’imposta, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, sol perchè abbia realizzato un’opera pubblica sul fondo occupato in virtù della cd. accessione invertita, tenuto conto che la realizzazione di tale opera costituisce attività di mero fatto, di per sè inidonea a costituire un titolo di acquisto della proprietà, come pure evidenziato dalla costante giurisprudenza della Corte EDU, che ha affermato la contrarietà della cd. espropriazione indiretta alla CEDU e negato la possibilità di individuare sistemi di acquisizione diversi da quello consensuale del contratto e da quello autoritativo del procedimento ablatorio (Cass. n. 19041/2016; n. 19572/ 2017; 20958 /2019).

Nell’ipotesi, poi, in cui il decreto di esproprio avesse prodotto l’effetto traslativo ai sensi dell’art. 23 cit., il Consorzio sarebbe obbligato al pagamento dell’imposta sino alla data del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento del decreto medesimo.

Il principio dell’efficacia retroattiva dell’annullamento del decreto di esproprio, insuscettibile di incidere validamente sulla titolarità del diritto di proprietà, non riverbera i suoi effetti nell’ambito dell’imposizione tributaria, in considerazione del principio della certezza dei rapporti desumibili sia dalle visure catastali che dal sistema delle trascrizioni.

L’intestazione catastale dei beni in favore dell’ASI, quale conseguenza della trascrizione ed esecuzione dei decreti di espropri, è l’unico elemento rilevante ai fini della individuazione del soggetto passivo ICI, non potendo l’obbligo di imposta rimanere sub iudice in attesa della definizione della controversia in ordine alla legittimità dei decreti di espropri, altrimenti potendo il Comune incorrere nella decadenza dal potere impositivo; con la conseguenza che i proprietari espropriati, durante il periodo di efficacia del decreto di esproprio, perdono là soggettività passiva ICI, la quale va riconosciuta in capo al Consorzio.

Il decidente ha omesso altresì di divisare la doglianza relativa all’omesso accertamento della titolarità dei fondi alienati prima dell’anno 2008 alle società menzionate dalla ricorrente.

In definitiva, il ricorso va accolto con riferimento alla terza censura relativa all’omesso esame della titolarità dei fondi espropriati e di quelli alienati a terzi prima dell’annualità 2008 sulla quale la CTR della Campania, in diversa composizione, dovrà decidere.

La sentenza deve essere, conseguentemente, cassata con rinvio alla CTR della Campania anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso limitatamente alla terza censura, respinti i primi due; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania in altra composizione anche per la regolamentazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della Corte di cassazione tenuta da remoto, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

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