Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16048 del 21/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/07/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 21/07/2011), n.16048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 16998/2009 proposto da:

SCARNATO SRL (OMISSIS), in persona del suo legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FARAONE Vittorio,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 127/2009 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di POTENZA del 23/03/09, depositata il 09/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ETTORE CIRILLO;

è presente il P.G. in persona del Dott. RAFFAELE CENICCOLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

ritenuto che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione a sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Il 9 giugno 2009 la commissione tributaria regionale di Potenza ha rigettato l’appello della Scarnato s.r.l. nei confronti dell’agenzia delle entrate, confermando l’avviso di accertamento per maggior imponibile IRPEG/IRAP e maggiore IVA, relativamente all’esercizio 1993. La soc. contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi contenenti tutti censure sia per violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) sia per vizi motivazionali (art. 360 c.p.c., n. 5); l’amministrazione si è costituita con controricorso.

E’ del tutto preliminare il rilievo che il ricorso per cassazione è irrimediabilmente viziato dall’assoluta inosservanza dell’abrogato art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, per le sentenze pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del detto D.Lgs.), nella parte in cui prevedeva che, nei casi previsti dall’art. 360, n. 3, “l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”. Nel ricorso in esame, non solo manca del tutto la prescritta formulazione conclusiva, ma manca persino graficamente qualsivoglia riferimento ad un quesito di diritto vero e proprio. E’, infatti, inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi non sia accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte (Cass. Sez. U., Sentenza n. 7258 del 26/03/2007). Nè il quesito di diritto può essere desunto dal contenuto del motivo, poichè, in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 20409 del 24/07/2008).

Inoltre, le altre censure trascurano che, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere accompagnato da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; il motivo, cioè, deve contenere – a pena d’inammissibilità un’indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cassazione civile sez. un., 20 maggio 2010, n. 12339 – Guida al diritto 2010, 29, 58). Nulla di tutto ciò è leggibile nel caso di specie.

Infine, quanto alla normativa applicabile al ricorso in esame, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto del comma quinto della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti antecedentemente (dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006) tale norma è da ritenersi ancora applicabile (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 7119 del 24/03/2010). Sul punto è stato escluso ogni dubbio di legittimità costituzionale del cit. art. 58, comma 5, per contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto rientra nella discrezionalità del legislatore disciplinare nel tempo l’applicabilità delle disposizioni processuali e non appare irragionevole il mantenimento della pregressa disciplina per i ricorsi per cassazione promossi avverso provvedimenti pubblicati prima dell’entrata in vigore della novella (Cass. Sez. L, n. 26364 del 16/12/2009).

Conseguentemente il ricorso può essere deciso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1″.

Rilevato che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite; osservato che la ricorrente ha depositato memoria e che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi della manifesta inammissibilità del ricorso, per tutte le ragioni sopra indicate nella relazione;

considerato che da ciò consegue, oltre alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, anche la condanna della ricorrente al pagamento delle spese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 3000 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2011

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