Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16040 del 02/08/2016

Cassazione civile sez. III, 02/08/2016, (ud. 24/05/2016, dep. 02/08/2016), n.16040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20357-2013 proposto da:

M.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CUNFIDA 20, presso lo studio dell’avvocato MONICA BATTAGLIA, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ DI PUBBLICITA’ EDITORIALE S.P.A.;

-intimata –

avverso la sentenza n. 622/2013 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata

il 05/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. M.G. propose dinanzi al Giudice di Pace di Bologna opposizione al decreto ingiuntivo n. 2449/04, relativo al pagamento, in favore della Società Pubblicità Editoriale – SPE s.p.a., di e 1.211,40, oltre interessi e spese, preteso quale corrispettivo per un’inserzione pubblicitaria sul giornale “(OMISSIS)” a favore del ristorante “(OMISSIS)” di P.A., madre del M.. L’opponente contestò la pretesa, asserendo di non avere mai avuto contatti nè stipulato alcun contratto con la SPE s.p.a..

Si costituì in giudizio la società, deducendo che il M. aveva concluso il contratto per telefono, per il tramite dell’agente della SPE s.p.a., Ma.Al..

Il Giudice di Pace, con sentenza n.2607/05, rigettò l’opposizione.

2. Il M. ha proposto appello chiedendo l’integrale riforma della sentenza di primo grado.

Si è costituita l’appellata, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Con la decisone ora impugnata, pubblicata il 5 marzo 2013, il Tribunale di Bologna ha rigettato l’appello, con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese del grado.

3. Avverso la sentenza M.G. propone ricorso affidato a sette motivi. L’intimata società non si difende.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 degli art. 115 e 116 c.p.c. e degli art. 2730 e 2731 c.c. in relazione agli art. 1387 e 1388 c.c. in merito alla deposizione di Ma.Al.>>. Il ricorrente critica la sentenza impugnata perchè ha ritenuto provata “in modo certo” la stipulazione del contratto di pubblicità tra il M. e la SPE spa, avvalendosi delle dichiarazioni rese dal teste Ma.Al., agente della SPE spa – il quale, per quanto si legge in sentenza, ha riferito di avere telefonato presso la sede del ristorante “(OMISSIS)”; di avere chiesto alla donna che aveva risposto di poter parlare col titolare; di avere ottenuto che la telefonata fosse passata ad un uomo; di avere concluso con tale persona, che si era mostrata interessata alla proposta di pubblicità, il relativo contratto; di avere ricevuto dalla stessa persona l’indicazione delle generalità di M.G. anche ai fini dell’intestazione della fattura.

Il Tribunale ha specificato che l’appellante non solo non aveva “tempestivamente sollevato l’eccezione di incapacità del teste”, ma ne aveva posto in dubbio l’attendibilità – “In ragione della sua qualità di agente verosimilmente interessato ad incassare la provvigione”, non con l’atto di appello, ma soltanto con la comparsa conclusionale del secondo grado di giudizio.

1.1.- Il ricorrente non censura la statuizione di mancanza di eccezione di incapacità a testimoniare dell’agente. Sostiene che “il valore testimoniale delle dichiarazioni del Ma.” sarebbe stato censurato con l’atto di appello ed assume che, avendo l’agente agito con poteri di rappresentanza ai sensi degli artt. 1387 e 1388 c.c. (in quanto incaricato direttamente dalla SPE sia della proposta che dell’accettazione del contratto in nome e per conto della stessa, tanto da poter concludere il contratto con la telefonata), non si tratterebbe di applicare l’art. 246 c.p.c., bensì di considerare le dichiarazioni dell’agente dotato di rappresentanza alla stregua delle dichiarazioni della parte; quindi, non quale testimonianza, ma tutt’al più quale interrogatorio non formale.

2.- Il motivo non è fondato.

L’inconciliabilità esistente tra la posizione di testimone e quella di parte – su cui si fonda il motivo di ricorso – sussiste solo qualora venga assunta la testimonianza della parte costituita nel giudizio o, se si tratta di persona giuridica, di colui che la rappresenta attualmente nel giudizio (cfr., tra le altre, Cass. n. 9826/96 e n. 14987/12). Perciò, colui che abbia agito come rappresentante legale di una persona giuridica nella stipulazione di un contratto ben può essere sentito come testimone nel processo per l’adempimento del contratto, qualora sia diverso il rappresentante legale costituito in giudizio, con la conseguenza che l’unico interesse rilevante per escluderne la testimonianza potrebbe essere quello di cui all’art. 246 c.p.c..

A maggior ragione va affermato che non sussiste alcuna inconciliabilità tra la posizione di testimone e quella di parte qualora sia chiamato a deporre l’agente con rappresentanza di una società, che abbia stipulato, in nome e per conto di questa, il contratto del cui adempimento si tratta nel processo, e la società sia costituita in giudizio col proprio legale rappresentante. In tale ultima ipotesi, la detta incapacità può verificarsi, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., solo se l’agente per il cui tramite sia stato concluso il contratto abbia nella causa un interesse attuale e concreto che potrebbe legittimare la sua partecipazione al giudizio.

2.1.- Nel caso di specie, come detto, il giudice d’appello ha ritenuto non tempestivamente proposta l’eccezione di incapacità a deporre dell’agente Ma., ai sensi dell’art. 246 c.p.c., in quanto non formulata nel primo grado di giudizio (cfr., tra le altre, Cass. n. 20652/09).

Il ricorrente non ha censurato questa affermazione.

Esula perciò dal motivo di ricorso l’apprezzamento dell’esistenza di un interesse concreto ed attuale che avrebbe potuto impedire l’assunzione come testimone del detto agente.

Ogni altro profilo di censura concernente l’attendibilità del testimone è inammissibile in sede di legittimità, attenendo alla valutazione discrezionale rimessa al giudice di merito, secondo quanto si dirà trattando dei restanti motivi di ricorso.

Il primo motivo va perciò rigettato.

3.- Col secondo motivo è dedotta violazione ed errata applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 2697 c.c., relativamente all’onere della prova in ordine alla formazione del contratto; violazione degli artt. 1321, 1325, 1326 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 112, 113 e 115 c.p.c..

Il ricorrente sostiene che non sarebbe stata data la prova della conclusione del contratto di pubblicità, che gravava sulla SPE s.p.a., in qualità di parte attrice, in quanto tutt’al più sarebbe stata data la prova del “contatto telefonico tra due persone”.

3.1.- Col terzo motivo è dedotta violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e “in relazione all’accertamento delle presunzioni ex art. 2727 e 2729 c.c. circa l’identità delle parti”.

Il ricorrente sostiene che sarebbe mancato in sentenza l’accertamento circa l’identità delle parti che conclusero il contratto ovvero che questo accertamento sarebbe stato compiuto in violazione degli articoli di legge indicati in rubrica, poichè – a detta del ricorrente – gli elementi che il giudice di merito ha posto a fondamento del suo accertamento (su cui infra) non sarebbero stati affatto gravi precisi e concordanti nell’individuare nell’odierno ricorrente, M.G., la persona che aveva parlato al telefono con l’agente della società SPE s.p.a.

3.2.- Col quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. “in relazione all’onere degli art. 2627 e 2729 c.c. in merito alla valutazione e all’accertamento del consenso idoneo alla conclusione del contratto ex art. 1321, 1325 c.c. e art. 1326 c.c. e ss.”.

Il ricorrente, riproponendo la censura di cui al secondo motivo, evidenzia come la risposta del testimone non sarebbe stata confermativa del fatto che il contratto fosse stato concluso per telefono, ma anzi avrebbe riferito che l’interlocutore aveva detto che l’ordine sarebbe stato fatto successivamente “a mezzo fax, che però non è mai arrivato”; sostiene, quindi, che la relativa motivazione da parte del giudice d’appello conterrebbe un’apodittica valutazione di quanto riferito dal testimone; in particolare, questi non avrebbe mai detto che per telefono era stato espresso un consenso riferito all’intero contenuto del contratto, sicchè il giudice di merito, diversamente interpretando la testimonianza, avrebbe violato le norme indicate in rubrica.

3.3.- Col quinto motivo è dedotto omesso esame di un fatto decisivo del giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 “delle norme di diritto di cui agli artt. 1321, 2697 c.c. e 1425 c.c. e ss., in relazione alla prova di tutti gli elementi del contratto, e in violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. ed, in particolare, dell’accordo sul corrispettivo azionato con il decreto ingiuntivo”.

Il motivo è espressamente proposto come subordinato rispetto al quarto motivo. Il ricorrente sostiene che, anche a voler ammettere che sia corretto il giudizio sull’accettazione della proposta, il giudice non si sarebbe pronunciato sull’accordo in merito al corrispettivo, il cui pagamento è preteso col decreto ingiuntivo; in particolare, sarebbe mancato ogni accertamento riguardo al corrispettivo convenuto (così come riguardo ad altre condizioni del contratto, quali modalità e termini di pagamento, nonchè modalità, spazio, pagina, dimensione, carattere, con le quali la prestazione pubblicitaria avrebbe dovuto essere eseguita).

3.4.- Col sesto motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 2, e art. 2721 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. “in merito all’accertamento della costituzione del contratto”. Il ricorrente sostiene che il giudice avrebbe finito per presumere la volontà delle parti di concludere il contratto, ribaltando sul M. l’onere di provare che il contratto non era stato concluso.

3.5.- Col settimo motivo è dedotto “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., n. 5in relazione all’accordo o comunque alla determinazione del corrispettivo richiesto con il decreto”. Il ricorrente ripropone, sotto il profilo del vizio di motivazione, la censura concernente il mancato accertamento dell’entità del corrispettivo pattuito tra le parti.

4.- I motivi non meritano di essere accolti.

Il giudice d’appello, così come il giudice di primo grado, ha ritenuto che quanto riferito dal teste Ma. confermasse che l’uomo che con lui aveva parlato al telefono, oltre a manifestare interesse al contratto di pubblicità, avesse prestato il proprio consenso alla relativa stipulazione, in modo che – come si legge in sentenza – “non vi è dubbio… che il successivo invio dell’ordine via fax avrebbe dovuto avere solo la funzione di documentare l’accordo già raggiunto tra le parti”.

Lungi dal costituire un’apodittica affermazione del Tribunale, questa conclusione è supportata dalla considerazione da parte del secondo giudice dell’indicazione delle generalità dell’interlocutore in ” M.G. anche ai fini dell’intestazione della fattura”, a riprova quindi sia dell’identità del contraente sia dell’attualità della manifestazione di volontà contrattuale (essendo inequivoco e significativo in tal senso il riferimento all’emissione della fattura). E’ altresì supportata dal riferimento al contenuto delle dichiarazioni del testimone, laddove ha espressamente confermato il seguente capitolo di prova (così riportato in sentenza): “vero che M.G. le commissionò l’inserzione pubblicitaria inerente all’azienda turistica (OMISSIS)”.

4.1.- Per l’identificazione dell’interlocutore telefonico dell’agente, il secondo giudice si è avvalso di una serie di elementi gravi precisi e concordanti, già valorizzati dal primo giudice, quali idonei a fondare la prova presuntiva: essere stata indirizzata la telefonata alla sede del “(OMISSIS)”; essere verosimile (e non smentita) la presenza in loco del figlio della titolare, in quanto collaborava nella ditta di famiglia di bar ristorante (tanto più che si era nel mese di luglio, quindi verosimilmente in periodo di piena attività dell’esercizio, posto in zona turistica); essere mancata una spiegazione alternativa su chi fosse l’uomo al telefono e sui motivi per i quali avrebbe dovuto fornire le false generalità di M.G.; essere mancato il riscontro da parte di quest’ultimo (e quindi essere mancata la contestazione) del sollecito di pagamento della fattura a lui intestata.

5.- I motivi sono inammissibili per la parte in cui, pur denunciando vizi di violazione di legge, censurano l’apprezzamento dei fatti e delle prove su cui il giudice di merito si è intrattenuto con motivazione congrua, comunque non viziata ai sensi dell’0art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis (essendo la sentenza pubblicata il 5 marzo 2013), vale a dire quello che consente di dedurre soltanto l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il Tribunale ha valutato la testimonianza dell’agente della società SPE s.p.a. (il cui contenuto più significativo ha anche riportato in sentenza), traendone il convincimento dell’avvenuta conclusione del contratto di pubblicità alle condizioni proposte dallo stesso agente. Attiene all’apprezzamento della prova l’affermazione del giudice sopra riportata, secondo cui il colloquio telefonico si svolse in modo tale da contenere una proposta ed un’accettazione, senza che quest’ultima fosse rimessa al fax successivo – che, secondo il giudice, sarebbe dovuto servire solo quale riscontro documentale. Questa interpretazione non è validamente censurata, limitandosi il ricorrente a contrapporre la propria, senza addurre alcuna significativa lacuna motivazionale.

A ciò si aggiunga che l’assunto del ricorrente – posto a fondamento di più di un motivo – secondo cui dalla testimonianza sarebbe emerso che la proposta non sarebbe stata completa di tutte le condizioni del contratto (tanto che non vi sarebbe stato alcun accordo specifico sul corrispettivo, nonchè sulle caratteristiche dell’inserzione pubblicitaria), oltre a porre questioni nuove (poichè non risultano trattate nei precedenti gradi), è inammissibile poichè non riporta le dichiarazioni testimoniali del Ma., da cui si dovrebbe desumere siffatta mancanza di accordo.

5.1.- I motivi sono privi di pregio inoltre laddove contestano che siano state violate le norme sulla prova presuntiva, con la conclusione raggiunta dal Tribunale circa l’identificazione nel M. dell’interlocutore telefonico che accettò la proposta contrattuale.

In proposito va ribadito che allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni – le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito – rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune dal vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (Cass. n. 26022/11).

La motivazione della sentenza impugnata dà conto della correttezza giuridica del procedimento logico-giuridico seguito dal giudice di merito, mediante l’analitica selezione degli elementi indiziari (esposti sopra sub 4.1) e la loro valutazione complessiva (cfr., in merito ai momenti costitutivi del ragionamento probatorio che si avvale della prova presuntiva, da ultimo Cass. n. 23201/15). Il ricorso non offre elementi per ritenere trascurati uno o più elementi indiziari favorevoli al ricorrente ovvero per ritenere erroneamente valutati gli elementi indiziari selezionati dal giudice. Questi indizi, d’altronde, sono connotati dai requisiti di pluralità, gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., comma 1, sì da doversi escludere la denunciata violazione di legge.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità poichè l’intimata non si è difesa.

Avuto riguardo al fatto che il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2016

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