Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16053 del 02/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 02/08/2016, (ud. 21/04/2016, dep. 02/08/2016), n.16053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21267-2011 proposto da:

UNICREDIT S.P.A., (c.f./p.i. (OMISSIS)), nella qualità di

incorporante di CAPITALIA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FEDERICO CESI 72, presso lo STUDIO AVV.TI ALBISINNI E BUONAFEDE,

rappresentata e difesa dall’avvocato LORENZO REGANATI, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 151, presso l’avvocato SILVIO ALIFFI, rappresentato e difeso

dagli avvocati MAURIZIO LIISTRO, GIOACCHINO VILLANTI, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 211/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato P. BUSCEMI, con delega, che si

riporta;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato M. LIISTRO che ha chiesto

l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 22 febbraio 2011, in riforma della decisione del Tribunale della stessa città, ha condannato Capitalia s.p.a. al risarcimento del danno in favore di P.A. nella misura di Euro 79.090,21, quale lucro cessante derivato dal rifiuto, dalla banca opposto, di eseguire un’operazione in contratti derivati costituiti da contratti Fib 30.

La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: a) la circostanza secondo cui il P. non avesse impartito gli ordini per iscritto e non disponesse della necessaria copertura finanziaria è inidonea a giustificare il rifiuto, opposto dalla banca, all’esecuzione degli ordini, essendo la mancanza di forma scritta imputabile allo stesso funzionario bancario, il quale non aveva consegnato il modulo all’investitore; b) il rifiuto ad eseguire il contratto di intermediazione finanziaria integra inadempimento al medesimo, anche con riguardo all’art. 1375 c.c.; c) il lucro cessante va liquidato nella misura del guadagno non conseguito nell’investimento in derivati, pari a quanto indicato in un grafico depositato dall’attore, senza contestazione di controparte; d) la somma va rivalutata e sono dovuti gli interessi legali sugli importi progressivamente rivalutati anno per anno.

Avverso questa sentenza propone ricorso Unicredit s.p.a., incorporante Capitalia s.p.a., affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l’intimato, che produce anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., comma 2, artt. 1352 e 1375 c.c., sostenendo che, ai sensi della L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6, comma 1, lett. c), – applicabile nella specie, per essere stato il contratto concluso il 27 giugno 1996 – e degli art. 9 Regolamento Consob 2 giugno 1991, n. 5387 e art. 1 Regolamento Consob 9 dicembre 1994, n. 8850, gli intermediari possono fornire servizi di intermediazione mobiliare al cliente solo sulla base di un apposito contratto scritto relativo al servizio prestato, mentre l’art. 1, comma 2, lett. d), Reg. n. 8850 del 1994 prevede, altresì, che il contratto di intermediazione fissi le modalità attraverso cui il cliente può impartire i propri ordini o istruzioni.

Nella specie, il 25 maggio 1998, ad integrazione dell’originario contratto, le parti avevano stabilito, all’art. 3, che “Gli ordini sono impartiti per iscritto. Gli ordini impartiti telefonicamente o a mezzo telefax saranno validi solo se l’utilizzo di tali forme sia stato espressamente consentito”, in tal modo pattuendo una forma scritta convenzionale. In mancanza, la banca legittimamente non aveva eseguito l’ordine; nè rileva la mancata consegna di moduli prestampati, non essendo previsto il loro necessario utilizzo. Infine, è mancata la prova danno liquidato dalla corte territoriale.

Con il secondo motivo, deduce il vizio di omessa motivazione, con riguardo alla mancanza di liquidità sufficiente da parte dell’investitore presso l’istituto, necessaria per dare corso alle operazioni, avendo la corte del merito del tutto omesso di esaminare e di valutare detta circostanza, sebbene dimostrata dai documenti prodotti dall’istituto bancario.

2. – Il primo motivo è fondato.

2.1. – Già la L. n. 1 del 1991 ed il regolamento Consob approvato con Delib. 2 luglio 1991, n. 5387 contenevano i requisiti dei contratti con i clienti e le prescrizioni di comportamento per gli intermediari.

Così, la L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6, comma 1, lett. d), imponeva all’intermediario di assumere dal cliente le più complete ed accurate informazioni afferenti alla di lui situazione finanziaria affinchè potesse meglio valutare se l’operazione dal cliente proposta fosse compatibile con le sue capacità economiche.

In dettaglio, poi, l’art. 6 del regolamento n. 5387 del 1991 imponeva all’intermediario di astenersi dal consigliare o effettuare “c) operazioni non adeguate per tipologia o oggetto”, espressamente precisando: “2. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un cliente disposizioni relative ad operazioni che abbiano frequenza eccessiva o dimensioni eccessive ovvero non appaiano adeguate per il cliente stesso, lo informano compiutamente di tali circostanze e delle ragioni per cui non è opportuno procedere all’esecuzione di tali operazioni. Se il cliente richiede comunque l’esecuzione delle operazioni di cui trattasi i relativi ordini sono contrassegnati nell’ambito delle annotazioni e registrazioni di cui agli artt. 19, 20, 26, 29 e 34”. Dal suo canto, l’art. 23 del citato regolamento n. 5387 del 1991prevedeva il “rifiuto di eseguire un ordine”, che doveva essere immediatamente comunicato al cliente.

Una serie di prescrizioni prudenziali, dunque, era già all’epoca posta a conformare la condotta dell’intermediario, alla stregua della diligenza al medesimo richiesta e collegata alla delicatezza e alla rilevanza dei servizi prestati, non soltanto nell’interesse del singolo investitore, ma anche di quello generale alla stabilità del sistema.

2.2. – Con riguardo, più in particolare, al requisito della forma scritta nell’ambito delle contrattazioni finanziarie, questa,corte ha chiarito come essa sia prevista dalla legge per il contratto quadro, non per i singoli ordini (Cass. 22 marzo 2013, n. 7283; 19 maggio 2005, n. 10598; 7 settembre 2001, n. 11495): salvo che, per questi ultimi, siano state le parti stesse a prevederla a norma dell’art. 1352 c.c. (Cass. 29 febbraio 2016, n. 3950).

Tale ultima evenienza sovente si verifica nella negoziazione di c.d. contratti derivati, costituiti da contratti Fib 30, di impegno tra le parti, secondo la definizione della Consob, alla liquidazione di una somma determinata come prodotto tra il valore assegnato convenzionalmente a ciascun punto dell’indice e la differenza tra il valore dell’indice stabilito alla stipulazione del contratto ed il valore al giorno della scadenza. Si tratta di contratti uniformi a termine sull’indice azionario MIB 30, formato da trenta titoli azionari quotati, che con Delib. 11 ottobre 1994 sono stati autorizzati dalla Consob nell’ambito della Borsa Valori.

Giova rilevare come allorchè le parti, nell’ambito delle operazioni di intermediazione finanziaria, abbiano previsto una forma predeterminata (appunto, scritta) del singolo ordine per la sua validità, essa trova fondamento non soltanto nel fine di assicurare una maggiore ponderazione da parte dell’investitore, ma altresì in quello di garantire all’operatore la serietà di quell’ordine e permettergli una più agevole prova della richiesta ricevuta, allorchè sia convenuto in responsabilità in ordine all’operazione stessa, da parte dell’investitore.

Di conseguenza, la nullità per carenza di forma scritta convenzionale – a differenza della cd. forma di protezione di cui alla L. n. 1 del 1991, art. 6, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 18 ed ora D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 – non è rimessa alla sola volontà del cliente, ma può essere fatta valere da entrambi i contraenti (sulla legittimazione di entrambi i contraenti alla deduzione della nullità per il difetto di forma scritta convenzionale, cfr. Cass. 9 febbraio 1980, n. 909; e v. pure Cass. 10 giugno 2014, n. 13020, in tema di comunicazioni telematiche fra banche), e dunque, anche dall’investitore, il quale, pertanto, ancor prima, legittimamente può rifiutare l’esecuzione di un ordine non impartito per iscritto.

2.3. – Nella specie, la corte del merito ha violato tali principi, non avendo considerato che la mancanza di forma scritta dell’ordine legittimava pienamente la banca a non eseguirlo.

Quanto all’affermata imputabilità alla stessa banca del mancato rispetto del requisito formale, per non avere il funzionato consegnato il relativo modulo, colgono nel segno i rilievi della ricorrente, secondo cui, da un lato, il cliente sarebbe stato allora onerato di provare la conclusione inter partes del patto concernente la necessità del formalismo consistente nell’uso esclusivo di un modulo per impartire l’ordine scritto, di cui tuttavia non è mai parola da parte di alcuno; mentre, dall’altro lato, la corte del merito avrebbe dovuto allora dar conto (qualora, in ipotesi, avesse potuto considerarsi il modulo una formalità insostituibile) del verificarsi dell’altra situazione fattuale indispensabile per l’esecuzione dell’ordine, costituita dalla sufficiente provvista da parte del cliente, come stabilito nei regolamenti in materia.

Sul primo profilo, si aggiunga come la banca assume di avere, su ordine del direttore, inteso preservare in tal modo il cliente da ulteriori perdite, dato che in passato ne erano già seguite di rilevanti, in dipendenza della medesima categoria di operazioni su strumenti derivati.

L’accenno, contenuto nel complesso motivo, alla violazione dell’art. 1224 c.c. è di conseguenza assorbito.

3. – Il secondo motivo resta assorbito.

4. – In conclusione, va cassata la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto della domanda proposta da P.A. contro Capitalia s.p.a., ora Unicredit s.p.a.

5. – Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate avuto riguardo all’esito finale della lite.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da P.A. contro UNICREDIT S.P.A.; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 per il primo grado (di cui Euro 800,00 per diritti Euro 1.900,00 per onorari), in Euro 3.800,00 per il grado d’appello (di cui Euro 1.000,00 per diritti e Euro 2.500,00 per onorari) e in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, per il giudizio di legittimità, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 aprile 2015.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2016

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