Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16036 del 26/06/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 16036 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

della legge n. 89
del 2001 – sentenza

SENTENZA

con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:

MARRONE VIOLANDA (C.F.: MRR VND 64E01 Z133U), rappresentata e difesa, in
forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti 1

1:1:11IIZI, Maria

Lanni, Drimertien Rizzino e !tale Castabli ed elettivamente domiciliata pressa lo studio
del quarto, in Roma, via Attilio Regolo, n. 12/D;

– ricorrente –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;
– intimatoavverso il decreto della Corte d’appello di Roma emesso il 13 dicembre 2010 nel
proc. iscritto al N.R.G. 2281/2008, depositato in data 9 novembre 2011 (non
notificato).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 maggio 2013
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

ets
43

Data pubblicazione: 26/06/2013

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Lucio Capasso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
La sig.ra Marrone Violanda chiedeva alla Corte d’appello di Roma, con ricorso

della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di due processi civili
(relativi ad una duplice controversia previdenziale) instaurato nel novembre 1993 e
nell’ottobre 1995 dinanzi all’allora Pretore di Benevento (poi riuniti) e definiti, in primo
grado, con sentenza n. 51 del 2002 del Tribunale di Benevento e, in secondo grado,
con sentenza della Corte di appello di Napoli n. 322 del 2007, invocando la
condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento del danno non patrimoniale
subito.
Nella contumacia del convenuto Ministero della Giustizia, l’adita Corte di appello, con
decreto depositato il 9 novembre 2011, dichiarava l’improcedibilità del ricorso sul
presupposto che la ricorrente non aveva offerto la prova della tempestività della sua
formulazione avuto riguardo alla individuazione del momento in cui la sentenza del
giudizio presupposto si sarebbe dovuta considerare divenuta definitiva.
Avverso il menzionato decreto (non notificato) ha proposto ricorso per cassazione la
Marrone Violanda, con atto ritualmente notificato, sulla base di un unico motivo. Il
Ministero della Giustizia non si è costituito nemmeno nella presente fase di
legittimità.
Il collegio ha deliberato di adottare il modello di sentenza in forma semplificata.
Considerato in diritto
1. – Con l’unico motivo dedotto la ricorrente ha denunciato (ai sensi dell’ad. 360, n. 3,
c.p.c.) la violazione e falsa applicazione dell’ad. 4 della legge n. 89 del 2001, avuto

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depositato in data 28 febbraio 2008, il riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi

riguardo all’illegittimità del decreto impugnato che aveva rilevato la inammissibilità
del ricorso per sua assunta intempestività malgrado l’Amministrazione convenuta
non si fosse costituita e non fosse stata, perciò, proposta un’apposita eccezione al
riguardo, dovendosi, invece, ritenere la tempestività della domanda di equa

giudizio presupposto con riferimento all’applicabilità del termine previsto dall’art. 327
c.p.c. .
2.- Il motivo è palesemente fondato e deve, perciò, essere accolto.
Secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr.,
ad es., Cass. n. 17249 del 2006 e Cass. n. 16367 del 2011, ord.), in tema di equa
riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, l’oggetto
della domanda è individuabile nella richiesta di accertamento della violazione,
rispetto alla quale l’onere della parte istante è limitato alla semplice allegazione dei
dati relativi alla sua posizione nel processo (data iniziale di questo, data della sua
definizione, eventuale articolazione nei diversi gradi) e non anche alla produzione
degli atti posti in essere nel processo presupposto. In altri termini, nella materia
dell’equa riparazione, In tema di equa riparazione per la violazione del termine
ragionevole di durata del processo, la legge (art. 2, comma secondo, legge n. 89 del
2001) affida l’accertamento in concreto della violazione al giudice: la parte ha
indubbiamente un onere di allegazione e dimostrazione, ma esso riguarda la sua
posizione nel processo, la data iniziale di questo, la data della sua definizione e gli
eventuali gradi in cui si è articolato, e spetta poi al giudice – sulla base dei dati
suddetti e di quelli eventualmente addotti dalla parte resistente – verificare in
concreto e con riguardo alle singole fattispecie se vi sia stata una violazione del
termine ragionevole, avvalendosi anche – secondo il modello processuale di cui agli

3

riparazione in relazione alla presunzione di intervenuta definitività della sentenza del

artt. 737 e ss. c.p.c. adottato dalla legge (art. 3, comma 4, legge cit.) – di poteri di
iniziativa, i quali si estrinsecano attraverso l’assunzione di informazioni che,
espressamente prevista dall’art. 738 c.p.c., non resta subordinata all’istanza di parte.
Pertanto, il giudice – pur non essendo obbligato ad esercitare tali poteri, potendo

una asserita carenza probatoria superabile con l’esercizio dei poteri di iniziativa
d’ufficio, né, tanto meno, può ignorare la richiesta della parte ricorrente di acquisire,
ai sensi dell’art. 3, comma quinto, della legge n. 89 del 2001, gli atti del processo
presupposto e fondare il proprio convincimento su mere ipotesi in ordine alle cause
della durata dello stesso. Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n.
13752 del 2011, ord.) ha chiarito che, qualora si intendano contestare i fatti allegati
dal ricorrente, l’onere della prova in ordine alla eventuale tardività della domanda di
equa riparazione, per avvenuto decorso del termine decadenziale di cui all’art. 4
della legge n. 89 del 2001 con riferimento all’individuazione del momento in cui è
passata in giudicato la sentenza del processo presupposto, grava sulla parte che
sollevi la relativa eccezione (senza considerare che, nel caso di specie, il Ministero
della Giustizia non si era nemmeno costituito nel giudizio dinanzi alla Corte di appello
capitolina).
Peraltro, nella specie, si deve considerare che, al momento del deposito del ricorso
per equa riparazione, il termine semestrale di decadenza – previsto dall’art. 4 della
legge n. 89 del 2001 – non era ancora decorso, dovendosi computare il dies a quo di
decorrenza di detto termine dal passaggio in giudicato della sentenza di secondo
grado pubblicata il 24 maggio 2007, in difetto della prova dell’avvenuta precedente
notificazione della sentenza ad istanza della parte avversa (il cui onere gravava sul
convenuto Ministero: cfr. Cass. n. 13752 del 2011, ord., cit.).

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_

attingere “aliunde” le fonti del proprio convincimento – non può ascrivere alla parte

Pertanto, la Corte di merito non avrebbe potuto, nel caso di specie, rilevare la
decadenza dall’azione poiché il ricorso era stato proposto antecedentemente al
decorso dei sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza del procedimento
presupposto (non essendo stata, peraltro, proposta alcuna eccezione contraria in

Deve, quindi, essere riconfermato il principio secondo cui, in tema di equa
riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, ai fini
dell’individuazione della data di decorrenza del termine di decadenza di sei mesi per
la proponibilità della domanda, la decisione conclusiva del procedimento, nel quale la
violazione si assume verificata, diventa “definitiva” con il passaggio in giudicato della
sentenza che lo definisce, con la conseguenza che allorché la decisione che
conclude il processo presupposto sia stata depositata ma non notificata, la sua
definitività si concretizza con il decorso del c.d. termine lungo previsto dall’art. 327
c.p.c. e del periodo di sospensione feriale dei termini (con la conseguenza che, nella
specie, il predetto termine decadenziale era stato rispettato, essendo stato
depositato il ricorso per equa riparazione il 28 febbraio 2008).
3. In definitiva, il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione del
decreto impugnato e rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, in diversa
composizione, che si atterrà all’enunciato principio di diritto e pronuncerà sul merito
del ricorso per equa riparazione (valutando tutte le condizioni previste dall’art. 2 della
legge n. 89 del 2001), regolando anche le spese del presente giudizio di legittimità.

PER QUESTI MOTIVI

merito, dal momento che l’Amministrazione resistente era rimasta contumace).

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese
del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte

suprema di Cassazione, in data 24 maggio 2013.

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