Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16044 del 21/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/07/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 21/07/2011), n.16044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20144/2009 proposto da:

P.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GIUSEPPE PISANELLI 40, presso lo studio dell’avvocato BISCOTTO

Bruno, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARANI

MARCELLO, GAMBERINI GRAZIA, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 64/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di BOLOGNA del 4/07/08, depositata il 03/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO PARMEGGIANI; è

presente il P.G. in persona del Dott. PIETRO GAETA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Nella causa indicata in premessa è stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al P.M. e notificata agli avvocati delle parti costituite:

” P.C. propone ricorso per cassazione, con tre motivi, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Emilia Romagna n. 64 in data 4 luglio 2008, depositata il 3 ottobre 2008, la quale, in riforma della sentenza della CTP di Bologna che aveva accolto il ricorso del P. avverso l’avviso di accertamento per IRPEF-tassazione separata per l’anno 1998, – emesso ai sensi dell’art. 81 TUIR nella formulazione vigente “ratione temporis” quale plusvalenza in relazione ad una compravendita, effettuata nel 1998, di un terreno che all’epoca della stipulazione era compreso in una variante deliberata dal Comune di Zola Predosa come zona edificabile, ma non ancora approvata (la approvazione della Regione perveniva in data successiva all’atto) dichiarato dal contribuente come terreno agricolo e ritenuto dall’Ufficio come area edificabile – accoglieva il gravame e dichiarava legittimo l’operato dell’Ufficio.

La Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Con il primo motivo il P. deduce violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67 (già 81) comma 1, lett. b), nonchè vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Sostiene che la asserzione della Commissione, secondo cui il terreno compravenduto, inserito in una zona di espansione edilizia con strumento urbanistico legittimamente adottato dal Consiglio Comunale, era da considerarsi come edificabile ai fini fiscali anche in mancanza di approvazione da parte della Regione e quindi tuttora carente di possibilità edificatoria, era in contrasto con la formulazione dell’art. 67, già art. 81, cit. T.U.I.R., prima della entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, art. 36 comma 2, il quale richiedeva a tal fine che i terreni fossero “suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.

Assume che il termine “vigente” richiede che il piano urbanistico sia non solo adottato, ma anche efficace.

Con il secondo motivo sostiene violazione del citato D.L. n. 223 del 2006, art. 36, convertito, con modificazioni nella L. 4 agosto 2006, n. 248, nonchè vizio di motivazione, in quanto la disposizione citata mira ad avviso del ricorrente, ad unificare la nozione di area edificabile con riferimento a tutte le imposte,ivi compresa quelle sui redditi, e pertanto non può avere carattere retroattivo. Tale efficacia contrasterebbe con il principio emergente dalla L. n. 212 del 2000, artt. 2 e 3, oltre che con l’art. 11 preleggi. In ogni caso non potrebbe nella fattispecie considerarsi di natura interpretativa perchè la nozione di area edificabile indicata nel cit. art. 36 è diversa da quella indicata nell’art 67 già art. 81 T.U.I.R., ed incompatibile con essa. Per tale denegata ipotesi solleva questione di legittimità costituzionale.

Con il terzo motivo sostiene nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., a seguito di omessa pronuncia circa un punto decisivo della controversia, non avendo il giudice appello pronunciato sulla istanza svolta dal contribuente in via subordinata nelle controdeduzioni al gravame, di dichiarare inapplicabili le sanzioni per la obiettiva incertezza normativa relativa tanto all’ambito di applicazione della norma che ai soggetti destinatari della disposizione.

I primi due motivi, strettamente tra loro connessi, possono avere trattazione congiunta.

Gli stessi appaiono palesemente infondati, alla stregua delle argomentazioni che seguono: 1) come espressamente previsto nella disposizione di legge in oggetto, la norma di cui all’art. 36, comma 2, D.L. cit. di natura dichiaratamente intepretativa, si applica anche alle ipotesi previste dal T.U.I.R., tra cui rientra quella in questione.

Sul punto può essere citata la sent. n. 25506 del 2006 della Sezioni Unite di questa Corte, che, pure se in tema di ICI, nelle premesse testualmente afferma: “L’art. 36, comma 2, citato, fornisce una condivisibile chiave interpretativa che, per espressa volontà del legislatore, deve essere utilizzata nell’applicazione delle disposizioni relative all’Iva (D.P.R. n. 633 del 1972), al T.U.I.R. (D.P.R. n. 917 del 1986), all’ICI (D.Lgs. n. 504 del 1992) e all’imposta di registro (D.Lgs. n. 131 del 1986). La novella non fornisce un nuovo criterio di valutazione, ma si limita a chiarire che il beneficio della tassazione su base catastale, prevista per i terreni agricoli, non compete quando si tratti di suoli la cui vocazione edificatoria sia stata formalizzata in uno strumento urbanistico, ancorchè non operativo. E di comune esperienza, infatti, che tale circostanza è sufficiente a far lievitare il valore venale del suolo, secondo le leggi di mercato”. Appare evidente che la “ratio” è identica per tutte le imposte citate, in quanto tutte hanno come presupposto un particolare valore del terreno in dipendenza della attribuzione della qualifica di edificabilità.

2) la natura interpretativa della norma, e conseguentemente la applicabilità della stessa a tutti i rapporti non ancora definiti, con esclusione di un carattere retroattivo proprio della norma in questione, è stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale nella ordinanza n. 41 del 2008, in cui il Giudice delle leggi, occupandosi dell’eccepito contrasto con la L. n. 212 del 2000, afferma “che a tale conclusione (di legittimità della valenza interpretativa della legge in oggetto, ndr) non osta il disposto della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti dei contribuenti), secondo cui “L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”; che la disposizione denunciata, infatti, in quanto dotata della stessa forza della L. n. 212 del 2000 (che non ha valore superiore a quello della L. ordinaria, come sottolineato da questa Corte con le ordinanze n. 180 del 2007, n. 428 del 2006 e n. 216 del 2004), è idonea ad abrogare implicitamente quest’ultima e, conseguentemente, ad introdurre nell’ordinamento una valida norma di interpretazione autentica, ancorchè priva di una espressa autoqualificazione in tal senso”;

3) la argomentazione del ricorrente, secondo cui la norma non può avere carattere interpretativo perchè attribuirebbe alla disposizione interpretata un significato incompatibile con la formulazione letterale, non pare condivisibile: il termine “vigente” in sè significa solo “esistente e valido” secondo la normativa che presiede alla emanazione dell’atto e non comprende necessariamente la nozione di efficacia, che può dipendere da fatti o atti ulteriori ed indipendenti dalla giuridica esistenza dell’atto considerato; per cui il significato attribuitogli dalla norma di interpretazione autentica era già astrattamente contenuto nella disposizione in oggetto e non è con la stessa incompatibile.

La eccezione di incostituzionalità sollevata dal contribuente appare palesemente infondata, alla luce della argomentazioni svolte nella citata ordinanza della Corte Costituzionale.

Il terzo motivo pare inammissibile per carenza di autosufficienza. Il ricorrente ha infatti omesso di depositare e di riprodurre testualmente in ricorso la controdeduzioni in appello nella parte in cui svolgeva la istanza subordinata, privando la Corte della possibilità di valutare la fondatezza della asserzione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che nessuna argomentazione nuova si rinviene nella memoria depositata dalla ricorrente; che, pertanto, riaffermati i principi sopra richiamati, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese a favore della Agenzia, che liquida in complessivi Euro L. 3.500,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2011

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