Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16047 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. II, 28/07/2020, (ud. 13/06/2019, dep. 28/07/2020), n.16047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4192/2018 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. PAULUCCI DE’

CALBOLI 9, presso lo studio dell’avvocato ALDO SANDULLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO BOVINA;

– ricorrente e c/ricorrente incindetale –

contro

ORDINE PROVINCIALE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI DI BOLOGNA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DONATELLO, 23, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO VILLA PIZZI, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALBERTO SANTOLI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

PROCURA REPUBBLICA PRESSO TRIBUNALE BOLOGNA, MINISTERO SALUTE;

– intimati –

avverso la decisione n. 77/2017 della COMM. CENTR. ESERC. PROFESSIONI

SANITARIE di ROMA, depositata il 28/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, assorbito il ricorso incidentale;

udito l’Avvocato SANDULLI Aldo, difensore del ricorrente che si

riporta agli atti;

udito l’Avvocato VILLA PIZZI Francesco con delega orale dell’Avvocato

SANTOLI Alberto, difensore del resistente che si riporta agli atti.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – L’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Bologna, con Delib. 18 marzo 2016, irrogò la sanzione amministrativa della sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi nei confronti del Dottor P.C., dirigente medico del Servizio di emergenza-urgenza della ASL di Bologna, che aveva partecipato nel 2006 alla redazione ed all’applicazione di protocolli e linee guida sull’impiego del personale infermieristico specializzato nell’assistenza sanitaria in emergenza (ambulanza 118). Secondo l’organo disciplinare, le istruzioni operative contenute in detti protocolli, denominate “Procedura UOC 118 Bologna “Gestione infermieristica del dolore toracico””, “Istruzione operativa UOC 118 “Gestione infermieristica dei pazienti con intossicazione acuta da oppiacei”” e “Istruzione operativa UOC 118 “Gestione Primo Soccorso Sanitario Aeroportuale – Aeroporto Marconi di Bologna””, sostanziavano vere e proprie deleghe di atti di stretta pertinenza medica, ed eludevano i limiti posti dalla legge e dal codice deontologico per demarcare la linea di confine dell’autonomia delle professioni sanitarie. Ciò in quanto la deontologia medica riserva alla diretta responsabilità del medico la diagnosi, prescrizione e somministrazione farmacologica, funzioni non delegabili al personale infermieristico e che, comunque, vanno effettuate sotto il diretto controllo del medico. Inoltre l’Ordine ritenne tali atti contrastanti con il dovere di garanzia della sicurezza delle procedure a tutela del paziente, soprattutto in relazione agli aspetti valutativi.

Le violazioni contestate riguardavano diverse disposizioni del codice deontologico del 2006, vigente all’epoca, e cioè l’art. 13, comma 1, in materia di prescrizione e trattamento terapeutico, art. 14, comma 1, in materia di sicurezza del paziente e prevenzione del rischio clinico, nonchè alcune disposizioni del codice deontologico del 2014, e cioè l’art. 3, commi 3 e 4, in materia di doveri e competenze dei medici, art. 13, commi 1, 4 e 5, in materia di prescrizione ai fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, art. 14, comma 1, in materia di prevenzione e gestione di eventi avversi e sicurezza delle cure.

2.-La sanzione fu annullata dalla Commissione Medica Centrale, che confermò la sussistenza della potestà disciplinare in materia, contestata dal ricorrente, secondo il quale, sul piano oggettivo, la censurabilità della condotta in termini deontologici non poteva estendersi ai comportamenti riferibili esclusivamente allo svolgimento delle funzioni dirigenziali nell’esercizio di poteri attinenti al rapporto di impiego con l’istituzione pubblica. Al riguardo la Commissione osservò che, a norma dell’art. 68 del codice di deontologia, il medico operante nelle strutture sanitarie pubbliche e private è soggetto alla potestà disciplinare dell’Ordine indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, in quanto l’appartenenza all’Ordine stesso, che si consegue per effetto della iscrizione all’Albo professionale, determina l’accettazione da parte dell’iscritto della disciplina e del conseguente esercizio del potere disciplinare.

La decisione richiamò la giurisprudenza di legittimità secondo la quale la competenza dell’Ordine ad irrogare sanzioni disciplinari non viene meno nei confronti del professionista che, regolarmente iscritto all’Albo, sia dipendente della p.a.

La Commissione escluse poi la pregiudizialità del rimedio giurisdizionale avverso il provvedimento amministrativo adottato dalla ASL il 17 ottobre 2007 per rendere operativo l’atto di organizzazione in questione, nella specie non promosso, rispetto alla iniziativa disciplinare, stante la indipendenza strutturale e teleologica dei due procedimenti, e giudicò fondati gli addebiti quanto alla illiceità dei protocolli ed alla contrarietà degli stessi alla deontologia medica, ritenendo però prescritti gli addebiti, rilevando che la condotta attribuita all’incolpato, consistendo nella fattiva partecipazione alla elaborazione delle linee guida ed ai protocolli operativi per gli interventi di emergenza ed urgenza, si inquadra nella fattispecie dell’atto istantaneo con effetti permanenti.

Ciò posto, essendo state le istruzioni operative approvate nel 2007, mentre l’apertura del procedimento disciplinare era intervenuta nel 2015, era decorso il termine quinquennale di prescrizione stabilito dal D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51.

3.-Per la cassazione di tale decisione ricorre il Dott. P.C., affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso l’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Bologna, che ha proposto ricorso incidentale cui il sanitario resiste con controricorso. Nell’imminenza della udienza le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso principale si deduce “violazione del D.Lgs. n. 223 del 1946, artt. 3 e 10 (recte: n. 233), D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 2 e 3, D.P.R. n. 221 del 1950, art. 38 e dei principi in ordine all’estensione oggettiva del potere disciplinare ordinistico, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – error in iudicando. Erroneità della sentenza per non aver rilevato la carenza assoluta di potestà disciplinare, l’usurpazione e lo sviamento di potere in capo all’Ordine e la conseguente nullità del provvedimento disciplinare impugnato”. Secondo il ricorrente, se è vero che, da un punto di vista soggettivo, il rapporto di dipendenza del medico con l’Azienda sanitaria non esclude ex se la potestà disciplinare dell’Ordine, tuttavia, sul piano oggettivo, tale potestà si estende alle sole condotte che violino la correttezza ed il decoro professionale, non potendo ricomprendere le mancanze attribuibili al medico nell’espletamento di mansioni amministrative, o ricollegabili all’esercizio di attività di dirigente pubblico di una struttura sanitaria, competendo l’accertamento della responsabilità dirigenziale del sanitario all’Azienda. Nel ricorso si ipotizza inoltre l’usurpazione e lo sviamento di potere da parte dell’Ordine, che avrebbe utilizzato lo strumento disciplinare in modo distorto, al fine di opporsi a scelte amministrative, anzichè agire in via giurisdizionale per l’annullamento dei protocolli che riteneva illegittimi o in via amministrativa segnalando la questione alla Regione o al Ministero della Salute.

2.- La doglianza è fondata.

2.1.- Gli Ordini delle professioni sanitarie sono investiti di funzioni di interesse pubblico dal D.Lgs.C.P.S. 13 Settembre 1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse), come modificato dalla L. n. 3 del 2018, art. 4. Fra tali funzioni, a tutela di interessi generali della collettività, garantiti dall’ordinamento e connessi all’esercizio professionale, vi è quella di vigilare “sugli iscritti agli albi, in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività professionale, compresa quella societaria, irrogando sanzioni disciplinari” (D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, art. 1, comma 3, lett. l, come successivamente modificato dalla L. 11 gennaio 2018, n. 3, art. 4, comma 1).

L’Ordine è chiamato, in questa prospettiva, a promuovere e assicurare “l’indipendenza, l’autonomia e la responsabilità delle professioni e dell’esercizio professionale, la qualità tecnico-professionale, la valorizzazione della funzione sociale, la salvaguardia dei diritti umani e dei principi etici dell’esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici, al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva” (D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, art. 1, comma 3, lett. c, come successivamente modificato). All’Ordine è attribuito un potere disciplinare, esercitato, in particolare, dalla Commissione di albo (D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, art. 3, comma 2, lett. c, come successivamente modificato).

Tale potere, così configurato nelle sue finalità, è volto ad assicurare il rispetto delle regole deontologiche che governano il corretto esercizio della professione. Il legislatore ha inteso, in tal modo, delimitare un potere sanzionatorio che, se non ristretto entro confini ben precisi, potrebbe irragionevolmente invadere la sfera dei diritti dei singoli destinatari delle sanzioni (Corte Cost., sent. n. 259 del 2019). Esso può dunque essere legittimamente esercitato solo “tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro”, nonchè “secondo una graduazione correlata alla volontarietà della condotta, alla gravità e alla reiterazione dell’illecito” (ancora art. 1, comma 3, lett. l, già citato).

Il potere disciplinare nasce, quindi, limitato dal necessario rispetto delle garanzie degli iscritti, ma anche dalla natura dei codici deontologici, definiti dalla Commissione Centrale per gli esercenti le Professioni Sanitarie CCEPS organo di giurisdizione speciale chiamato, ai sensi del D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, art. 3, comma 4, a pronunciarsi sui ricorsi promossi avverso i provvedimenti disciplinari adottati dalla Commissione di albo – atti di soft law vincolanti nei termini e nei limiti indicati dalla legge (decisione 7 luglio 2017, n. 80).

2.2.- In tale prospettiva, il D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, art. 10, nel disporre, al comma 1, che i sanitari che siano impiegati in una pubblica amministrazione ed ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, non sia vietato l’esercizio della libera professione, possono essere iscritti all’albo, aggiunge, al comma 2, che “essi sono soggetti alla disciplina dell’Ordine o Collegio, limitatamente all’esercizio della libera professione”. E il D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 38 (Approvazione del regolamento per la esecuzione del D.Lgs. 13 settembre 1946, n. 233, sulla ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse) delimita a sua volta l’ambito di operatività del potere disciplinare, disponendo che esso possa essere esercitato nei soli confronti dei “sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o, comunque, di fatti disdicevoli al decoro professionale”.

La giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di pronunciarsi sul tema della latitudine del potere disciplinare nei confronti dei professionisti, affermandone la estensione, oltre che alla professione espletata secondo un modello organizzativo autonomo, anche con riguardo a violazioni di norme deontologiche inerenti l’esercizio di attività legata allo status del professionista e svolta nell’ambito del rapporto di lavoro, privato o pubblico (Cass. 23 luglio 1993, n. 8329; Cass. 18 maggio 2000, n. 6469; Cass. 23 gennaio 2002, n. 747; Cass. 29 maggio 2003, n. 8639).

Con specifico riferimento alle professioni sanitarie, questa Corte ha sottolineato che il richiamato del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 38, considera illeciti disciplinari i comportamenti tenuti dagli iscritti anche se nello svolgimento di attività diverse dall’esercizio della professione, quante volte il comportamento sia suscettibile di essere considerato di pregiudizio per il decoro della professione (Cass. 19 agosto 2011, n. 17418).

Tale precisazione ha avuto il senso di chiarire che gli appartenenti a categorie professionali, al pari degli esercenti funzioni costituzionali, sono soggetti a sanzioni disciplinari sia per condotte c.d. funzionali, che per fatti extrafunzionali, sempre che le une e gli altri siano idonei a incidere sulla connotazione deontologica della categoria di riferimento.

La stessa giurisprudenza di legittimità ha peraltro nitidamente affermato che, seppure il D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1944, art. 10, non esclude che l’Ordine professionale possa sanzionare comportamenti tenuti al di fuori dello stretto esercizio della libera professione, esso intende, sia pure con formula non perspicua, che il potere disciplinare non può incidere sul rapporto di impiego con la P.A. o con altro privato (Cass. 31 maggio 2006, n. 13004). Ed ha poi ulteriormente chiarito che se l’organo disciplinare ha la funzione di valutare il comportamento del sanitario sotto l’aspetto deontologico, che ben può venire in rilievo pur se si inserisca nell’ambito di un’attività, sua o di altri, legittima sotto il profilo amministrativo, esso tuttavia non può sindacare l’attività amministrativa dell’ente pubblico (Cass. 3 marzo 2011, n. 5118), con il quale, con la nomina di un soggetto quale dirigente, si genera un rapporto di immedesimazione organica, con conseguente imputazione all’ente dell’azione del dirigente medesimo.

La CCEPS, alla luce del quadro normativo sopra illustrato, ha ritenuto che sia sottratto al potere disciplinare dell’Ordine il comportamento del medico riconducibile all’ambito dell’esercizio di mansioni o funzioni pubbliche e non riferibile ad attività svolte nell’interesse personale del professionista (decisione n. 16 dell’8 giugno 1991), nè all’attività professionale in genere (decisione n. 41 del 21 febbraio 2000).

Risulta pertanto evidente che, nel caso in esame, l’Ordine dei medici ha agito in carenza di potere, poichè ha sottoposto a procedimento disciplinare e sanzionato un proprio iscritto per atti compiuti da quest’ultimo non nell’esercizio della professione di medico, ma nell’esercizio di una funzione pubblica, compiendo atti non ricompresi fra quelli sottoposti al potere sanzionatorio dell’Ordine.

2.3.- Tra l’altro, con la irrogazione della sanzione in esame, l’Ordine, e quindi, la CCEPS ha finito per sovrapporsi, contestandola, all’azione amministrativa della Asl di Bologna estrinsecatasi nella predisposizione dei protocolli sull’impiego del personale infermieristico.

A tale riguardo non è superfluo sottolineare che, con la Delib. n. 508 del 2016, proposta dall’assessore alle politiche per la salute, la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna, nell’esercizio della propria ampia competenza amministrativa in materia di “tutela della salute”, fondata sull’art. 117 Cost., comma 3 e art. 118 Cost., aveva autorizzato l’impiego di personale infermieristico specializzato nell’assistenza sanitaria in emergenza (ambulanza 118), proprio in conformità ai protocolli operativi oggetto del procedimento disciplinare all’odierno esame, predisposti dal personale medico, in attuazione di quanto stabilito dal D.P.R. 27 marzo 1992, art. 10 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza) e dall’intesa in Conferenza Stato-Regioni dell’11 aprile 1996 (Atto di intesa tra Stato e regioni di approvazione delle linee guida sul sistema di emergenza sanitaria in applicazione del D.P.R. 27 marzo 1992).

A seguito dell’approvazione di tale Delib., era stato promosso un procedimento disciplinare nei confronti dell’assessore alle politiche per la salute della Regione, che svolgeva la professione sanitaria, definito con la irrogazione nei confronti dello stesso della sanzione della radiazione dall’Albo.

La Regione Emilia-Romagna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in riferimento a tale pronuncia, ritenendo che essa rappresentasse un’interferenza, priva di qualsiasi base legislativa, nelle determinazioni inerenti alla sfera di autonomia costituzionalmente attribuita alla Regione in materia di “tutela della salute” e, in particolare, nell’esercizio delle specifiche funzioni regionali di organizzazione del servizio sanitario e dei servizi di emergenza, in violazione dell’art. 117 Cost., commi 3, 4 e comma 6, art. 118 Cost., comma 1, artt. 121 e 123 Cost., nonchè della L.R. 31 marzo 2005, n. 13, art. 46 (Statuto della Regione Emilia-Romagna), anche in relazione al riparto di competenze delineato dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 2 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 1), e del D.P.R. 31 marzo 1998, n. 112, artt. 112, 114 e 115 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59).

La Corte costituzionale, con la richiamata sentenza n. 259 del 2019, ha annullato l’atto impugnato, ritenuto invasivo delle attribuzioni della Regione, proprio sulla base del rilievo che l’Ordine dei medici aveva sottoposto a procedimento disciplinare e sanzionato un proprio iscritto per atti compiuti da quest’ultimo non nell’esercizio della professione di medico, ma nell’esercizio di una funzione pubblica, in qualità di assessore regionale. Tali atti, ascrivibili a un munus pubblico, non rientrano dunque, secondo il giudice delle leggi, fra quelli sottoposti al potere sanzionatorio dell’Ordine, che ha interferito illegittimamente con l’esercizio delle prerogative dell’assessore – tra le quali rientra la facoltà di proporre e di concorrere a formare e deliberare gli atti dell’organo collegiale di appartenenza – e, attraverso tale comportamento, con le attribuzioni costituzionali della Regione in materia di organizzazione sanitaria con conseguente menomazione delle stesse.

3. – Resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale l’esame del secondo, con il quale si denuncia “violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 38 e degli artt. 33 e 117 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Error in iudicando. Erroneità della sentenza per aver ammesso l’esistenza di una nozione di “atto medico” rilevante sul piano deontologico distinta dalla relativa nozione legale”; del terzo, relativo alla presunta “violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – Error in procedendo. Erroneità e/o nullità della decisione impugnata per carenza assoluta di motivazione in ordine al capo di accertamento dell’illegittimità dei protocolli di impiego avanzato del personale infermieristico redatti dal ricorrente”; del quarto, che contesta la “violazione della L. n. 42 del 1999, art. 1; L. n. 251 del 2000, art. 1; art. 32, par. 7, dir. 36/2005/UE; L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 566; D.P.R. 27 marzo 1992, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Error in iudicando. Erroneità della sentenza per aver ritenuto sussistente la violazione del sistema delle riserve professionali nei protocolli di impiego avanzato del personale infermieristico oggetto di incolpazione”.

4.- Resta parimenti assorbito dall’accoglimento del ricorso principale quello incidentale, con il quale l’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Bologna deduce la mancata decorrenza del termine di prescrizione dell’azione disciplinare.

5. – In definitiva, deve essere accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri ed il ricorso incidentale. La decisione impugnata deve essere cassata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito annullando la sanzione disciplinare irrogata al ricorrente principale. Si ritiene equo compensare le spese del giudizio, avuto riguardo alla peculiarità della questione ed alla natura degli interessi coinvolti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri ed il ricorso incidentale. Cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, annulla la sanzione disciplinare irrogata al ricorrente. Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

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