Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16040 del 21/07/2011

Cassazione civile sez. I, 21/07/2011, (ud. 23/05/2011, dep. 21/07/2011), n.16040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20783/2009 proposto da:

M.F. (c.f. (OMISSIS)), V.L. (c.f.

(OMISSIS)), domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato FIERRO Francesco, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

P.R., PE.LI., CURATELA DEL FALLIMENTO DI

C.T.;

– intimati –

nonchè da:

P.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEGLI AVIGNONESI 5, presso lo STUDIO LEGALE

ABBAMONTE – SOPRANO, rappresentato e difeso dall’avvocato ALLAMPRESE

LAURA SOFIA, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.F., V.L., domiciliati in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato FIERRO FRANCESCO, giusta procura

a margine del controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

PE.LI., CURATELA DEL FALLIMENTO DI C.T.;

– intimati –

nonchè da:

PE.LI. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE MAZZINI 41, presso l’avvocato INSABATO FRANCESCO

SAVERIO, rappresentato e difeso da se medesimo unitamente

all’avvocato CAPRIOLI RAFFAELE, giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

P.R., M.F., CURATELA DEL FALLIMENTO DI

C.T., V.L.;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 27/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale Pe.,

l’Avvocato VINCENZO POLISI, per delega, che ha chiesto il rigetto del

ricorso principale, accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.F. e V.L., nella loro qualità di assuntori del concordato del fallimento C. (n. (OMISSIS)), hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi avverso il decreto emesso dal Tribunale di Napoli in data 15-27.7.09 che aveva parzialmente accolto il reclamo dai medesimi proposto L. Fall., ex art. 26, avverso i provvedimenti del giudice delegato, che aveva liquidato compensi in favore del CTU P.R. e dell’avv.to Pe.Li. per l’attività svolta in favore del fallimento, provvedendo alla riliquidazione dei compensi stessi in senso riduttivo. Il tribunale aveva, invece dichiarato inammissibile il reclamo per inosservanza dei termini di cui all’art. 327 c.p.c., relativamente ai provvedimenti di nomina dei predetti professionisti nonchè alla prima liquidazione di compensi operata dal giudice delegato in favore del CTU P..

Il P. ed il Pe. hanno resistito con separati controricorsi ed entrambi hanno proposto ricorsi incidentali cui resistono con controricorso il M. e la V..

Il fallimento intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo, il secondo ed il quinto motivo di ricorso i ricorrenti contestano il decreto impugnato laddove lo stesso ha ritenuto inammissibile per tardività (inosservanza dell’art. 327 c.p.c.) il loro reclamo avverso i provvedimenti di nomina dell’arch. P. e dell’avv.to Pe. nonchè la prima liquidazione di compensi all’arch. P..

Con il terzo ed il quarto motivo contestano la liquidazione effettuata dal decreto impugnato dei compensi dell’arch. P. mentre, con il sesto motivo avanzano il medesimo tipo di doglianza relativamente ai compensi dell’avv.to Pe..

Con il settimo motivo criticano il comportamento degli organi fallimentari.

Con il primo motivo di ricorso incidentale il P. deduce l’inammissibilità del reclamo proposto dai ricorrenti principali perchè ormai ,a seguito della omologazione del concordato, gli organi fallimentari erano venuti meno.

Con il secondo motivo deduce la tardività del reclamo avverso i provvedimenti di liquidazione per violazione del termine di dieci giorni a decorrere dall’approvazione del rendiconto.

Con il terzo motivo censura il provvedimento impugnato in ordine alla riduzione dei compensi: in particolare, contesta l’avvenuta liquidazione sulla base delle sole vacazioni e non anche degli onorari.

Con il quarto motivo censura la liquidazione delle spese.

Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Pe. sostiene anch’egli l’inammissibilità del reclamo per il medesimo motivo di quello di cui al ricorso incidentale del P..

Con i restanti tre motivi censura la riduzione dei compensi operata dal tribunale. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Venendo all’esame del ricorso principale, il primo, il secondo ed il quinto motivo possono essere trattati congiuntamente proponendo essi, sotto diversi profili, la medesima questione.

I ricorrenti sostengono che il termine annuale per l’impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c., non poteva ritenersi trascorso posto che il fascicolo fallimentare era stato secretato onde essi non avevano avuto la possibilità di accedervi e di averne quindi conoscenza, con l’ulteriore conseguenza che i provvedimenti impugnati dovevano ritenersi depositati ma non pubblicati.

I motivi sono infondati.

Va premesso che nel caso di specie il giudice delegato, su richiesta del curatore, ha disposto con provvedimento del 29.11.07 la “secretazione” del fascicolo fallimentare”.

Invero tale provvedimento non ha comportato alcuna restrizione particolare all’accesso che non fosse già prevista dall’ordinamento.

La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato a tale proposito che il necessario contemperamento delle esigenze di riservatezza proprie della procedura concorsuale, le cui vicende sono documentate dal fascicolo fallimentare, con le esigenze difensive dei soggetti interessati alla consultazione degli atti inseriti in detto fascicolo, porta ad escludere che i creditori e i soggetti comunque coinvolti dallo svolgimento della procedura fallimentare abbiano il diritto di consultare liberamente il fascicolo in questione e a ritenere che la consultazione degli atti e dei documenti in esso inseriti è subordinata alla presentazione di una specifica istanza, la quale dev’essere formulata in modo da consentire l’identificazione dell’istante e degli atti che si intendono visionare, ed è sottoposta a preventiva verifica da parte del giudice delegato, le cui determinazioni sono soggette al controllo del tribunale in sede di reclamo ai sensi della L. Fall., art. 26 (Cass. 12890/98, Cass. 9171/87, Cass. 297/79).

Il provvedimento di “secretazione” in esame ha pertanto fatto corretta applicazione di principi ripetutamente affermati.

I ricorrenti per dimostrare un loro pregiudizio da siffatto provvedimento avrebbero dovuto dedurre e documentare che di esso si era fatta una anomala ed illegittima attuazione tramite ingiustificati rifiuti o richieste di adempimenti non previsti, ma nulla di tutto ciò è stato prospettato. Non essendo a tal fine sufficienti le istanze di accesso depositate a partire da quella del 24.9.08, che risultano, comunque,presentate quando ormai il termine ex art. 327 c.p.c., era ormai trascorso per l’impugnazione dei provvedimento per i quali il Tribunale ha dichiarato inammissibile il reclamo.

Consegue che nessun effettivo impedimento alla consultazione del fascicolo può essere validamente dedotto.

E’ appena il caso di aggiungere che la tesi secondo cui al deposito dei provvedimenti non sia, di fatto, seguita la loro pubblicazione è priva di ogni fondamento, posto che il deposito ha comunque avuto l’effetto della pubblicazione del provvedimento per le parti interessate e quindi detto effetto deve ritenersi avvenuto in assoluto per tutti, non essendo possibile ipotizzare una pubblicazione intervenuta solo per alcuni soggetti e per altri no.

Venendo all’esame del terzo e del quarto motivo del ricorso principale, con cui si censura la liquidazione delle competenze dell’arch. P., gli stessi sono inammissibili.

Va osservato che in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 cod. proc. civ., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (Cass. 28457/09 sez. un.).

Le sezioni unite di questa Corte hanno ulteriormente specificato che le condizioni di cui sopra devono ritenersi, in particolare, soddisfatte: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento (Cass. sez. un. 7161/10).

Nel caso di specie tali condizioni non risultano rispettate.

I ricorrenti incentrano le proprie doglianze sui provvedimenti di liquidazione del 3.11.07 e del 30.11.07 relativi ai compensi all’arch. P. nonchè sulle richieste di CTU del 16.4.07 e del 30.5.07.

Di tali atti, il cui contenuto non è riportato nel ricorso, non viene in alcun modo riferito dove essi siano allocati nei fascicoli della fase di merito nè come essi siano reperibili.

Risulta quindi non adempiuto il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, con conseguente inammissibilità dei motivi.

E’ appena il caso di aggiungere che, non essendo stato riportato nel ricorso il contenuto dei provvedimenti impugnati e non essendo state fornite indicazioni su dove rinvenire i detti documenti tra gli atti della fase di merito, questa Corte, cui è inibito l’accesso agli atti della fase di merito se non nei limiti e nel rispetto della sovraindicata normativa, non è nella condizione di effettuare alcuna valutazione in ordine alle doglianze avanzate dai ricorrenti onde la censura anche sotto tale profilo non può trovare accesso in questa sede di legittimità.

Ad analoga conclusione deve pervenirsi in ordine al sesto motivo con cui si censura la liquidazione delle competenze in favore dell’avv.to Pe..

Anche in questo caso i ricorrenti, non riportano il contenuto del documento di liquidazione dell’11.7.08, nè indicano in alcun modo in quale fascicolo della fase di merito sia allocato e come esso sia rinvenibile.

La violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, rende dunque anche in questo caso inammissibile il motivo anche per la impossibilità per questa Corte – già dianzi rilevata – di prendere contezza dell’effettivo fondamento delle doglianze non potendo accedere alla visione dei provvedimenti contestati.

Il settimo motivo è inammissibile.

Lo stesso contiene in realtà una serie di critiche e di argomentazioni sulla gestione della procedura concorsuale da parte degli organi del fallimento, ma non investe con alcuna critica diretta il decreto impugnato e la sua motivazione.

Lo stesso, non cogliendo alcuna ratio decidendi della sentenza risulta, quindi, del tutto inconferente e, come tale, non scrutinabile in questa sede di legittimità.

Venendo ora all’esame del ricorso incidentale del P., il primo motivo di esso può essere esaminato congiuntamente al primo motivo del ricorso incidentale del Pe. contenendo gli stessi la medesima contestazione.

Entrambi i motivi sono infondati.

Il Tribunale ha osservato che la intervenuta chiusura del fallimento per effetto del passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato fallimentare non aveva determinato l’inammissibilità del reclamo L. Fall., ex art. 26, poichè doveva ritenersi sussistere l’ultrattività degli organi fallimentari al fine di consentire agli attuali ricorrenti l’esercizio del diritto di difesa tramite l’impugnazione dei provvedimenti del giudice delegato nel termine non ancora decorso dell’art. 327 c.p.c..

Tale motivazione appare corretta.

Questa Corte ha già chiarito che l’omologazione del concordato fallimentare, ancorchè comporti l’assunzione dei relativi obblighi da parte di un terzo, non incide di per sè sul procedimento pendente nei confronti del fallimento, nè priva il curatore della legittimazione processuale, atteso che tale concordato, fino a che non sia interamente eseguito e salvo il caso in cui preveda l’immediata liberazione del debitore, non determina la decadenza degli organi fallimentari, i quali rimangono in carica (in relazione al perdurante interesse dei creditori alla conservazione del patrimonio del fallito) per il buon fine del concordato medesimo (o l’eventualità della sua risoluzione od annullamento), nè fa venir meno la competenza del tribunale fallimentare in ordine al giudizio di opposizione allo stato passivo, in applicazione del principio della perpetuatio iurisdictionis (Cass. 2578/77, Cass. 3052/83, Cass. 953/82, Cass. 2565/86, Cass. 27/8/1998, n. 8521; Cass. 04/04/1996).

Nel caso poi di concordato fallimentare con assuntore degli obblighi, ove non sia stato diversamente stabilito nella proposta di concordato, l’assuntore risponde alla pari del fallito di tutti i debiti, ivi compresi quelli non insinuati al passivo,per cui non può escludersi il suo interesse a coltivare le impugnazioni, nonostante la chiusura dei fallimento conseguente all’omologazione del concordato, in quanto, anche nel caso in cui la responsabilità dell’assuntore sia stata limitata ai soli crediti ammessi, l’esclusione dal passivo dei crediti impugnati comporta che egli non è più tenuto a soddisfarli (Cass. 28492/05). Tale principio trova applicazione sia nell’opposizione allo stato passivo L. Fall., ex art. 98, che nell’impugnazione dei crediti ammessi L. Fall., ex art. 100 (Cass. 28492/05).

Il principio qui esaminato si riferisce ai giudizi di opposizione allo stato passivo o di impugnazione di crediti ammessi pendenti al momento del passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato fallimentare.

Esso è tuttavia estensibile sotto il profilo logico-giuridico anche ai procedimenti di reclamo L. Fall., ex art. 26, pendenti innanzi al tribunale fallimentare al momento del passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato ove si verta su questioni relative a diritti ed obblighi suscettibili di gravare sull’assuntore nella fase concordataria.

Il caso in esame si riferisce alla peculiare fattispecie in cui vi sia un provvedimento del giudice delegato che liquida in favore di ausiliari del fallimento dei compensi suscettibili di pagamento in prededuzione per il quale, al momento della omologazione del concordato fallimentare, pendano ancora i termini per l’impugnazione con il reclamo L. Fall., ex art. 26.

Non è dubbio che il provvedimento del giudice delegato sia immediatamente esecutivo e che lo stesso imponga un obbligo di pagamento a carico della massa che con l’omologazione del concordato si trasferisce in capo all’assuntore.

Questi deve avere quindi la possibilità di contestare detto obbligo ove i termini per proporre impugnazione avverso il provvedimento del giudice delegato non siano ancora scaduti.

In tal caso deve ritenersi che, essendo gli organi fallimentari ancora in carica, sia pure ai limitati fini dianzi evidenziati, permanga la vis attractiva del tribunale fallimentare in ordine all’impugnazione avverso i provvedimenti del giudice delegato.

Questi ultimi infatti, costituiscono degli atti emananti nel corso di una procedura concorsuale a carattere giurisdizionale onde gli stessi, sopravvivendo in ipotesi come quella in esame alla chiusura del fallimento in quanto destinati ad esplicare i loro effetti anche nella procedura concordataria, sono suscettibili di essere sindacati solo tramite un procedimento di carattere impugnatorio che non può che svolgersi innanzi al tribunale fallimentare il quale rimane dunque competente ai sensi della L. Fall., art. 26, per tale tipo di giudizi.

Deve infatti escludersi che possa proporsi innanzi al giudice ordinario un procedimento di accertamento negativo di un credito già riconosciuto con provvedimento del giudice delegato, non avendo il giudice investito dell’accertamento il potere di annullare o modificare il detto provvedimento, sopravvissuto alla chiusura del fallimento ed esplicante i propri effetti nella procedura concordataria.

I motivi vanno in conclusione respinti.

Infondato è il secondo motivo di ricorso incidentale del P., con cui si deduce la tardività del reclamo innanzi al tribunale poichè proposto oltre il termine di dieci giorni dalla avvenuta conoscenza del provvedimento impugnato che sarebbe avvenuta all’udienza per il rendiconto fissata il 27.6.08.

Dato per acquisito che i termini per l’impugnazione dei provvedimenti decisori emessi dagli organi della procedura possano essere fatti decorrere, in coerenza con i principi costituzionali, dalla data di notificazione o comunicazione d’ufficio, a cura della cancelleria, dei provvedimenti stessi (Cass. 2991/06Cass., Sez. Un., 27 novembre 1998, n. 12062; Cass., Sez. Un., 10 giugno 1998, n. 5761; v. altresì Cass., 20 dicembre 2002, n. 18144; Cass., 17 dicembre 1998, n. 12615), la giurisprudenza di questa Corte ha tenuto fermo in subiecta materia, l’ulteriore principio, in virtù del quale, allorchè la comunicazione di un provvedimento giurisdizionale serva, oltre che a dar notizia di quanto accaduto nel processo, anche ad individuare il momento iniziale per la decorrenza di un termine perentorio, essa non può trovare un equipollente nella conoscenza di fatto, aliunde acquisita del provvedimento stesso (ex plurimis, Cass 2991/06Cass., 29 aprile 2002, n, 6221; Cass., 29 maggio 2001, n. 7280; Cass., 20 maggio 2000, n. 6601); conclusione che trova, del resto, specifica conferma nella circostanza che la Corte Costituzionale, con le sentenze additive sulla L. Fall., art. 26, abbia individuato il dies a quo per l’impugnazione nella data della comunicazione “ritualmente” (o “debitamente”) eseguita. Deve pertanto escludersi che la decorrenza del termine per impugnare i provvedimenti del giudice delegato possa decorrere dalla incontestabile conoscenza del provvedimento, comunque acquisita dalla parte, quando questa derivi da circostanze diverse dalla avvenuta comunicazione (Cass. 2991/06).

Il terzo motivo del ricorso incidentate in esame contesta la riduzione della liquidazione dei compensi operata dal tribunale di Napoli, in particolare, lamentandosi l’avvenuta liquidazione sulla base delle sole vacazioni e non anche degli onorari nonchè l’insufficiente attribuzione delle vacazioni.

Il motivo appare inammissibile, in quanto non censura l’effettiva ratio decidendi del Tribunale.

Questo ha infatti proceduto alla liquidazione sulla base di vacazioni in base alla constatazione che l’attività svolta non rientrava integralmente tra quelle di cui agli artt. 12 e 13 della tabella di cui al D.M. 30 maggio 2002, e che comunque anche “i compensi a tempo possono essere applicati nelle ipotesi in cui l’applicazione dei criteri previsti dal menzionato DM porterebbe ad una liquidazione manifestamente iniqua per difetto o per eccesso rispetto all’impegno profuso dal c.t.u.”.

In altri termini, il giudice di merito ha ritenuto che in caso di attività mista del consulente, in parte rientrante nel citato decreto ministeriale ed in parte no, debba applicarsi l’unico criterio delle vacazioni, specie quando ciò consente di ovviare ad una liquidazione eccessiva rispetto all’effettivo impegno profuso del CTU. Il ricorrente con la propria doglianza sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto applicare i due diversi criteri di liquidazione in relazione ai diversi tipi di attività svolta, ma non censura in alcun modo l’affermazione decisiva sul punto della motivazione del provvedimento impugnato che riguarda il fatto che in caso di attività mista possa essere applicato l’unico criterio delle vacazione al fine di adeguare il compenso all’effettiva consistenza dell’attività complessivamente svolta.

Il motivo è inoltre inammissibile nella parte in cui contesta il calcolo delle vacazioni, in quanto trattasi di censura ad una valutazione di merito effettuata dal Tribunale e, come tale, non censurabile in sede di legittimità.

Il quarto motivo del ricorso incidentale, con cui si contesta la mancata effettuazione della compensazione totale delle spese, è inammissibile.

Trattasi di valutazione discrezionale del giudice di merito che, se correttamente motivata, come nel caso di specie in ragione del parziale accoglimento dei motivi d’impugnazione, non è sindacabile in sede di legittimità.

Venendo all’esame del ricorso incidentale del Pe., essendo già stato deciso il primo motivo, restano da decidere i restanti tre.

Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente poichè gli stessi pongono la questione secondo cui la liquidazione impugnata comprenderebbe non una ma due prestazioni professionali e, cioè: la costituzione in appello per conto del fallimento nel giudizio proposto dal fallito e dagli attuali ricorrenti principali avverso il rigetto della prima proposta di concordato nonchè l’intervento nella procedura esecutiva immobiliare proposta dal creditore fondiario.

Il Tribunale ha motivato sul punto osservando che la liquidazione effettuata dal giudice in data 11.7.08 si riferiva esclusivamente al primo dei due incarichi, come era dimostrato dal fatto che il parere del curatore, espresso in pari data, non poteva che riferirsi alla notula del 5.2.07 redatta dal Pe. e riferita al solo giudizio di appello.

I due motivi sono inammissibili alla luce di quanto già in precedenza evidenziato in relazione ai motivi tre, quattro e sei del ricorso principale.

La censura del ricorrente incidentale si incentra sulla liquidazione effettuata dal giudice delegato in data 11.7.08, ma di tale documento, la cui valutazione è essenziale ai fini del decidere, non viene indicato in quale fascicolo della fase di merito si trova nè vengono forniti elementi sulla sua allocazione. Altrettanto deve dirsi per il parere del curatore, recante anch’esso la data dell’11.7.08. Il contenuto dei provvedimenti in questione, inoltre, non viene in alcun modo riprodotto dal Pe. nel ricorso limitandosi questi soltanto a riprodurre la notula del 5 luglio 2007.

Va quindi anche qui osservato che non risulta rispettato il principio più volte ribadito da questa Corte secondo cui il ricorrente per cassazione, che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6 e dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, a pena di improcedibilità del ricorso – di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di produrre copia dello stesso (da ultimo Cass. 2966/11).

Con il quarto motivo si contesta lo scaglione relativo al valore della causa in base al quale sono stati liquidati gli onorari asserendosi che lo stesso era di livello superiore avendo il tribunale tenuto conto solo del passivo fallimentare in base al quale si era formulata la notula del 5.7.07 ma non anche dell’attivo.

Il motivo è infondato.

Invero, il criterio di sommare il passivo fallimentare all’attivo fallimentare si applica per la sola liquidazione del compenso al curatore del fallimento ma non può applicarsi al difensore del fallimento nel giudizio di opposizione al fallimento e neppure nei giudizi di appello avverso la sentenza di rigetto del concordato in cui l’unico criterio da applicare è quello del valore della causa che, come è noto, per quanto riguarda il giudizio di opposizione al fallimento, deve ritenersi quello indeterminabile in luogo di quello costituito dall’ammontare dello stato passivo (Cass. sez. un 16300/07).

In ragione di ciò il ricorrente, nel contestare la liquidazione dell’onorario spettategli per il giudizio di appello avverso il rigetto della domanda di concordato fallimentare sulla base del passivo del fallimento, avrebbe dovuto, anzichè prospettare la tesi che al passivo doveva aggiungersi l’ammontare dell’attivo, non applicabile al caso di specie, dedurre l’applicazione di un diverso criterio costituito, ad esempio, dal valore dei beni che si intendeva cedere ai creditori o qualsiasi altro criterio a suo avviso applicabile; ma nulla di tutto ciò è avvenuto.

Il motivo in esame contiene anche una doglianza relativa alla mancata maggiorazione degli onorari per la presenza di due controparti ancorchè difese dal medesimo difensore.

Osserva la Corte che il D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 4, ultima parte, prevede che nel caso in cui “l’avvocato assista e difenda una parte contro più parti” il giudice può applicare la maggiorazione del 20% per ogni parte oltre la prima “quando la prestazione comporti l’esame di particolari situazioni di fatto o di diritto”.

A tale proposito va rammentato che questa Corte, sia pure nell’inverso caso, previsto anch’esso dall’art. 5, comma 4 della tariffa professionale, relativo all’ipotesi in cui più parti con identica posizione processuale siano state difese dallo stesso avvocato, ha ritenuto che la possibilità per il giudice di liquidare un onorario unico aumentato per ciascuna parte oltre la prima del 20 per cento costituisce una mera facoltà rientrante nel potere discrezionale del giudice il cui mancato esercizio non è denunciabile in sede di legittimità, purchè fornito di motivazione (Cass. 1216/99).

Tale principio è certamente applicabile nel caso di specie data la speculante delle due disposizioni normative contenute nel D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 4.

Ciò posto, nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente proceduto alla non applicazione della maggiorazione avendo motivato tale decisione in base alla rilevata mancanza dei presupposti richiesti dalla legge.

Tale motivazione fa implicito riferimento al fatto che il Tribunale ha accertato l’insussistenza dell’esame da parte del difensore di particolari situazioni di fatto e di diritto.

La censura svolta sotto il profilo della mancanza di motivazione sul punto è dunque infondata.

In conclusione i ricorsi vanno respinti. Le reciproca soccombenza comporta la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2011

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