Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16056 del 02/08/2016
Cassazione civile sez. I, 02/08/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 02/08/2016), n.16056
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –
Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17511-2013 proposto da:
CANDIDA SOCIETA’ COOPERATIVA EDILIZIA A R.L., (P.I. (OMISSIS)), in
persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI GUARESCHI 39, presso l’avvocato
RICCARDO RIGO, che la rappresenta e difende, giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
N.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE
MILIZIE 19, presso l’avvocato ALDO LUCIO LANIA, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato DANIELA LANIA, giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2362/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 24/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato RICCARDO RIGO che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato ALDO LUCIO LANIA che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità o in
subordine il rigetto del terzo motivo; rigetto del secondo motivo.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 29 novembre 2004, N.M. ha convenuto in giudizio la cooperativa edilizia Candida r.l, chiedendo che fosse dichiarata nulla o inefficace o, comunque, annullata la delibera del consiglio di amministrazione, in data 27 novembre 2004, con la quale era stata esclusa dalla cooperativa per morosità, contestando di essere debitrice della medesima.
Il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda, ha annullato la delibera di esclusione, ha ordinato la reintegrazione della N. nel rapporto societario e dichiarato il suo diritto alla assegnazione del villino (unico lotto, comparto z-15); ha rigettato la domanda di risarcimento del danno.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza 24 aprile 2013, ha rigettato il gravame della Cooperativa. Ad avviso della Corte, non vi erano sufficienti prove della morosità della N., essendovi, al contrario, concreti elementi per ritenere che la somma contestata (relativa a sei assegni) fosse stata da lei corrisposta alla società costruttrice e appaltatrice, Titano Edilizia srl, che non l’aveva contabilizzata, a causa della condotta illecita della persona che per conto di essa intratteneva i rapporti finanziari con la cooperativa committente.
Avverso questa sentenza la Candida ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui si è opposta la N. con controricorso e memoria.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c., art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 6, per avere tratto la prova piena del pagamento da parte della N., per gli importi corrispondenti alle somme portate da alcuni assegni, da uno scritto proveniente da un terzo ( S.S.), che riferiva elementi privi di valore probatorio o ai quali si poteva riconoscere un mero valore indiziario, come il “transito in contabilità” e l’esistenza di un contenzioso tra la stessa Titano e la persona che per conto di essa intratteneva i rapporti con la cooperativa.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2727 e 2729 c.c., per avere utilizzato presunzioni non gravi, nè precise nè concordanti, e violato il divieto di doppia presunzione, avendo tratto dal transito di un assegno in contabilità la prova del pagamento di altri assegni e, dall’esistenza del menzionato contenzioso, la prova della distrazione delle somme che avrebbero dovuto essere conteggiate a credito della cooperativa.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2721, 2726 e 2729 c.c., per avere utilizzato presunzioni semplici, in violazione del divieto di prova testimoniale del pagamento.
I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’esame e la valutazione dei documenti e delle risultanze probatorie, così come il giudizio sull’attendibilità e credibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (v., tra le tante, Cass. n. 11699/2013). La Corte di merito ha effettuato una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, sufficientemente e logicamente argomentata, fondando il proprio convincimento, non solo, sul documento sopra indicato, ma anche su una relazione scritta che, nell’ambito di una revisione contabile del bilancio, faceva riferimento ad un “giroconto” al costruttore di assegni versati dai soci a saldo delle loro quote; sull’esistenza di una prassi diffusa tra i soci di ricorrere a pagamenti diretti (mediante assegni non transitati nelle casse della cooperativa) e sul fatto che già il Tribunale aveva dato rilievo al possesso, da parte dell’attrice, dei titoli con la firma dell’amministratore della Titano Edilizia.
La prova per presunzioni del pagamento è ammissibile nei limiti in cui è derogabile il divieto della prova per testimoni (artt. 2721, 2726 e 2729 c.c.), ma ciò è oggetto di un potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio è insindacabile in sede di legittimità.
Inoltre, è opportuno ribadire che le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. Spetta, pertanto, al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che sfugge al sindacato di legittimità (v., tra le tante, Cass. n. 15737/2003).
In conclusione, mirando le censure a una impropria revisione del giudizio di fatto compiuto dai giudici di merito, cui non si può dare ingresso in sede di legittimità, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 5200,00, di cui Euro 5000,00 per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 18 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2016