Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1605 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. II, 20/01/2017, (ud. 15/11/2016, dep.20/01/2017),  n. 1605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26102-2013 proposto da:

D.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

SEGNALINI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

FRANCESCO FURLAN, FRANCESCA SCIARROTTA;

– ricorrente –

contro

B.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2116/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 03/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2016 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato GIANLUCA GEMMA, con delega dell’Avvocato FRANCESCO

FURLAN difensore della ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per la manifesta fondatezza

del ricorso e per la statuizione ex art. 384 c.p.c. e per la

condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di citazione regolarmente notificato D.A., esponendo di essere proprietaria di un immobile (magazzino) sito nel Comune di (OMISSIS), citava in giudizio B.A. avanti al Tribunale di Treviso per accertare e sentire dichiarare la proprietà esclusiva dell’attrice del bene indicato, e conseguentemente condannare la B.A. al rilascio del magazzino, abusivamente occupato dalla convenuta con masserizie varie dopo aver forzato la porta di ingresso.

Si costituiva in giudizio B.A. che contestava nel merito le pretese dell’attrice, ed eccepiva a sua volta di aver lei acquistato la proprietà del magazzino in forza di un atto di compravendita o comunque per usucapione.

Il Tribunale di Treviso, dopo aver espletato anche una C.T.U. per accertare quali fossero state le vicende giuridiche relative al magazzino oggetto di causa, con sentenza n. 1668/2005 rigettava le domande dell’attrice per difetto di prova, condannando quest’ultima alla rifusione delle spese legali, nonchè al pagamento delle spese di C.T.U.

2. Avverso la suddetta sentenza proponeva appello l’attuale ricorrente chiedendo l’integrale riforma della stessa, con condanna della B. alla restituzione della somma di Euro 3.518,65 con interessi e rivalutazione, pagata in esecuzione della sentenza di primo grado a titolo di rifusione delle spese di giudizio, nonchè con vittoria delle spese legali di entrambi i gradi di giudizio e rimborso delle spese di C.T.U. e di C.T.P.

Si costituiva in giudizio B.A. che chiedeva invece respingersi l’appello.

Con la sentenza n. 2116/2012 (dep. in data 03.10.2012) la Corte di Appello di Venezia riformava la sentenza di primo grado, accertando così che l’immobile controverso era di proprietà esclusiva dell’appellante D.A., e condannava l’appellata a rifondere alla controparte le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.

A sostegno di questa decisione la Corte territoriale ribadiva la consolidata giurisprudenza della Cassazione in ordine all’attenuazione dell’onere probatorio a carico dell’attore che agisce in rivendica, nell’ipotesi in cui il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa.

Nulla disponeva però con riguardo alla domanda dell’appellante di rilascio in suo favore del magazzino occupato dalle masserizie della convenuta.

3. Avverso la sentenza di cui sopra D.A. proponeva ricorso per cassazione, formulando tre distinti motivi, chiedendo peraltro che la Suprema Corte, nel cassare parzialmente la decisione impugnata, pronunciasse le condanne richieste ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, in quanto i motivi di nullità dedotti non implicherebbero la necessità di ulteriori accertamenti di fatto.

Non vi è controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo la ricorrente eccepisce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità parziale della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di condanna dell’appellata al rilascio dell’immobile di cui era stato chiesto l’accertamento della proprietà.

In particolare rileva che, nonostante lo specifico motivo di impugnazione, i giudici di secondo grado…non hanno preso assolutamente in considerazione la censura di diritto svolta in atto di appello, limitandosi ad emanare una sentenza di comodo tutta basata sull’accertamento dei fatti….

5. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità parziale della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di condanna della B. alla restituzione della somma di Euro 3.518,65 con interessi e rivalutazione, pagata in esecuzione della sentenza di primo grado a titolo di rifusione delle spese di giudizio.

6. Con il terzo motivo la ricorrente infine eccepisce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità parziale della sentenza per violazione degli artt. 91 e 112 c.p.c., nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di condanna della B. al rimborso delle spese di C.T.U. di primo grado.

7. I motivi di ricorso sono fondati e devono essere pertanto accolti nei termini di seguito esposti.

In via preliminare con riferimento specifico al contenuto del ricorso per cassazione nell’ipotesi in cui venga eccepita la violazione dell’art. 112 c.p.c. (è indifferente se l’eccezione attenga ad un’ipotesi di omessa pronuncia ovvero ad caso di ultrapetizione), appare utile richiamare i principi consolidati di questa Corte, di recente espressi dalla sentenza: Sez. L, n. 15367 del 04/07/2014 (Rv. 631768), massimata nei seguenti termini: Affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio ” per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi” (massime precedenti Conformi: n.6361/2007, Rv. 596820).

Nel caso di specie si evidenzia da un lato che la ricorrente ha con puntualità riportato nei motivi di ricorso le domande formulate in primo grado (ove vi era la richiesta di condanna della convenuta al rilascio del magazzino) e poi con l’atto di appello (in cui in aggiunta vi era la domanda di condanna alla restituzione della somma di Euro 3.518,65 con interessi e rivalutazione, e la condanna a rifondere le spese di C.T.U. di primo grado), e da un altro lato che la Corte veneziana nulla ha statuito con riguardo alle diverse domande di condanna richieste dall’appellante, limitando la propria decisione all’accertamento del diritto di proprietà dell’immobile conteso.

Vi è perciò una totale omissione di pronuncia con riguardo alla domanda di condannare la B. al rilascio in favore dell’attrice/appellante del bene da ella abusivamente occupato, che appare del tutto consequenziale all’affermazione del diritto di proprietà esclusivo in capo alla D., in assenza di ragioni ostative al rilascio non ricavabili dalla motivazione stessa.

Con riguardo alle spese processuali la sentenza impugnata si è limitata a stabilire che le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza, dimenticando di provvedere in ordine alla somma di Euro 3.518,65 con interessi e rivalutazione, già pagata dall’attrice alla convenuta dopo la sentenza di primo grado a titolo di rifusione delle spese di giudizio. Quanto invece alle spese di C.T.U., nella sola motivazione i giudici di secondo grado affermano che esse cedono a carico dell’appellata in ragione della soccombenza”, omettendo però di pronunciare la conseguente condanna nel dispositivo.

Gli errores in procedendo evidenziati comportano perciò la nullità parziale della sentenza impugnata, nei limiti di cui sopra.

Quanto alla richiesta che la Corte di Cassazione decida ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, si richiamano i principi espressi dalla sentenza Sez. 5, 30/05/2012, n. 8622, Rv. 622784, massimata nei seguenti termini: E’ consentito alla Corte di cassazione decidere nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, una questione di diritto che non richieda nuovi accertamenti di fatto, anche quando essa – ritualmente prospettata sia in primo che in secondo grado – sia stata totalmente ignorata dai giudici di merito. In tale eventualità, infatti, non solo non vi è stata alcuna limitazione al contraddittorio ed al diritto di difesa, ma la perdita per le parti di un grado di merito è compensata dalla realizzazione del principio costituzionale di speditezza, di cui all’art. 111 Cost.”

(Conformi: Sez. 1, Sent. n. 28663 del 27/12/2013, Rv. 629571; nonchè n. 5139/2011, Rv. 616450).

Nel caso di specie si ritiene che ricorrano i presupposti sopra indicati, e pertanto questa Corte annullando senza rinvio e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, condanna la resistente a rilasciare immediatamente l’immobile di cui è causa alla ricorrente, nonchè a restituirle la somma di Euro 3.518,65 con gli interessi legali a decorrere dalla data del pagamento – 26.5.2006 -, ed infine dispone che le spese della C.T.U. di primo grado sono definitivamente a carico di B.A..

8. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte resistente.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e, decidendo nel merito, condanna la B. al rilascio del magazzino in catasto (OMISSIS), alla restituzione di Euro 3518,65 con interessi dal 25.6.2006, pone le spese di ctu definitivamente a carico della B. che condanna anche alle spese del giudizio di legittimità in Euro 2700 di cui 2500 per compensi, oltre accessori.

Sentenza redatta con la collaborazione dell’assistente di studio dott. M.G..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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