Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16035 del 21/07/2011

Cassazione civile sez. I, 21/07/2011, (ud. 29/03/2011, dep. 21/07/2011), n.16035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DI VIRILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato presso la

Cancelleria della Corte, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giannini

Marco e Patrizia Restuccia, come da procura in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t, elettivamente

domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi 12, presso la sede

dell’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende

per legge.

– resistente –

avverso il decreto n. 12170/07 R.G. della Corte d’Appello di Torino,

depositato il 29.10.08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29.3.2011 dal Consigliere dr. Magda Cristiano;

udito il P.M. in persona dei Sostituto Procuratore Generale dr. RUSSO

Rosario Giovanni, che ha concluso, quanto al primo motivo: previa

delibazione della non manifesta infondatezza e della rilevanza della

q.l.c., la Suprema Corte sospenda il giudizio e trasmetta gli atti

alla Corte Costituzionale, affinchè esamini, in punto di criterio di

calcolo dell’equa riparazione, la compatibilità della L. n. 89 del

2001, art. 2, nella lettura consolidata del diritto vivente (danno

riferibile soltanto a periodo eccedente il termine di ragionevole

durata), con l’art. 111, comma 2 e art. 117 Cost. in rapporto

all’art. 6 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti

dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (adottata a Roma il

4.11.1950, resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848) come

interpretato in linea generale dalla Corte di Strasburgo, in quanto

il giudice nazionale non si è mai preoccupato di far coincidere la

liquidazione finale dell’equa riparazione con gli standands decisi

dalla Corte sopranazionale, nei limiti ammessi dalla stessa; in

subordine, per il rigetto della censura; accoglimento del secondo

motivo; inammissibilità del terzo ed assorbimento del quarto motivo

di ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Torino, con decreto del 29.10.08, ha parzialmente accolto la domanda di S.P. volta ad ottenere il riconoscimento di un equo indennizzo per l’irragionevole durata della procedura fallimentare apertasi il 2.6.95 a carico della M.N.C. s.p.a. ed ancora pendente alla data di deposito del ricorso (13.12.07), nella quale il ricorrente aveva conseguito l’ammissione in via privilegiata allo stato passivo per un credito di lavoro di Euro 1.915,79 oltre accessori, parzialmente soddisfatto con il piano di riparto finale del 7.8.07.

La Corte, fissata in anni sei e mesi quattro la durata del procedimento eccedente quella ragionevole ed escluso che il S. avesse fornito prova dell’esistenza del danno patrimoniale lamentato, ritenuto equo un indennizzo di Euro 1000 per ciascun anno di ritardo, ha condannato i Ministero della Giustizia al pagamento in suo favore della somma di Euro 4.330 e della metà delle spese di lite, compensate per l’altra metà.

Il S. ha chiesto la cassazione del provvedimento, affidandola a quattro motivi di ricorso.

Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso, il S., denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 in relazione agli artt. 13, 41 e art. 6, comma 1 della CEDU, lamenta che la Corte territoriale abbia liquidato il danno soltanto con riferimento alla durata del procedimento eccedente quella ragionevole, così disapplicando la consolidata giurisprudenza della Corte EDU che afferma che l’indennizzo va riconosciuto per ogni anno effettivo di giudizio, e formula conseguente quesito di diritto. Il motivo è infondato.

Costituisce infatti principio ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo, Cass. nn. 8780/010, 7550/010), ed enunciato anche dalla Corte Costituzionale (sentenze nn. 348 e 349/07), che il giudice italiano, chiamato a dare applicazione della L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla Convenzione EDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo entro i limiti in cui detta interpretazione sia resa possibile dal testo della legge stessa. Se invece ciò non è possibile (come nel caso dell’art. 2, comma 3 lett. a, secondo il quale rileva solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole), il giudice, qualora dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione internazionale interposta, deve investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità rispetto al parametro di cui all’art. 117 Cost., comma 1, ma non può procedere alla diretta disapplicazione della norma interna.

Quanto all’eccezione di illegittimità costituzionale della norma in esame, sollevata dal P.G. all’udienza pubblica, questa Corte non può che ribadire il giudizio di sua manifesta infondatezza già espresso in precedenti pronunce, proprio in riferimento alla coerenza del rimedio stabilito dalla L. n. 89 del 2001 con il principio di effettività (avuto riguardo alle norme convenzionali invocate), in quanto la diversità del moltiplicatore del calcolo non tocca la complessiva attitudine della legge nazionale ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6 par. 1 della Convenzione medesima (Cass. n. 980/08).

2) Col secondo motivo, il S., denunciando ancora violazione e falsa applicazione degli art. 6, comma 1 CEDU e L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè vizio di motivazione, si duole della misura dell’indennizzo liquidato, rilevando che la Corte territoriale, dopo aver ritenuto adeguato un indennizzo di Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo, ha poi contraddittoriamente determinato in Euro 4.330, anzichè in Euro 6.330, la somma dovutagli a titolo risarcitorio. Il motivo è fondato, essendo la Corte di merito incorsa nel denunciato vizio di motivazione per non aver esplicitato le ragioni che l’hanno indotta a quantificare il danno in misura inferiore a quella astrattamente ritenuta equa.

3) Con il terzo motivo, il ricorrente, denunciando ulteriore violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, lamenta il mancato riconoscimento del danno patrimoniale da lucro cessante richiesto e formula quesito di diritto nel quale si limita a chiedere a questa Corte di accertare “se vi è stata violazione e falsa applicazione di norme di dritto per quello che concerne il mancato riconoscimento del danno patrimoniale”.

Il motivo va dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., attesa l’assoluta genericità del quesito e la sua palese inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato al provvedimento impugnato, in relazione alla fattispecie decisa.

L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta la cassazione del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito.

Tenuto conto dei alteri dettati dalla Corte EDU e considerata la natura del credito azionato dal ricorrente, il pregiudizio da questi subito giustifica una liquidazione di Euro 1.000 per ogni anno di ritardo.

Il Ministero della Giustizia va pertanto condannato a pagare al S. la somma di Euro 6.330 oltre agli interessi legali dalla data della domanda (13.12.07) al saldo effettivo.

Poichè la cassazione del provvedimento impone di rideterminare anche le spese del giudizio di merito, resta assorbito il quarto motivo di ricorso, con il quale il S. ha, per l’appunto, censurato la pronuncia sulle spese.

Tali spese, e quelle del giudizio di legittimità, avuto riguardo alla somma riconosciuta, seguono integralmente la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nei merito, condanna il Ministero della Giustizia a pagare a P. S. la somma di Euro 6.330,00 oltre agli interessi legali dalla data di deposito del ricorso introduttivo al saldo effettivo;

condanna il Ministero al pagamento delle spese processuali, che liquida, per il giudizio di merito, in Euro 900. per onorari, Euro 500,00 per diritti ed Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge, e per i giudizio di legittimità in Euro 1000,00 per onorari ed Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2011

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