Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16051 del 02/08/2016


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Cassazione civile sez. III, 02/08/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 02/08/2016), n.16051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 15281 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

PIERRE CONSULTING S.r.l., (C.F.: (OMISSIS)), in persona

dell’amministratore unico, legale rappresentante pro tempore,

A.F.S. rappresentato e difeso, giusta procura a margine

del ricorso, dall’avvocato Armando Buttitta (C.F.: BTT RND 541310

G273N);

– ricorrente –

nei confronti di:

C.F.. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa, giusta

procura a margine del controricorso, dall’avvocato Vincenzo Miceli

(C.F.: MCL VCN 45L07 L331P);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 548/2014, pronunziata in data 1

aprile 2014 dalla Corte di Appello di Palermo e depositata in data 9

maggio 2014;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

28 giugno 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

l’avvocato Alessandra Mari, per delega dell’avvocato Armando

Buttitta, per la società ricorrente;

l’avvocato Vincenzo Miceli, per la controricorrente;

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale

dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per la dichiarazione

di inammissibilità anche ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma

5,; inammissibilità del controricorso e statuizione sul contributo

unificato.

Fatto

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.F. agì in giudizio nei confronti della Pierre Consulting S.a.s. di A.F.S. & C. (oggi Pierre Consulting S.r.l.) per ottenere il rilascio di una zona di terreno alla stessa concessa in locazione per uso non abitativo con contratto del 13 febbraio 2007, in relazione al quale aveva esercitato il diniego di rinnovo alla prima scadenza, avendo necessità di utilizzare il bene ad uso commerciale per la propria attività di pubblicitaria.

La domanda fu accolta dal Tribunale di Trapani – Sezione distaccata di Alcamo.

La Corte di Appello di Palermo ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre la Pierre Consulting S.r.l., sulla base di quattro motivi.

Resiste la C., con controricorso.

La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente si osserva che non può trovare accoglimento l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione orale presentata dal difensore della società ricorrente per un coincidente impegno professionale, non essendo stata provata (ed in verità neanche allegata) nè l’anteriorità dell’impegno nè l’assolutezza dell’impedimento, quest’ultima anzi smentita nei fatti dalla circostanza che il difensore in questione è stato sostituito all’udienza da un delegato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, “l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. c.p.c., deve fare riferimento all’impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega (facoltà generalmente consentita dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 9 e tale da rendere riconducibile all’esercizio professionale del sostituito l’attività processuale svolta dal sostituto), venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore, non rilevante ai fini del differimento dell’udienza” (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 4773 del 26/03/2012, Rv. 621382; nel medesimo senso, ex multis, e tra le più recenti: Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19583 del 27/08/2013, Rv. 627728, secondo cui “il rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. c.p.c., presuppone, anche nel procedimento camerale contenzioso, l’impossibilità di sostituzione dello stesso, prospettandosi, altrimenti, soltanto una carenza organizzativa del professionista incaricato, irrilevante ai fini di tale differimento; ne consegue che è legittimo il diniego del rinvio allorquando la parte sia rappresentata all’udienza di discussione, in sostituzione del “dominus”, impedito a presenziarvi, da altro difensore delegato, il quale giustifichi la richiesta di differimento con la concomitanza di diverso impegno professionale del collega, senza, però, provarne l’esistenza e l’anteriorità rispetto alla controversia da discutere, così precludendo di ricondurre l’istanza in esame ad una causa legittima piuttosto che a mera strategia difensiva”; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22094 del 17/10/2014, Rv. 632913).

2. Sempre in via preliminare, va rilevata l’inammissibilità del controricorso, tardivamente notificato, ai sensi dell’art. 370 c.p.c..

La notifica del ricorso è infatti avvenuta in data in data 6 giugno 2014 (onde il termine per il suo deposito, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., ha avuto scadenza in data 26 giugno 2014), mentre il controricorso risulta trasmesso per la notifica all’ufficiale giudiziario solo in data 18 luglio 2014, e quindi oltre il termine di venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso, prescritto dall’art. 370 c.p.c..

Legittima è invece la partecipazione del difensore della controricorrente alla discussione orale.

Secondo l’indirizzo di questa Corte, infatti, “l’inammissibilità del controricorso, perchè notificato oltre il termine fissato dall’art. 370 c.p.c., comporta che non può tenersi conto del controricorso medesimo, ma non incide sulla validità ed efficacia della procura speciale rilasciata a margine di esso dal resistente al difensore, che può partecipare in base alla stessa alla discussione orale, con la conseguenza che, in caso di rigetto del ricorso, dal rimborso delle spese del giudizio per cassazione sopportate dal resistente vanno escluse le spese e gli onorari relativi al controricorso, mentre tale rimborso spetta limitatamente alle spese per il rilascio della procura ed all’onorario per lo studio della controversia e per la discussione” (Cass., Sez. L, Sentenza n. 11619 del 13/05/2010, Rv. 613549; conf.: Sez. 5, Sentenza n. 3325 del 11/02/2011, Rv. 616060; Sez. 3, Sentenza n. 22269 del 02/11/2010, Rv. 615554).

3. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto e precisamente della L. n. 392 del 1978, art. 29 nonchè dell’art. 115 c.p.c., anche sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, della L. n. 392 del 1978, art. 29; violazione dell’art. 115 c.p.c.. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – Art. 360 c.p.c., n. 5”.

I primi due motivi – entrambi relativi alla sussistenza dei presupposti per il valido diniego del rinnovo del contratto di locazione – sono connessi e possono quindi essere trattati congiuntamente.

Essi sono inammissibili, sotto vari profili.

In primo luogo si osserva che, benchè in rubrica venga richiamata sia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in realtà la società ricorrente non indica concretamente alcun effettivo profilo di non corretta applicazione, in diritto, delle disposizioni normative invocate, limitandosi a contestare gli accertamenti in fatto operati dalla corte di appello con riguardo alla effettiva possibilità di utilizzazione dell’immobile locato da parte della locatrice (a mezzo della società di persone di cui la stessa risulta socia accomandataria) per lo scopo manifestato (attività pubblicitaria), in ragione del contingentamento delle relative licenze da parte del comune, e la serietà del relativo intento.

Orbene, in proposito è sufficiente rilevare che, dal momento che la sentenza impugnata risulta pronunziata e pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012, è applicabile il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, che “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”; e la suddetta riformulazione “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 e 629831).

Orbene, nel caso di specie non vi è dubbio che i fatti storici rilevanti ai fini della decisione siano stati presi tutti in considerazione dalla corte di merito, e che sui punti in discussione il provvedimento impugnato contenga una motivazione non apparente nè insanabilmente contraddittoria, onde in relazione ad essa non sono ammissibili censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Sotto tale aspetto, è evidente che il ricorso mira ad ottenere un riesame degli accertamenti di fatto compiuti nei gradi di merito ed una nuova e diversa valutazione del materiale istruttorio, il che è certamente inammissibile in sede di legittimità.

Il ricorso è inammissibile anche in relazione alla previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (difetto di autosufficienza), in quanto non risulta specificamente richiamato il contenuto rilevante di tutti gli atti e documenti posti a fondamento delle allegazioni della società ricorrente con riguardo ai richiamati accertamenti in fatto operati dai giudici del merito e qui contestati, e tanto meno ne è indicata la esatta allocazione nel fascicolo processuale.

Le considerazioni che precedono assorbono ogni altra questione, anche in relazione alla applicabilità alla fattispecie della previsione di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, con riguardo all’ammissibilità delle censure fondate sui motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in ipotesi di doppia decisione conforme in fatto nei gradi di merito.

4. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto e precisamente dell’art. 91 c.p.c. anche sotto il profilo dell’omesso esame dì un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il motivo è infondato.

La società ricorrente è risultata soccombente nei gradi di merito, avendo resistito alla domanda proposta nei suoi confronti dalla C., contestandone espressamente la fondatezza.

La sua condanna alle spese di lite è stata quindi correttamente pronunziata dai giudice del merito in base al principio della soccombenza espresso dall’art. 91 c.p.c., che opera automaticamente e non richiede alcuna motivazione, trattandosi semplicemente di applicare la previsione di legge (ed essendo invece necessaria espressa e specifica motivazione solo laddove, nei casi consentiti dall’art. 92 c.p.c., il giudice ravvisi motivi tali da giustificare la compensazione delle spese nonostante l’esclusiva soccombenza di una delle parti). In tal senso l’indirizzo di questa Corte è costante, e va qui ribadito (si vedano in proposito, ex multis, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1868 del 02/04/1979, Rv. 398251; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524; Sez. 3, Sentenza n. 2974 del 15/02/2005, Rv. 581123; Sez. 3, Sentenza n. 14239 del 28/07/2004, Rv. 575452; Sez. 2, Sentenza n. 23460 del 16/12/2004, Rv. 578191; Sez.3, Sentenza n. 19151 del 29/09/2005, Rv. 583561; cfr. in particolare, e più di recente: Sez. 2, Sentenza n. 2730 del 23/02/2012, Rv. 621586, secondo cui “in tema di spese processuali, solo la compensazione dev’essere sorretta da motivazione, e non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato, atteso che il vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove ipotizzato, sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e, perciò, non costituenti punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella assunta”).

5. Con il Quarto motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto e precisamente delle disposizioni contenute nel D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 anche sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

E’ infondato nella parte in cui la società ricorrente censura la valutazione della corte di appello di congruità della liquidazione in Euro 1.900,00 delle spese del giudizio di primo grado operata dal tribunale, dal momento che tale liquidazione è pacificamente contenuta entro i valori massimi tabellari e dunque è in proposito esclusa ogni possibile censura in sede di legittimità, anche sotto il profilo di eventuali vizi di motivazione (cfr. Cass., Sez. L, Sentenza n. 14011 del 12/11/2001, Rv. 550182: “la determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice, che, se contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede specifica motivazione, e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità se non quando l’interessato specifichi le singole voci della tariffa che assume essere state violate”; conf. Sez. 1, Sentenza n. 1405 del 30/01/2003, Rv. 560158).

Sotto tale profilo appare poi del tutto irrilevante la questione del mancato concreto svolgimento della fase istruttoria, dal momento che tale fase non risulta espressamente presa in considerazione dalla corte, la quale (a prescindere dall’indicazione dei valori medi astrattamente liquidabili) esprime chiaramente un giudizio di congruità complessiva dell’importo in concreto liquidato dal giudice di primo grado in relazione alle attività processuali effettivamente svolte, giudizio discrezionale non censurabile in sede di legittimità, in quanto – anche escludendo la voce parametrica relativa alla fase istruttoria – l’importo finale risulta comunque certamente contenuto tra i limiti minimi e massimi previsti dal decreto ministeriale applicabile nella fattispecie.

Il motivo è invece inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui con esso viene dedotto che la nota spese presentata dalla parte attrice in primo grado conteneva una richiesta finale di liquidazione per Euro 1.562,77, in quanto la ricorrente non indica espressamente la specifica allocazione del relativo documento nel fascicolo processuale.

6. Il ricorso è rigettato, mentre il controricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– dichiara inammissibile il controricorso;

– condanna la società ricorrente a pagare le spese del presente giudizio in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2016

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